“La scopa del sistema”, romanzo di David Foster Wallace: un sofisticato gioco di finzione

La prima difficoltà che si affronta nel parlare degli scritti di David Foster Wallace è quella di riuscire a scindere l’opera dalla persona e dal mito di David Foster Wallace.

Anche ammettendo di riuscire a non tenere conto dell’insormontabile distanza che segnava l’abisso tra lui ed i suoi contemporanei, anche distogliendo lo sguardo dalla tragica morte con cui ha voluto porre fine a quarantasei anni ad un’esistenza troppo grave per il suo mondo, si scoprirebbe con un guizzo di banale stupore, che si tratta di problemi tanto irrisori quanto futili.

L’anima di David Foster Wallace straborda da ogni sua pagina.

Si può leggere La scopa del sistema” con l’astio del lettore da ombrellone, lamentando l’assenza di un colpo di scena, di un infittirsi della trama, di un segnale di svolta qualsiasi. Un’assenza che accompagna gli svariati personaggi del romanzo per la lunghezza di 553 pagine (nemmeno la metà rispetto al suo secondo romanzo “Infinite Jest”) nella loro piatta, asfissiante nonché surreale quotidianità.

Oppure si può assurgere al pensare che i libri di Wallace non possono essere letti nel comune senso del termine. Nei libri di Wallace ci si deve immergere fino a bagnarsi del nero inchiostro delle parole per riuscire ad avvicinarsi al mondo che lo scrittore cercava di comunicarci.

Una volta immersi scopriremo come, da quella muta assenza si sparga un grido unico che lega tutti i mirabolanti nonché insoliti protagonisti. Individui tanto diversi quanto strettamente accomunati dalla singolare piega del loro affacciarsi alla vita.

Dalle convulsioni igieniste di Lenore, sinuosa e leggera con i suoi abiti bianchi e le Converse nere,  alle tenere paranoie amorose di Mr Vigorous, alla protesi con cassetto dell’Anticristo finanche alle scatole di cioccolatini donate per metà di Norman, ogni figura si presenta, con tutte le sue difficoltà, lasciando la sensazione continua di una narrazione che sfugge.

Solo a romanzo inoltrato si inizia a percepire il sofisticato gioco che ha permesso all’autore di lasciare il profondo solco che lo ricorda nella letteratura contemporanea.

Wallace è la capacità di scrivere un romanzo senza storia, poiché il fulcro della narrazione si distacca da essa. La storia dei romanzi di Wallace sta nella mente stessa dei suoi protagonisti. E per la loro stessa natura di personaggi di finzione, sta più precisamente nella mente di Wallace.

Gli apprezzati ed arzigogolati stream-of-consciousness che tanto rendono amata la sua scrittura, legano le diverse fatture dei singoli personaggi in un’anima che è un tutt’uno di pensieri, di manie, di psicosi, di ricordi infantili, di attenzioni anomale per i dettagli più insensati, di associazioni di idee tanto sconnesse quanto reali.

La sottile trama che vede l’improvvisa scomparsa della bisnotta di Lenore e realtive ricerche ed ansie della nipote è solo un semplice collante che incornicia i protagonisti della storia.

Protagonisti descritti tramite gli oggetti che fanno parte della loro vita, tramite i loro abiti, tramite tutto ciò che da loro è esterno e paradossalmente c’è li fa conoscere nel profondo.

Se si aggiungono poi l’ironia sensibile che caratterizza lo scrittore, la filosofia, la società capitalista, il potere del denaro, il valore moderno della famiglia, ovvero tutti i tratti che fanno del romanzo un autentico DFW, non si può che amare quest’opera, che si fa divorare, fingendo di dire il nulla e custodendo invece in sé tutto il necessario.

 

Written by Francesca Lettieri

 

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