“The Leftovers – Svaniti nel nulla” di Damon Lindelof: quell’insopportabile peso dell’esistenza

Sta per ricominciare sugli schermi di Sky Atlantic, The Leftovers – Svaniti nel nulla, tratta dall’adattamento televisivo del romanzo “Svaniti nel nulla”, scritto da Tom Perrotta.

La serie, confermata per una seconda stagione, è prodotta da Damon Lindelof già creatore, produttore e sceneggiatore principale di Lost, con un bel cast di cui fanno parte, fra gli altri, Justin Theroux nel ruolo dello sceriffo Kevin Garvey, Amy Brenneman (Private Practice e Giudice Amy), Liv Tyler (Il signore degli Anelli) e Christopher Eccleston (Doctor Who).

La storia

Lo show parte, come già in Lost, da un mistero: il 2% della popolazione sparisce di punto in bianco in una giornata come tante: nessuna selezione, nessuna spiegazione, solo tanta rassegnazione e un certo carico di rabbia nei pensieri di chi resta. Un po’ come nelle vita di chiunque, se non fosse che la Sparizione è di per se diversa dalla Morte e sempre nasconde un certo carico di attesa in un ipotetico ritorno, la cui attendibilità risulta alquanto dubbia.

In Leftovers le persone spariscono un normale 14 ottobre: da lì a tre anni, il Mondo va avanti fra ricordi e coraggio, ma sorgono anche delle sette inquietanti: personaggi che rifiutano di parlare e vivere come se niente fosse avvenuto, santoni improvvisati che cercano di risolvere le frustrazioni private a suon di abbracci medicamentosi e agenti assicurativi alle prese con pruriginose pratiche post mortem, oltre a preti che si affrettano a smentire i riferimenti al Rapimento biblico che precederebbe la Fine del Mondo (scritto negli Atti dell’Apocalisse), neanche fosse la Religione “sotto accusa”.  E intanto il mistero su coloro che sono Spariti aleggia come un gas tossico di cui i personaggi non riescono proprio a liberarsi. La Perdita assume i contorni di una ferita non cicatrizzabile, foriera di fantasie improbabili e fughe dai contesti familiari “feriti” dalla Tragedia.

Le vicende del telefilm, ambientate nella più classica delle anonime provincie americane (care a Stephen King) cominciano però a tre anni di distanza dalla Tragedia, e a differenza di Lost (e specularmente a Walking Dead) rinuncia a spiegare il perché della sparizione (per ora) concentrandosi sulle reazioni dei superstiti. In tal modo Leftovers, un po’ come i libri di Stephen King ed una ricca produzione di telefilm contemporanei, rende più facile stilare una rassegna dei possibili comportamenti dinnanzi a quel gigantesco mostro filosofico-esistenziale che si chiama Perdita, non senza qualche spunto di novità. C’è che va avanti, chi si chiude in un mutismo inspiegabile, chi si affida ai ciarlatani, chi combatte contro l’idea che dietro tutto ci sia una divinità inspiegabile (sugli alieni ancora non si sono visti riferimenti).

Il tema della Scomparsa

La Morte, si sa, è qualcosa di profondamente misterioso e difficile da accettare. Quando la ragione della Perdita è avvolta dal mistero, le reazioni umane sono ancora più sproporzionate (ed è quanto l’America ha già sperimentato con l’11 settembre).

Leftovers rispolvera il tema della Perdita, seguendo un filone intrapreso da tempo dalla più recente produzione telefilmica contemporanea: in Lost si affrontava il concetto di progressiva perdita della Realtà, in show come Jericho si assisteva alla progressiva perdita delle informazioni sul destino del mondo in un ipotetico disastro nucleare, in Walking Dead la Perdita riguarda il senso della dignità umana e della Pietà (come già ho scritto).

In Leftovers, la Perdita viene intesa come “insensata” Scomparsa di un familiare, amico o parente, ma viene ampliata all’ennesima potenza e svuotata di ogni senso logico-naturalistico: di fronte ad essa si può essere rassegnati o confusi e arrabbiati, ma comunque il senso di insopportabilità dell’esistenza diviene il nodo centrale intorno al quale ruotano tutti i personaggi. A partire dal protagonista, quello a cui tutti noi ci affidiamo, in una sorta di conforto istituzional-narrativo: Kevin Garvey, un po’ come Rick Grimes di Walking Dead, è lo sceriffo che tiene ordine in una città dove ci si divide fra chi “è andato avanti” e chi “smette di parlare”.

