“Cose… di cosa nostra”, romanzo di Mario Barbara: il tutto ha inizio con una tragica sparatoria

Approcciarmi con  questo  romanzo di Mario Barbara non è stata un’impresa facile perchè  “Cose… di cosa nostra” non fa  altro  che  sviluppare la precedente storia, edita dallo stesso autore  “Un sogno lungo una vita”.

Difficile,  perchè se devo essere sincera, come lo stesso autore spero apprezzerà, l’idea che potesse essere una continuità del precedente romanzo non mi  entusiasmava,  non amo la continuità di una storia in un secondo libro,  mi piace cambiare,  scenari e personaggi,  contesti e  storie.

L’approccio quindi al romanzo è stato inteso unicamente a rispettare l’impegno preso per un  autore che stimo;  ma naturalmente “Errare humanum est” e questa volta mi  sono sbagliata alla grande,  perchè il libro non solo è l’evoluzione della storia nel precedente  romanzo di Mario Barbara,  ma  perché addirittura è risultato più bello,   a mio modesto parere…

Il contesto socio-culturale è sempre l’immaginario paese di Miramonti,  paese di una Sicilia retrograda, dove le famiglie mafiose continuano a controllare le vicende politiche e sociali del paese, dove le donne sembrano avere un ruolo sempre secondario: “Il motto gattopardesco di cambiare tutto perchè tutto rimanesse come prima, continuava a imperare nella mente di chi fino a quel momento aveva gestito le leve di comando di questa tormentata isola di Sicilia”.

 Il personaggio attorno al quale gira la vicenda  è sempre Paolo Santoro, detto “Paolino” che nel frattempo ha realizzato le sue ambizioni politiche, diventando sindaco di Maremonti, ritrovandosi oggi alla scadenza del suo mandato politico e ad un passo dalle nozze.

Il tutto ha inizio con una tragica sparatoria che vede contendersi il potere fra le due più “prestigiose” o meglio famiglie “Ntisi” del paese, i Testagrossa ed i Mezzatesta.

Naturalmente lo svolgersi della vicenda è legato unicamente all’avvicendamento politico nella poltrona di sindaco: “…tutti pronti a lamentarsi e criticare ma nessuno disposto a sbracciarsi e a getarsi nella mischia, era sempre la solita filosofia armamuni e partiti (armiamoci e partite)”.

Ma la novità vera di questo romanzo è per me la figura femminile, che nel capitolo “Le donne di mafia”,  trova un riscatto; in realtà le donne sono presenti in tutta la narrazione, rappresentate  da figure tutte diverse tra di loro,  quindi ritroviamo la  pittoresca  Marannina  “ncucchia viddichi” ovvero la donna regina del pettegolezzo  che sprigionando la sua teatralità attraeva i passanti che ascoltavano  imbabolati  i fatti narrati,   veri  ma arricchiti di particolari da lei stessa inventati; poi ritroviamo la caparbia dolcezza di Benedetta Mezzatesta, cresciuta in un ambiente dove l’omertà regnava sovrana  e “dove si agisce sempre  in segreto, non sapia la destra quello che fa la sinistra; tutte una serie di attenzioni che poi diventano regole comportamentali…”.

Benedetta dunque, riflessiva, attenta e silenziosa, ma nella vendetta tremenda;  torna nella vicenda Santina, una sua vecchia fiamma, trasferitasi in America che prese in sposo un anziano italo americano mafioso; e troviamo la dimessa Carmela, moglie a Peppino,  i quali  aiutavano nella fuga, Simone, il marito di Benedetta, e proprio Carmela si svestirà dei suoi  panni di donna triste e insoddisfatta nel momento in cui attratta dal giunonico corpo di Simone lo coinvolgerà in un amplesso sessuale: “Rimase imbabolata a guardarlo, le cosce dure come pietra, (…). Non ci pensò due volte, si tolse la lunga camicia da notte che copriva il suo giunonico corpo e si sdraiò accanto a Simone…”.

Queste solo alcune delle “femmine” presenti nel romanzo di Barbara, romanzo che si legge tutto d’un fiato, in cui i luoghi sembrano prendere vita solo attraverso una dettagliata descrizione, in cui viene fuori una Sicilia tormentata ma piena di colori, una Sicilia in cui tutti vorrebbero vivere  e contribuire a cambiarla.

Buona lettura.

 

Written by Barbara Filippone

 

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