“La casa dei sogni” di Francesca Candida: un luogo che ritroviamo ovunque vi sia affetto
“Pensami dove non sono,/ sul piccolo balcone,/ sotto un pezzo di cielo/ e la luna è il lampione./ Là dove il glicine è in fiore/ e il campanile canta le ore/ e sorridono i salici/ e il ruscello non muore” – “La casa dei sogni”
Nel luglio 2014 l’autrice di origini piemontesi Francesca Candida pubblica “La casa dei sogni”, una raccolta poetica edita da Rupe Mutevole nella collana Trasfigurazioni.
I suoi versi hanno attirato la mia attenzione, poiché possiedono il dono della sintesi, senza perdersi in inutili “panegirici”, che altro non fanno se non smarrire il lettore. Al contrario, questi sono componimenti brevi, aventi la peculiarità di infondere il loro messaggio nell’immediato.
È l’universo della stessa autrice, quello che si svela. Di una donna che apre le porte della sua mente, dei suoi ricordi e delle sue passioni, e che si dona generosa senza nulla negare, riconoscendo un lato “terapeutico” alla scrittura. Con delicato incedere, mano a mano sempre più cadenzato, ella ci offre la chiave per aprire quella porta e fare la sua conoscenza. Entriamo in possesso dello “strumento” per poterla comprendere.
L’inconsapevolezza, tipica della gioventù, diventa rimpianto velato, associato ad un tempo in cui si era felici, ma non se ne possedeva l’esperienza. “Eravamo felici e non lo sapevamo” afferma Francesca Candida nella chiusa della sua lirica “L’età dell’incoscienza”.
Un’attenta analisi dei versi, ci pone di fronte ad un’evocativa vita agreste, costellata di fiori, alberi e animali. In particolare, l’amore per i gatti, più volte citati, rende questa silloge “completa”, come se la poetessa parlasse attraverso i suoi affetti, ne evocasse il ricordo per renderli “immortali”, indipendentemente dal loro genere di appartenenza.
Ella non parla di cose astruse, bensì di momenti di vita nei quali tutti possiamo riconoscerci, e il suo canto diventa corale. Una delle poesie più toccanti, credo sia proprio “Il gatto”: “Dicono che sei vecchio/ troppo ammalato e stanco./ Non sanno./ Tu solo sai e con un balzo/ mi voli tra le braccia/ e resti lì gioioso e affranto,/ quel poco, quel tanto”.
La poetessa, che dichiara di “guardare il cielo negli occhi”, sembra considerare la vita come una continua prova, consapevole che essa doni molto, ma al tempo stesso, porti anche tanto dolore. Da questi versi traspare una grande umiltà, quella di una donna che mette in continua discussione se stessa e il suo rapporto con il mondo. “Non sono che un piccolo seme/ nascosto in un fiocco di neve”, si legge nella poesia “Altro non voglio”.
Ed è con questo entusiasmo che ho letto, tutta d’un fiato, la silloge poetica di Francesca Candida. E ho capito che forse, la casa dei sogni, appartiene ad ognuno di noi, perché è un luogo che vive nel ricordo.
Un posto dove amore e dolore non se ne vanno, ma rimangono sospesi e sempre ci accompagnano. Persone, luoghi che abbiamo amato e che rievochiamo con struggente nostalgia, albergano in quelle mura. È la purezza che abbiamo perduto, ma che ci apparterrà sempre. In fondo, quella stessa “casa dei sogni” che, a voler ben guardare, si trova ovunque e ogniqualvolta vi sia amore.
Written by Cristina Biolcati