“Transit”, spettacolo della Ananda Puijk Company, unica data italiana a Milano

Il 17 e il 18 gennaio al Teatro Verdi di Milano è andata in scena l’unica data italiana (e prima nazionale) di Transit della Ananda Puijk Company, una compagnia tutta femminile, composta da due sorelle.

 

Lo spettacolo unisce danza, performance, pupazzi, maschere, musiche (di Jur de Vries) per accompagnare lo spettatore in una riflessione sulla vecchiaia.

Si tratta di una serie di tableaux vivant che hanno per protagonista alternativamente una bambola a grandezza umana, snodata, con  il volto da vecchio, una trapunta che diventa un abito viola, una maschera (che – citando il film The mask, forse in modo involontario – si appiccica al viso e cambia l’indole della persona cui si applica),  una serie di pupazzi di un uomo anziano, a diverse grandezze.

Momenti comici (quando il vecchio piccolo comanda quello grande e lo insegue, in un a lotta tra volere fare e poter fare), poetici (il ballo dell’abito viola: semplicemente maestoso e a parere di chi scrive il momento più alto dello spettacolo) e malinconici (la bambola che cerca di sovrastare e infine vince la donna giovane di carne) punteggiano i 50 minuti di spettacolo.

Poche parole, registrate, in inglese. Evocative del ricordo, della possibilità non consumata e della malinconia.

Ananda Puijk e Charlotte Puijk Joolen danno vita a uno spettacolo quasi magico, in cui oggetti scenici appaiono dal nulla, e ciò che lo spettatore vede si trasforma sotto i suoi occhi. Cose e persone appaiono e scompaiono sotto il nostro naso, grazie all’abilità delle due performer e ai giochi di luci, oltre che all’uso scenico perfetto di una grande scatola magica.

Nelle sue performance Ananda Puijk si concentra sulle cosiddette piccole emozioni: quelle che si trovano dietro la superficie. Debolezze e insicurezze sono al centro della sua ricerca, e cosa c’è di più paradigmatico di debolezza dell’invecchiare?

Ha spiegato l’artista:Nella vita quotidiana ho iniziato a vedere molte piccole cose e molte persone lottare proprio con queste cose e confrontarsi con la sensazione che quando queste non si riescono più a fare fisicamente si vorrebbe fare di più, poiché si rimane sempre la stessa persona e ci si sente ancora utili per la società in cui viviamo.

Una lotta che trovo molto emozionante. Faccio spettacoli senza parole, perché le parole non bastano a esprimere ciò che voglio comunicare al pubblico. Penso sia interessante che il pubblico possa fare le proprie associazioni partendo dalle immagini.

Questo è il momento in cui iniziamo a comunicare. Provo a cercare immagini universali per fare in modo che il pubblico possa creare la propria storia”.

 

 Written by Silvia Tozzi

 

 

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