“Ilaria Alpi – la ragazza che voleva raccontare l’inferno” di Gigliola Alvisi: il racconto corale delle donne

Questa di Ilaria Alpi è la storia vera,

uccisa una domenica di primavera.

 

Questo è l’incipit del romanzo scritto da Gigliola Alvisi, Ilaria Alpi: la ragazza che voleva raccontare l’inferno, pubblicato da Rizzoli questa primavera. Si tratta di un libro in cui l’autrice narra la vicenda, che per anni è rimasta irrisolta, della giovane giornalista italiana, corrispondente del TG3, uccisa il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, insieme al fotografo e cineoperatore Miran Hrovatin.

Sono passati vent’anni, dunque, e ancora si cerca di capire bene che cosa sia successo durante quella fatale domenica. La pista da seguire pare che sia il traffico d’armi, che fu ipotizzata dai servizi segreti italiani meno di due mesi dopo la morte della giornalista. Il libro di Gigliola Alvisi è dedicato a Luciana Alpi, la mamma di Ilaria: «che in questi venti anni ha combattuto con dignità e coraggio».

A Ilaria sono stati destinati numerosi racconti, oltre a diverse canzoni – come quella del gruppo rock marchigiano, Gang – Chi ha ucciso Ilaria Alpi, che recita grossomodo così: «Dove la terra non è di nessuno/ là dove il cielo è sepolto dal fumo/ in mezzo alle fiamme cercò il mistero/ Ilaria divise il falso dal vero/ Là sulla strada lontana da casa/ Ilaria fu colta dal suo destino/ in mezzo alle fiamme l’hanno lasciata/ le presero il cuore e il suo taccuino». Il suo immancabile taccuino, in cui annotava pezzi importanti dei suoi servizi televisivi. Una vita dedicata al giornalismo questa della giovane donna che, dopo una gavetta in cui ottenne le prime collaborazioni con Paese Sera e L’Unità, vinse una borsa di studio per entrare alla Rai.

Eppure Italo Calvino nell’opera Le città invisibili (1972) sosteneva che: «Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure». La Somalia era per Ilaria una terra dilaniata dalla guerra civile, ma costituiva anche la possibilità di mettersi in gioco per svolgere il mestiere tanto desiderato. La ricerca incessante all’ultimo scoop, che emerge dai dialoghi del racconto scritto dall’Alvisi – alcuni inventati, altri invece reperibili su YouTube – che è consigliato anche a un pubblico di giovani lettori – età di lettura da dodici anni. Sono dialoghi in cui Ilaria esprime i suoi dubbi e le sue perplessità, ma anche la voglia di scoprire che cosa si nasconde dietro ad alcuni fatti apparentemente inspiegabili. Parole in cui emerge non solo la forte e decisa personalità della donna, ma anche di Jamilia una ragazzina somala che è frutto dell’immaginazione dell’autrice, che tuttavia potrebbe essere vissuta realmente. Così, conosciamo anche l’ipotetica voce delle donne somale che formano, insieme alla protagonista, un racconto scritto da una donna, in cui è la femminilità a fare da protagonista, ma che è rivolto a tutti.

La narrazione procede seguendo uno schema ben congegnato e dal ritmo incalzante, in cui si giungerà – a seguito dell’esposizione dei temi principali non solo della guerra, ma anche della violenza inaudita che le donne del posto subiscono da parte della società somala, maschilista e misogina – alla fatidica data di morte della protagonista. Infatti, dalla prefazione scritta da Mariangela Gritta Grainer – portavoce dell’Associazione Ilaria Alpi, che ha come obiettivo quello di conservare la memoria della giornalista e di difendere la libertà di stampa e d’informazione – si leggono queste parole: «Non tacere l’ingiustizia, le violenze, le guerre, le diseguaglianze insopportabili, le ragioni che ne sono causa e che spesso hanno a che fare con affari sporchi, traffici illeciti di ogni tipo organizzati dalle criminalità mafiose “coperte e/o aiutate” da poteri pubblici e privati. Cercare sempre la verità e comunicarla. È questo che ha fatto e fa paura. Per questo la verità sulla sua uccisione ancora non si conosce per intero».

Non bisogna tacere l’ingiustizia, quindi, ma consentire a tutti – anche alle donne – di esprimersi liberamente e di rivelare fatti osceni, che dimostrano quanto l’uomo possa essere crudele. È quello che fa l’autrice del libro, che riprende con rigore documentario alcuni eventi come l’aggressione a Laila, la giovane donna somala che nel luglio del 1993 ha rischiato il linciaggio da parte dei suoi concittadini, e ancora l’infibulazione. In altre parole, il rito della mutilazione genitale femminile, praticata soprattutto in tenera età che è una delle cause principali della mortalità. Tuttavia, questa tradizione – che proviene dall’antico Egitto – non è menzionata nel Corano, pertanto non è richiesta dall’Islam.

