“Hannah Arendt” film di Margarethe von Trotta: il processo ad Eichmann, l’olocausto e la banalità del male
“Il fatto è che l’avevo immaginato completamente diverso. […] Sta seduto nella sua gabbia di vetro e sembra un fantasma. Oltretutto ha il raffreddore. Insomma, non è così terribile. È un uomo normale. Si esprime con un orribile linguaggio burocratico e improvvisamente dice frasi del tipo ‘io mi sento come un pezzo di carne che deve essere messo a cuocere nella griglia.”
“Hannah Arendt” è un film biografico, diretto da Margarethe von Trotta, che ripercorre quell’arco di tempo della vita della filosofa, teorica politica, giornalista e professoressa universitaria ebrea che la vide coinvolta, dal 1960 al 1964, come giornalista inviata da “The New Yorker”, al processo a Gerusalemme del funzionario tedesco Adolf Eichmann.
Protagonisti il rapporto con il marito poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher e la relazione vissuta ai tempi degli studi universitario con il famoso filosofo tedesco Martin Heidegger, criticato poi per il suo coinvolgimento col nazismo.
La pellicola si apre con il rapimento di Eichmann per opera dei servizi segreti israeliani.
Diffusa la notizia Hannah Arendt, anche lei finita in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale, ma fortuitamente scampata alla morte, sente la necessità di assistere al processo per poter finalmente osservare dal vivo un gerarca nazista.
Giunge a Gerusalemme come inviata di un famoso periodico statunitense e lì, osservando Eichmann dietro la sua gabbia di vetro, si accorge di come quell’uomo non sia altro che un uomo normale, un semplice burocrate che non faceva altro che eseguire gli ordini che gli venivano impartiti.
Questa sua osservazione e la scrittura di un articolo pubblicato sul “The New Yorker” portarono numerose polemiche e critiche da Israele e dagli ebrei residenti negli Stati Uniti d’America. Venne accusata di insensibilità e crudeltà, le venne detto che odiava il popolo ebraico e che stava difendendo Eichmann.
Ricevette addirittura minacce da parte dei servizi segreti israeliani.
Ma Hannah Arendt non si lasciò intimidire e portò avanti il suo pensiero che aveva solide basi, nessuna parola era vana.
Ciò che lei fece fu analizzare in modo oggettivo quell’Eichmann accusato dei più gravi crimini contro l’umanità ed evidenziare il fatto che fosse un mero esecutore ammaliato dal carisma di Hitler. Connesso a questo l’importante ruolo svolto dai capi ebraici senza il cui aiuto nell’organizzazione dei ghetti l’evoluzione della storia sarebbe stata differente
Si tratta di un film con un lato documentaristico, dato anche dall’utilizzo di frammenti del reale processo ad Eichmann, che probabilmente prevede che vi siano delle conoscenze pregresse dell’argomento e del libro di Hannah Arendt (“La banalità del male”, Feltrinelli 2003).
La Arendt ha permesso di avere una visione nuova, inedita, di quello che fu lo sterminio degli ebrei. Una concezione basata su dati di fatto che aiutano a comprendere come in realtà dietro il male non ci sia niente di complicato o terribile come si potrebbe pensare.
Coloro che si occupavano dell’organizzazione di quel sistema rappresentato dal regima nazista non erano grandi pensatori, né individui particolarmente brillanti: per esempio Adolf Eichmann non completò gli studi, non riuscì a terminare neppure l’avviamento professionale; non era particolarmente interessato alla politica e fu grazie ad un amico che entrò a far parte delle SS.
E questo è solo uno degli esempi: i profili degli altri rappresentanti delle SS erano tutti simili. Era più semplice far eseguire ordini, anche scomodi, a persone non in grado di adoperare il cervello se non per le azioni ordinarie.
Ed era importante che ogni persona coinvolta avesse una precisa funzione e che questa rimanesse sempre la stessa.
Durante il processo a Gerusalemme il giudice pose tale domanda all’imputato: “Ma nelle direttive lei aveva stabilito quante persone dovevano essere stipate in ogni vagone, è vero?”
E la risposta di Eichmann fu questa: “Io avevo avuto quest’ordine. Che venissero uccisi o no, doveva essere eseguito. È stato eseguito in via amministrativa. Io ho dovuto svolgere solo una minima parte. Le altre parti necessarie per effettuare il trasporto erano di competenza degli altri uffici.”
Non si intende con ciò discolpare alcuno ma è ancora più assurdo se si riflette su come realmente si arrivò alla creazione dei ghetti in cui venivano reclusi gli ebrei, ai campi di concentramento poi e al trasporto degli ebrei verso i campi.
Un altro libro per coloro i quali desiderano intendere meglio la storia dell’olocausto è “Modernità e olocausto” del sociologo e filosofo polacco di religione ebraica Zygmunt Bauman.
Ciò che lui fa è sviluppare un’analisti attenta sull’organizzazione di ogni aspetto dello sterminio degli ebrei, strettamente correlato alla modernità, ricordando che niente accadde per caso e che tutto era molto più pensato di come talvolta si potrebbe pensare.
Bauman afferma come non sia sufficiente ricordare ogni anno l’uccisione di oltre sei milioni di ebrei ma riflettere in modo più profondo sulla questione è necessario e fondamentale.
Il discorso è molto complesso, la visione del film dedicato alla grande Hannah Arendt è solo un piccolo passo nella comprensione di un fenomeno così complesso ma si auspica che possa portare i lettori a volersi informare maggiormente, a leggere testi importanti come quelli della Arendt e di Bauman, o a visionare documentari sull’argomento che possono facilmente essere trovati su Youtube, senza naturalmente ignorare le testimonianze di chi l’olocausto l’ha vissuto in prima persona.
