Intervista di Lorenzo Carbone a Giovanni Garufi Bozza ed al suo “Selvaggia, i chiaroscuri di personalità”

Selvaggia, i chiaroscuri di personalità”, edito da Drawup Edizioni, è stato scritto da Giovanni Garufi Bozza, psicologo di professione, che nel tempo ha sviluppato una forte passione per la scrittura dando vita a questo romanzo nonché partecipando a una collana di racconti sul tema della crisi dal nome Crisalide.

Questo libro, che ha avuto inizialmente un ottimo riscontro su Ilmiolibro.it per poi essere pubblicato da una vera e propria casa editrice, esplora le emozioni e le vicissitudini di un ragazzo che incontra una ragazza che ha la particolarità di avere due vite totalmente separate.

Tutta la storia è la rappresentazione di un viaggio, e di una possibilità di cambiamento nelle vite di questi due ragazzi che nel loro incontro riescono a creare qualcosa di nuovo e nel loro confronto riescono ad immaginare e quindi a cominciare una vita diversa.

 

L.C.: Che ruolo hanno le maschere nel tuo romanzo?

Giovanni Garufi Bozza: Ciao Lorenzo, e grazie di onorarmi di questa intervista.  Le maschere hanno un ruolo centrale nello svolgersi della storia, che trattando di una doppia personalità, parla di occultamenti, di coperture, che la protagonista indossa per sopravvivere nella relazione con sé stessa e con gli altri. Il lettore incontrerà una ragazza, Martina, con un  carattere chiuso, introverso e scontroso e successivamente la ritroverà nei panni di Selvaggia, una persona solare, allegra ed estroversa, maschera per relazionarsi col mondo.
Anche il protagonista maschile, Daniel, proverà una notte ad indossare una maschera, provando  l’ebbrezza dell’essere irriconoscibile, dell’essere un personaggio inesistente, e del poter passare  una serata senza regole sociali.  Il messaggio che viene lanciato è che in molte occasioni indossiamo maschere per stare nel mondo, per farci accettare, per nascondere le nostre debolezze. Talvolta queste maschere possono cristallizzarsi fino a creare un profilo patologico, come è per Selvaggia.

 

L.C.: La scelta del tema della doppia personalità da dove deriva, da un tuo interesse o ha una storia più lunga?

Giovanni Garufi Bozza: Studiando psicologia, va da sé che il mio interesse verta sulle patologie “psi” (oltre che sulle emozioni, sulle relazioni e su quant’altro sia fonte di salute). È chiaro che avrei potuto scegliere qualunque tipo di patologia, come l’anoressia per esempio; tra tutte, però, ho reputato sempre la doppia personalità come una delle patologie più affascinanti,
capace di sdoppiare il proprio Sé e di creare due entità del tutto diverse tra loro. Inoltre, a livello narrativo, permetteva di giocare con l’assurdo e col pregiudizio di normalità,
che fanno da scheletro alla storia.

 

L.C.: Per quanto un personaggio sia sempre il risultato dell’immaginazione a volte prende
spunto da fatti e persone reali, c’è qualcosa di te nel personaggio maschile
protagonista almeno nel carattere?

Giovanni Garufi Bozza: Abbiamo delle affinità in comune, ma ho cercato di renderlo quanto più disponibile all’ascolto e capace di talenti che io non ho, quali ad esempio, tra le tante, il suonare la chitarra e guidare il motorino (cose che io non so fare). In tutto il romanzo gioco con le personalità, con i Sé dei protagonisti. Neanche Daniel sfugge a questo gioco, rappresentando il mio Sé ideale, ovvero la personalità che vorrei avere ma che non ho.

 

L.C.: Che ruolo ha secondo te la società nel creare le maschere che poi per convenienza o per sopravvivenza finiamo per indossare?

Giovanni Garufi Bozza: La società ha un ruolo basilare nella costruzione delle nostre maschere. La prima regola che mettiamo in campo nel relazionarci con l’altro è l’essere accettati. Le convenzioni sociali bloccano il nostro vero Sé, impongono una doverosa mediazione di convivenza sociale. Talvolta le convenzioni sociali, le regole, il giudizio dell’altro ci costringono a fingere di essere ciò che non siamo. La prima regola che ha l’Io per esistere è l’esistenza di un Tu, di un altro che confermi la nostra esistenza. Questo Altro non è indifferente per noi, ha un suo giudizio e cerchiamo a tutti i costi di piacergli (adeguandoci) o di sfidarlo (trasgredendo le regole che ci impone). Se questo Altro lo proiettiamo nella società più in generale, vediamo quanto ci adeguiamo o trasgrediamo, indossando maschere per compiacere o sfidare il contesto in cui viviamo. Martina, nei panni di Selvaggia, si adegua alla società. Selvaggia, raccontandosi a Daniel, sfida le convenzioni sociali.

 

L.C.: I dialoghi nel romanzo sono molto ben curati, che tipo di tecnica utilizzi per dargli veridicità?

Giovanni Garufi Bozza: Semplicemente l’immedesimazione. Immagino la scena che voglio descrivere, quasi avessi davanti un film, e la riproduco su carta, immaginando i toni e le emozioni che ogni personaggio vorrebbe comunicare  a sé stesso e all’altro, e utilizzo la punteggiatura per renderla il più possibile realistica e di facile lettura. Lo scambio è molto veloce, spesso ricco di interruzioni tra i personaggi. Inoltre, aggiungo talvolta espressioni dialettali, parolacce e modi dire, che costituiscono il parlato quotidiano. Rinuncio alla forma per trasmettere la sostanza, insomma. Mi sono concesso questa licenza poetica!

 

L.C.: Per entrare ora nel tema della scrittura in genere, che tipo di cambiamento credi possa creare
scrivere in una persona? Che consigli ti sentiresti di dare a una persona che vorrebbe cimentarsi in questo ambito?

Giovanni Garufi Bozza: La scrittura ha un pregio importante: permette una metariflessione, cioè un “riflettere su”. L’oggetto di riflessione è tra i più vari (sé stessi, i propri pensieri, la propria immaginazione, la società, la riflessione stessa ecc.) Ti mette dunque in contatto con il tuo essere, con ciò che vuoi comunicare all’altro ed alla società più in generale.
E ti mette alla prova, sfidandoti ogni volta che costruisci una narrazione di qualunque tipo: perché ciò che scrivi deve innanzitutto essere chiaro e piacevole per te, cosa mai scontata e non banale (è da qui che provengono i famosi blocchi dello scrittore!). Scrivere dunque aiuta a migliorarsi a creare un contatto con sé stessi, modifica nell’intimo il nostro essere mettendoci alla prova ogni volta che pigiamo la nostra tastiera o prendiamo una penna in mano.
Che consiglio dare? Cimentarsi, credere in sé stessi e in ciò che si scrive, avere però ben chiaro che il mondo editoriale è in crisi nera. Non sperate di campare con i vostri libri, al momento è davvero complicato. Ma condividete con gli altri ciò che avete scritto (che siano gli amici o che siano lettori sconosciuti, in caso di pubblicazione) perché aiuta a crescere, a migliorarvi, a creare nuove metafore su voi stessi e su ciò che avete scritto.

 

L.C.: Che importanza dai alla scrittura nella tua routine giornaliera? Scrivi sempre nel tuo tempo libero o ti imponi una sorta di tabella oraria?

Giovanni Garufi Bozza: In parte mi programmo, in parte seguo il vento dell’ispirazione. Tenendo un blog, scrivendo recensioni, avendo una radio on-line da cui intervisto gli autori emergenti, promuovendo il mio libro, e dovendo rispondere a interviste scritte come la tua, mi trovo a dovermi  programmare dei ritmi celeri di scrittura. Il resto è legato all’ispirazione, a quando la Musa chiama. E spesso approfitto a scrivere nei lunghi viaggi che spesso faccio (in treno o in aereo) o nel percorso in metropolitana che collega casa al lavoro. Scrivo spesso su un diario, specie quando viaggio: annoto ciò che vedo, ciò che sento, le emozioni che provo,
e stralci dei romanzi o delle storie che sto pubblicando. Od annoto come modificare una storia in virtù di quella particolare esperienza che il viaggio mi ha concesso di vivere.

 

L.C.: Questa due domande le faccio a Giovanni Garufi Bozza psicologo:Perché pensi sia così importante per l’essere umano evadere con la fantasia?

Giovanni Garufi Bozza: Se non importante, è quantomeno fondamentale. In un mondo come oggi che ci lega alla routine ed alla ripetizione coatta della nostra vita, la fantasia ci garantisce la sopravvivenza e la conferma che siamo umani e non macchine robotiche che ripetono le loro giornate in modo stereotipato. E la fantasia ci garantisce una via di fuga sana, alternativa ai mezzi di evasione che abbiamo oggi (Tv, internet, facebook ecc.) che se in parte è vero che rilassano rilassano, rischiano da un lato di creare dipendenza e dall’altro ci fanno evadere in modo passivo, consegnandoci del materiale già masticato, su cui possiamo influire solo in parte. La fantasia ci aiuta ad evadere completamente, a distaccarci, a riflettere su noi stessi, ad andare su mondi lontani, raggiungendo quasi un delirio di onnipotenza. L’importante è poi tornare nel qui ed ora della nostra vita.

 

L.C.: È vero che la scrittura ha una sorta di capacità terapeutica sulle persone, sia per chi scrive
che per chi legge? Consiglieresti quindi un libro come rimedio a un malessere?

Giovanni Garufi Bozza: Parto dalla lettura: sicuramente ha il potere di rilassare e distrarre.
Il vero mezzo terapeutico è però la scrittura. Ti narro questa storia: uno psicologo americano, Pannabaker, chiese ai suoi studenti di scrivere per una  settimana in merito ad un trauma subito recentemente. Non era importante come scrivessero, l’importante era  che trattassero del trauma e delle loro emozioni. I risultati furono sorprendenti: gli studenti che parteciparono tirarono fuori traumi vissuti in passato in buona parte mai rivelati a nessuno.
Alcuni studenti piansero mentre scrivevano, ma i ricorsi al medico di quel college calarono drasticamente (non so se lo sai, ma mente e corpo sono collegati in modo viscerale, e ogni malessere a livello mentale si ripercuote in qualche modo sul corpo, sui dolori, sul malessere e persino sulle molecole dello stress, causa di tante patologie). Fecero nuovamente l’esperimento analizzando i livelli di cortisolo (la molecola dello stress, causa di infarti, trombosi, e via dicendo): tali livelli, dopo una settimana di scrittura, diminuirono drasticamente, con il contemporaneo incremento del benessere dei soggetti di ricerca. Da allora la tecnica della scrittura è utilizzata in vari ambiti per la promozione del benessere e il trattamento del trauma.  Un bel potere terapeutico, non vi pare? 

 

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