Resoconto della mostra “A Casa” di Cristina Pancini, Milano
La mostra personale della toscana Cristina Pancini, classe 1977 presso la Antonio Colombo spicca per grazia e delicatezza.
Il titolo, A Casa, vuole richiamare una dimensione domestica del vivere, ma, in realtà, le opere portate a Milano dalla curatrice Matilde Martinetti se a una casa fanno pensare è a una casa magica immersa nel bosco.
Infatti, subito nella prima sala, il visitatore è accolto da un agnellino con delle lance (sulla cui punta spiccano delle lampadine) in testa (Brilla per vedere, 2012), a mo’ di corna, da un gatto che gioca con qualcosa di invisibile (A due passi da casa) e da un lupo (cattivo?) in agguato. La seconda sala, invece, della casa ha la forma espositiva.
I quadri della Pancini, spesso di minuscole dimensioni, racchiusi in delicate cornici smaltate, sono stati sistemati tra alcuni arredi: uno spicca all’interno di un armadio, tra i vestiti appesi, un altro è sistemato in un cassetto di una scrivania.
Nelle intenzioni di Martinetti, l’esposizione dovrebbe ricordare una abitazione (di cui la parte degli animali sarebbe il cortile), ma, in realtà, mischiare mobili e quadri se da un lato confonde, da un altro, dato che i suppellettili scelti ed i vestiti appesi richiamano la matericità di quanto ritratto dall’autrice, e i colori da lei prediletti, crea un’atmosfera molto forte, ed accresce l’effetto di surreale che i volti ridenti e rotondi, curatissimi in ogni particolare e disegnati con evidente amore, infondono nel visitatore (meravigliosa la smorfia di Tu mangia a bocca aperta, dl 2012).
“Ad accompagnare in questo spazio casalingo ci sono quadri con facce celate da mani vecchie (il ricordo) e mani giovani (il futuro). Ogni armadio, scrivania, specchio, salotto, corrisponde ad una diversa sfumatura del concetto di casa ma tutte assieme ci ricordano che Casa è un’idea che ci accompagna, non esclusivamente, un luogo fisico“, spiega l’autrice.
Interessante l’uso dell’ampio spazio bianco che avvolge i soggetti (creati su carta con acquerello e matite), quasi a porli a metà tra strada tra il concreto ed il mondo onirico, astratti da qualsiasi riferimento spazio-temporale così da metterne in risalto la precisa funzione in questa affascinante narrazione.
Le opere, per la maggior parte del 2012, realizzate per lo più a matita, trasudano poesia, malinconia, atmosfera rarefatta.
Sembrano fatte di stoffa, sono colorate, sognanti, a esseri viventi si mischiano oggetti soavi, i volti, mai belli, sono sempre espressivi e amabili. L’uso leggiadro della matita ricorda Marco Mazzoni, di cui Pancini ha lo stesso senso della composizione.
Un’artista da tenere assolutamente d’occhio!
Written by Silvia Tozzi