“Il terrore inespresso che permea il nostro ricordo dell’Olocausto (collegato, e non a caso, al pressante desiderio di non trovarsi faccia a faccia con tale ricordo) è dovuto al tormentoso sospetto che l’Olocausto potrebbe essere più di un’aberrazione, più di una deviazione da un sentiero di progresso altrimenti diritto, più di un’escrescenza cancerosa sul corpo altrimenti sano della società civilizzata; il sospetto, in breve, che l’Olocausto non sia stato un’antitesi della civiltà moderna e di tutto ciò che (secondo quanto ci piace pensare) essa rappresenta. Noi sospettiamo (anche se ci rifiutiamo di ammetterlo) che l’Olocausto possa semplicemente aver rivelato un diverso volto di quella stessa società moderna della quale ammiriamo altre e più familiari sembianze; e che queste due facce aderiscano in perfetta armonia al medesimo corpo. Ciò che forse temiamo maggiormente è che ciascuna delle due non possa esistere senza l’altra, come accade per le due facce di una moneta.” (Da: “Modernità e Olocausto”, Zygmunt Bauman, Il Mulino 1992, p.15)
(Hannah Arendt, Germania, Lussemburgo, Francia 2012)
Regia: Margarethe von Trotta
Interpreti: Barbara Sukowa, Axel Milberg, Janet McTeer, Julia Jentsch, Ulrich Noethen, Michael Degen, Nicholas Woodeson, Victoria Trauttmansdorff
Durata: 113 min.
Written by Rebecca Mais
Gent.ma Rebecca Mais,
sì, il film su Hannah Arendt di Margarethe von Trotta è un buon film. Tenuto conto del tema e del personaggio trattati, non facili, direi anche un ottimo film. Ben interpretato, oltre che ben documentato e attento e misurato nei ritratti dei personaggi.
Non concordo, invece, sul giudizio di Zigmunt Bauman, che alimenta solo un rifiuto dell’idea di progresso, che pur messa fortemente in crisi dalla prima metà del Novecento, deve essere recuperata, criticata e ripensata, ma mai rigettata e sempre coltivata, se si vuole davvero che ci siano anche in futuro più diritti e meno soprusi, più giustizia e meno ineguaglianza. In Europa e nel resto del mondo.
Pericoloso dire che modernità e Olocausto hanno un rapporto di necessità. Il nazismo è un rigurgito di barbarie atavica, che sempre alberga nella natura umana, che seppe far uso dei mezzi tecnologici e della capacità organizzative statuali che la modernità aveva creato nei secoli precedenti. Confondere mezzi e fine è pericoloso, oltre che logicamente e intellettualmente errato. Questo Bauman dovrebbe saperlo, ma altro è il suo intento, ideologico.
Grazie per lo stimolo a riflettere.
Un cordiale saluto,
Danilo Breschi
Gent.mo Danilo,
sono felice che il mio articolo l’abbia portata a questa riflessione. In effetti ci sarebbe molto da discutere riguardo il saggio di Bauman ma non sono completamente contraria all’idea che il successo di una tragedia simile sia legata alla modernità. Ma non si tratta dell’unico elemento da analizzare. Sono consapevole che non bastino queste mie poche parole per dare un quadro del tutto e avrei dovuto citare anche il sociologo Max Weber (vissuto prima di questi eventi) che, nel caso del processo Eichmann, aiuta a comprendere l’importanza dell’autorità carismatica e dei luoghi della burocrazia. In ogni caso la ringrazio per questo suo interessante commento.
Un cordiale saluto a lei.
Rebecca Mais
“Ciò che forse temiamo maggiormente è che ciascuna delle due non possa esistere senza l’altra, come accade per le due facce di una moneta.”
Credo che, da quanto si evince dalle citazioni, la modernità sia stata presa come punto di partenza storico: nella nostra modernità è stato modernamente organizzato un genocidio: è un’aberrazione un’antitesi alla civiltà moderna, a ” tutto ciò che (secondo quanto ci piace pensare) essa rappresenta” di civiltà e di umanità raggiunta o ne fa parte? Per me ne fa parte e bisogna continuare a cercare dove sta l’inghippo. Purtroppo io ho una mia teoria generale, o anche generica se preferite – non ho presunzioni -, che vede bene e male sempre coesistenti in ogni cosa, per cui + l’uomo si civilizzerà e diventerà “buono” + si imbarbarirà e diventerà cattivo. Purtroppo penso che ogni analisi esaustiva viene alla fine di un periodo e le proposte di soluzioni si fanno in base all’analisi del pregresso e non hanno la capacità di organizzare e perseguire il meglio, in quanto sopraggiungeranno modalità di pensiero, di azione, di interrogativi non previsti o aspetti non riconducibili all’analisi (cose che non quadrano) che, per evitare o ritardare il disorientamento verranno per un certo periodo inglobati nella spiegazione che diverrà ideologia. Con ciò, ovviamente, NON sto dicendo che non si debbano cercare risposte. Se al posto di “modernità”, mettiamo umanità nel senso di esseri umani essa è sempre stata consapevole di questo (emblematica la leggenda di Caino e Abele che possono essere considerati 2 gemelli e quindi 2 facce della stessa medaglia): la modernità ha solo dovuto ricredersi della sua presunzione di aver raggiunto qualcosa di speciale, di aver fatto fare un passo avanti netto, mentre invece non era netto né nel senso di di irreversibile né nel senso di pulito. D’altronde è nata nel sangue .. quindi…
Teresa siamo con te nell’augurio di maggiore consapevolezza dell’uomo.