Quasi controvoglia Kevin Garvey cerca di gestire la setta dei “Colpevoli Sopravvissuti” persone rassegnate a quanto accaduto, che non parlano con nessuno e che mirano a conquistare la città, passo dopo passo, imponendo la loro visione del Mondo, rifiutando qualsiasi sostegno istituzionale o conforto religioso, finendo così per vivere nella disapprovazione generale della Comunità che li picchia sistematicamente senza vedersi opporre resistenza.

Un dettaglio che colpisce, e su cui insiste molto Leftovers, è l’odio contro la setta dei Colpevoli Sopravvissuti. La popolazione li teme così come teme la propria Frustrazione interiore, quella frustrazione che non parla, che si traduce in Depressione. Il messaggio che sembra trasparire, è che occorre andare avanti comunque, mentre i Colpevoli incarnano una sorta di moto di coscienza autoreferenziale, una incapacità consapevole di andare avanti, di dimenticare il Passato, spesso richiamato con i riferimenti alla data della sparizione “il 14 ottobre” ( come spesso si è fatto coi riferimenti all’11 settembre). Un’impossibilità che si traduce in una sottesa critica a chi, davanti ad una Tragedia come il Rapimento risponde continuando la propria vita.

Il giudizio

Leftovers si propone dunque come un telefilm interessante perché costruito intorno ad una domanda che affligge un po’ tutti noi, quella relativo alla reazione personale alla Morte “di qualcuno che non sei Tu” e che di fatto ti viene “strappato via” (e i riferimenti all11 settembre tornano sempre più chiari). Andresti avanti?, cercheresti un senso religioso alla tragedia? o ti affideresti a nuove religioni e culti che forniscano una propria alternativa al senso della vita?

E mentre l’interrogativo esistenziale risuona nelle orecchie dello spettatore, di puntata in puntata Leftovers lascia rapiti ed un po’ arrabbiati per il dipanarsi di una trama che, affidata a Lindelof, alterna momenti più razionali e “ di spiegazione” degli eventi, a momenti decisamente irrazionali e quasi sognanti. Una trama che fa arrabbiare non solo per gli aspetti più improbabili (la setta, per esempio), ma anche per il carattere eccentrico di alcune figure e per l’aspetto più visionario di certe soluzioni narrative, che rimandano alle visioni lostiane della jungla. Senza dimenticare l’emblematica figura della setta dei “Colpevoli Sopravvissuti” le cui azioni sono immerse nel mistero e senza una precisa direttiva, bonaria o maligna, e che finiscono così per comportarsi un po’ da pacifisti impiccioni ed un po’ da ladri di ricordi (e Chiese) altrui.

Ci sono dunque aspetti da affinare in questo telefilm, aspetti delicati, legati alla gestione psicologica dei personaggi spesso lasciati alla deriva emozionale (lo sceriffo risulta incapace di gestire la figlia adolescente che passa da bad girl a figlia frustrata dalla perdita della Madre, finita fra i Colpevoli senza che si sia ancora spiegato il perché) o in preda allo sconforto personale (ma non religioso), come il reverendo della comunità.

Vien da chiedersi se questo show continuerà con la linea seguita, ovvero non svelare il perché della Sparizione, o finirà per smascherarne le ragioni; una scelta quest’ultima che svilirebbe il grande interrogativo di Leftovers: posto che la Morte è inevitabile, quanto sei pronto ad accettare la Morte insensata di qualcuno?

 

Written by Antonio Mazzuca

 

 

3 pensieri su ““The Leftovers – Svaniti nel nulla” di Damon Lindelof: quell’insopportabile peso dell’esistenza

  1. Lo dico ogni volta e continuerò a ripeterlo di quanto ogni tua recensione riesca sempre a catturare la mia attenzione! Complimenti davvero, continua a sfruttare questo grande dono! Io continuerò a seguirti! ;)

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