15 Novembre 1976, moriva Ercole Patti, scrittore, giornalista ed intellettuale eclettico

Ercole Patti. Uno degli ultimi intellettuali poliedrici, dedito quasi interamente al giornalismo e alla narrativa ma anche sceneggiatore cinematografico  e autore teatrale.

 

Nasce a Catania, al tempo autentica fucina di talenti,  il 16 Febbraio 1903. Nipote dello scrittore Giuseppe Villaroel, ha così modo di entrare in contatto sin dalla più tenera età con la cultura e con personalità eminenti del panorama letterario come Verga, Pirandello e Brancati.

All’età di 15 anni fa il suo esordio letterario con la novella “Il chiodino”, pubblicata sul Corriere dei Piccoli. Ma la vera svolta arriva quando, dopo la maturità classica, inizia a fare la spola tra Catania, dove è iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, e Roma, dove frequenta la “terza saletta” dello storico Caffè Aragno, quella riservata ai letterati. Tra i tanti intellettuali e artisti che ivi si danno appuntamento,  conosce De Chirico, Cardarelli e Soffici.

La prima parte della sua carriera è consacrata per lo più al giornalismo: è inviato speciale in diversi Paesi per conto di varie testate e segue la guerra d’Etiopia come inviato della Gazzetta del Popolo. Collabora inoltre a vario titolo con il Corriere della Sera, La Stampa e altri prestigiosi quotidiani, occupandosi di argomenti di varia natura.

Tra le sue opere più significative, vanno ricordate “Giovannino” (1954), “Un amore a Roma” (1956), “La cugina” (1965), “Diario siciliano” (1971), che gli valse il premio Campiello, e “Roma amara e dolce” (1972). Ma il suo capolavoro indiscusso è “Un bellissimo Novembre” (1967), dal quale è tratto l’omonimo film di Mauro Bolognini, con un’irresistibile Gina Lollobrigida nei panni della zia Cettina e la colonna sonora del maestro Ennio Morricone.

La poetica pattiana predilige l’età dell’adolescenza, scandagliata in tutte le sue implicazioni e contrapposta alla maturità, età dell’ipocrisia e della disgregazione morale.

Lungi dal moralismo tagliente del conterraneo e amico Vitaliano Brancati, lo sguardo di Patti cade disincantato e ironico su una società che cela, dietro l’apparenza più irreprensibile, un groviglio di passioni malsane e superficiali. La mancanza di profondità psicologica dei personaggi è voluta  dall’autore per metterne in risalto gli istinti più bassi e animaleschi.

Gli amori dei suoi romanzi,  spesso in verità meri istinti sessuali,  sono conturbanti e destinati all’infelicità. L’Eros è come un fuoco che brucia velocemente gli sterpi, lasciando solo cenere. Non a caso l’ombra della morte perseguita i personaggi, dimentichi di qualsivoglia valore etico, li segue paradossalmente nella corsa furiosa e ingorda verso la vita.

Accade così che, come per l’adolescente Nino, la morte diventi l’unica possibilità di salvezza da un destino già scritto di conformismo e decadenza morale, la sola scure in grado di recidere quel filo che ineluttabilmente lega l’età incontaminata dei sospiri e dei progetti alla maturità degradata e godereccia.

Il linguaggio, fresco e pregnante, è godibile per la sua colloquialità, pur mantenendosi distante dall’imbarbarimento della norma scritta. La fitta attività giornalistica conferisce alla sua scrittura una grande precisione descrittiva e una minuziosa attenzione ai dettagli. Mirabili gli affreschi teneri e nostalgici di una campagna etnea ancora in festa, tripudio di colori e odori, sebbene sul declinare della stagione autunnale.

Il poeta Eugenio Montale scrisse di lui: “L’ispirazione spesso sembra morderlo come una tarantola, scuoterlo da un sonno atavico ed in quei momenti è impossibile scrivere meglio di lui, con più scaltra misura, con gusto più perfetto”.

La sua stagione preferita era l’Autunno, quando l’odore del mosto e delle castagne risvegliava in lui vecchi ricordi di gioventù. La morte lo colse – quale scherzo del destino! – proprio il quindicesimo giorno di “Un bellissimo Novembre”, l’ultimo per lui come per il giovane Nino.

“Il suo corpo senza vita rimase col viso rivolto al cielo e le gambe allargate su quel duro masso di lava. La camiciola a strisce bianche e blu che la madre gli aveva comprato due giorni prima in quel negozio di via Lincoln e che era tanto piaciuta alla zia Cettina era strappata su un fianco. Sul suo volto di adolescente dai capelli di un biondo scolorito dal sole e dal mare era spuntata sullo zigomo una chiazza rossa.

Dalla campagna immersa nell’autunno giungevano le schioppettate dei cacciatori che sparavano alle calandre. Era il 15 Novembre del 1925.”

 

Written by Nino Fazio

 

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