La presenza di Jamila contribuisce a osservare e riflettere su questi temi da una prospettiva diversa, tipica dei bambini che per la prima volta scoprono il mondo che li circonda. Sicché nel racconto, come dice la stessa Grainer: «Si offre un doppio sguardo: quello di Ilaria e quello di Jamilia». La bambina è perciò la chiave di lettura del libro, di cui Gigliola Alvisi si serve per farci conoscere la storia di due culture molto diverse fra loro: quella occidentale dell’Italia – terra natia della giornalista – e quella orientale della Somalia, in cui è nata e cresciuta Jamilia. Ma è anche l’espediente con cui l’autrice fa emergere le abilità di Ilaria che sapeva esprimersi correttamente in arabo, e che amava l’Africa tanto da voler scoprire la realtà del posto.

Il 20 marzo 1994, l’agenzia Ansa comunica la notizia dell’uccisione di Ilaria Alpi con queste parole, che sono riportate sui terminali dei quotidiani e delle televisioni italiane: «Mogadiscio, 20 marzo – La giornalista del TG3 Ilaria Alpi e il suo operatore, del quale non si conosce ancora il nome, sono stati uccisi oggi pomeriggio a Mogadiscio nord in circostanze ancora non chiarite. Lo ha reso noto Giancarlo Marocchino, un autotrasportatore italiano che vive a Mogadiscio da dieci anni». L’identità dell’operatore, che aveva accettato di seguire la giornalista nelle sue indagini in Somalia, sarà chiarita in seguito. Pertanto, in un racconto al femminile, emerge un’importante presenza maschile, quella di Miran che è descritto come: «Un uomo imponente, con un viso cordiale incorniciato da una barba scura in cui spuntavano i primi fili bianchi […] era nato fotografo, osservava il mondo con lo sguardo che calcolava già luce e inquadrature». Un uomo che amava e rispettava la moglie e i figli.

Sul caso di Alpi-Hrovatin hanno indagato quattro magistrati e due Commissioni parlamentari, che hanno tentato di capire non solo il motivo per cui c’è stata l’omissione di soccorso, ma anche la sparizione dei block notes e di alcune videocassette, la decisione di non eseguire l’autopsia, la violazione dei sigilli dei bagagli e una tesi dettata puramente dalla casualità. Innumerevoli sono stati i depistaggi sulle indagini dell’omicidio, che sa tanto d’intrigo internazionale. In fondo, Ilaria aveva scoperto un segreto rivelato solo a Miran. Infatti, nel racconto quest’ultimo chiede alla donna «Chi altro lo sa?» e lei risponde: «Nessuno. Soltanto io, e adesso anche tu».

In questi giorni sono emersi elementi importanti contenuti nei documenti della Commissione Alpi-Hrovatin, in cui pare che la giornalista e l’operatore abbiano scoperto un traffico di armi. In passato le ipotesi erano state giudicate attendibili: «Secondo notizie provenienti dalla Somalia la nave della cooperativa italo-somala ‘Somalfish’ sequestrata, a suo tempo, a Bosaso – riportava il Sisde – avrebbe in precedenza trasportato armi di contrabbando per la fazione Ssdf (Somali salvation democrati front) di quella città. Quanto sopra sarebbe emerso nel corso dell’ultimo servizio effettuato dalla giornalista italiana Ilaria Alpi, in quella zona prima di venire uccisa molto probabilmente perché qualcuno avrebbe avvertito i capi dei contrabbandieri». Inoltre, una fonte confidenziale del Sisde ha indicato i nomi dei presunti mandanti – sia somali, sia italiani −, in cui spunta il nome del generale Mohamed Farrah Aidid. Pare che anche Giancarlo Marocchini sia implicato nel traffico di armi, usando alcune navi della cooperazione Italia-Somalia.

Ci si chiede se la verità verrà totalmente a galla, e se finalmente sarà fatta giustizia. In fondo era quello che avrebbe voluto la stessa Ilaria Alpi che, con animo nobile e la professionalità che l’ha sempre caratterizzata, ha pagato con la vita la sua coerenza e i suoi ideali a favore dell’umanità.

 

Written by Maila Daniela Tritto 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *