“Le notti bianche” di F.M. Dostoevskij – recensione di Rebecca Mais

Mi diede silenziosa la mano ancora tremante per l’agitazione e lo spavento. O indesiderato signore! come ti benedicevo in quel momento! Le diedi un’occhiata di sfuggita: era una deliziosa brunetta – avevo indovinato; sulle sue ciglia nere brillavano ancora le lacrimucce del recente spavento o dell’amarezza precedente, – non so. Ma sulle labbra già scintillava un sorriso. Anche lei mi diede una rapida occhiata, arrossì leggermente e abbassò la testa.

Un giovane uomo, un cittadino di Pietroburgo, ha l’abitudine di costeggiare ogni sera il canale non lontano da casa sua quando una notte incontra una giovane donna che sta piangendo.

La sua timidezza gli impedisce di avvicinarla ma in lei nasce l’impressione che lui sia un malintenzionato ed ecco che decide di passare all’altro lato del marciapiede dove però trova un signore barcollante che comincia ad inseguirla.

Così il protagonista del racconto corre in suo soccorso e per lui è dono dal cielo che gli permette di iniziare una profonda amicizia con lei che dice di chiamarsi Nasten’ka. Come ci si può facilmente immaginare lui finisce per innamorarsi della bella brunetta ma il cuore di lei è già di un altro al quale sembra però non importare più niente di lei.

Le notti bianche” (Newton Compton Editori, 2013) di Fëdor Michajlovič Dostoevskij venne pubblicato la prima volta nel 1848 sulla rivista “Quaderni patriottici” e viene riproposto in una nuova veste come una delle opere più lette ed apprezzate dello scrittore russo.

Il protagonista del racconto è il prototipo del sognatore, colui che fantastica su ogni cosa gli accada, su ciò che lo circonda e naturalmente sulle esperienze che vorrebbe intraprendere.

Quando il ragazzo incontra Nasten’ka crede per un attimo di aver trovato la realizzazione ai suoi sogni ma è nel momento in cui lei dimostrerà affetto per un altro che lui torna a rifugiarsi nelle sue fantasie.

Un fantasticare così impalpabile ma al tempo stesso struggente e penoso.

E’ amore e poesia allo stato puro, è solitudine e consolazione. È l’esempio di come l’uomo possa vivere alimentandosi solamente del suo stesso desiderio.

La narrazione si sviluppa tramite il dialogo dei due protagonisti che sono come isolati dal mondo.

Attorno a loro una magica Pietroburgo che da una parte avvolge e protegge gli innamorati e dell’altra ne fa incontrare e dividere altri.

Si potrebbe flemmaticamente trattare della narrazione di un sogno, di quella dolce sensazione che proviamo al risveglio dopo la visione di qualcosa di bello e rassicurante prima e della delusione saggiata poi nel momento in cui facciamo nostra la consapevolezza che si trattava solamente di una visione ad occhi chiusi.

 

Written by Rebecca Mais

 

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