Il Taccuino del giovane cinefilo presenta “Minions” di Pierre Coffin e Kyle Balda

Con “Minions” il francese Pierre Coffin torna a rivestire il ruolo di regista per la terza volta in casa Illumination Entertainment, stavolta non più affiancato, come nei primi due capitoli di “Cattivissimo Me” (2010 e 2013) da Chris Renaud, bensì da un collaboratore di quest’ultimo già al tempo di “Lorax – Il guardiano della foresta” (2012), ossia Kyle Balda.

Minions

Questo scambio non nuoce affatto alla produzione dell’atteso spin-off dedicato interamente agl’indovinati esserini gialli che già sedevano in un palco di primordine nella celebre saga sopracitata (nel 2017 uscirà Cattivissimo Me 3). Certo, c’è chi suona la tromba del giudizio critico asserendo che “i minions non sanno gestire un film tutto loro”; ad ogni modo, di seguito vengono riportate alcune osservazioni che vorrebbero affermare l’esatto contrario.

La voce narrante, doppiata da una delle numerose personalità d’eccezione coinvolte nella versione italiana, Alberto Angela, introduce una vicenda che affonda con apprezzabile naturalezza in un passato alquanto remoto, nel quale è già palese lo spirito di appartenenza ad una società unita e variegata e lo spiccato senso di solidarietà che caratterizza il popolo di cui fanno parte i tre simpatici protagonisti, Bob (il più giovane, dagli occhi bicromati), Stuart (il mezzano, appassionato di ukulele), e Kevin (il più maturo e lungimirante).

La missione che salverà la stirpe antica dalla malinconia dilagante consiste nel ritrovare ciò che è stato più volte perduto e rimpiazzato, ma (a quota 1968) da troppo tempo assente: un “cattivissimo” cui sottostare.

La sorte conduce il trio prima in Florida, poi in Inghilterra, alle dipendenze della più rispettata villain del momento, la superaccessoriata Scarlet Sterminator, autentico emblema di come lo studio di animazione goda nell’iniettare nei suoi caratteri una cospicua dose di follia e gigionismo, che si unisce ad una fantasia imperante a tratti davvero rigogliosa, brillante, non priva di luoghi comuni, ma comunque distinta da quella rintracciabile in altri film coevi per il particolare equilibrio, l’impronta (sempre più) personale che segna le vicende del franchise.

Minions

Non è affatto da sottovalutare l’efficacia del linguaggio fittizio con cui si esprimono i “pinoli gialli”, come vengono definiti nel corso del lungometraggio: un’autentica sfida a conti fatti, un pastiche (ovviamente parzialmente adattato in suolo italiano per il nostro pubblico) che trae spunto da diverse lingue, eppure perfettamente comprensibile, anche dai più piccoli, che vengono quindi condotti in una colorata e utile esperienza d’apprendimento, oltre che di puro intrattenimento.

I dialoghi, unitamente ai numerosi gesti significativi sparsi qua e là per tutta l’ora e mezza di spettacolo, sanno conquistare, e ce lo confermano gli incassi stratosferici che elevano il quinto film della casa di produzione a terzo evento d’animazione entrato nel “club del miliardo”, dopo “Toy Story 3” e “Frozen”; nondimeno sanno aggiungere un valore ulteriore, rappresentato dalla positività smagliante, dalle irriducibili energie e capacità di ironizzare sul reale di cui è intrisa ancora una volta (e anche qui sempre più) la storia che ruota attorno “al più grande cattivo mai apparso sulla Terra”.

Minions

Il fiore all’occhiello, poi, sono senza dubbio le numerosissime allusioni a culture e miti pop (come possono risultare le teorie sull’allunaggio, le vicende che hanno segnato Abbey Road, i conosciutissimi usi, costumi e manie inglesi, debitamente portati all’eccesso); le scelte oculate in campo musicale (non si disdegnano né Prokofiev né Van Halen); infine, un’appariscente lievitazione nella cura estetica delle immagini, a fronte di un budget costantemente di non poco inferiore agli standard Dreamworks, Blue Sky, e specialmente Disney e Pixar.

In appendice rimane comunque spazio per una riflessione su consumi e gusti planetari: quali meccanismi si nascondono dietro un successo di tali proporzioni, nato dallo sviluppo di personaggi secondari e promossi a veri e propri oggetti di culto e di merchandising nel giro di pochissimi anni, e quali altri fenomeni riescono a trascinare quasi nel baratro altri spin-off dedicati ad altre fruttuose intuizioni universalmente riconosciute (parlo della masnada dei pinguini di Madagascar, il cui film su misura in patria ha incassato 80 milioni di dollari, ossia solo un quarto di quelli portati a casa da “Minions)?

 

Voto al film

 

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

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Il taccuino del giovane cinefilo

 

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