La città di Praga e Franz Kafka – articolo di Rosetta Savelli – part. 1

Se Praga avesse avuto il mare sarebbero arrivati a lei non gli Asburgo, bensì i Tudor, divenuti Windsor. Solo in seguito, nel 1917, con Re Giorgio V, il monarca assunse per sé e per la propria casata il nome del grande castello reale in sostituzione di quello tedesco di Sassonia-Coburgo-Gotha.

Se ne sarebbero perdutamente innamorati e sarebbero stati questi ultimi ad appellarla amorevolmente: “MATIČKA  PRAHA” (piccola madre). Ma la storia non è solo un mosaico di avvenimenti umani; è innanzitutto un mosaico di follie umane. Comunque si preferisca leggere e rileggere le pagine della storia, anche a posteriori, Praga con gli Asburgo è finita in ottime mani.

Praga è assolutamente e intimamente asburgica. Praga è un clavicembalo, e il suo numero è il 22, proprio quello scritto sulla piccola e magica casetta azzurra, lungo la Golden Line (la Viuzza dell’Oro), a ridosso del magnifico castello. Qui Rodolfo II teneva segregati i propri alchimisti. Più tardi vi si era rifugiato anche Franz Kafka per essere a “tu per tu” con la propria creatività e per sfuggire  agli “artigli minacciosi” dell’amatissima madre. Attraverso lo sfogliare dei secoli rimarranno tutti stregati dal fascino intrigante ed ammaliante di Praga. Ma sopra a tutti, in lei si perderanno e si ritroveranno gli artisti. Saranno in molti e da più parti a percepirla come una MATIČKA PRAHA. Infatti questa è in assoluto la città dell’arte, nel mondo.

Sognante, svagata, svampita, languida, elegante e bellissima nel proprio essere: così eterea e così concreta al tempo stesso. Praga è essa stessa arte, che respira, che cammina, che palpita, che sublima se stessa e che si soffoca in se stessa. Se Kafka fosse nato e vissuto in un’altra città, tutti i suoi tormenti sarebbero apparsi di una noia mortale agli occhi del mondo, anziché essere meravigliosamente coinvolgenti. Per tutta la sua esistenza Franz Kafka sarà soffocato dagli “artigli” della madre e questo sarebbe di per sé ancora poco o nulla, ma diviene tanto, quando Kafka, per spiegarsi, la paragona all’imponente Castello.

Il Castello di Praga è, a tutt’oggi, il più grande d’Europa. In esso non solo le dimensioni sono grandi, ma anche la posizione: appoggiato lì sulla riva della Moldava, la bellezza, la possanza e insieme la delicatezza lo rendono grande in tutto. Riflesso nella Moldava, poi, diviene grande il doppio. Dunque già liberarsi da qualunque madre non è impresa da poco, ma liberarsi da un tale tipo di madre è impresa quasi impossibile. Ma che dire della musica? Praga canta, balla, suona, volteggia, gorgheggia e intona già da sola, così come è, e lo fa egregiamente, con uno stile tutto suo. Qui i musicisti si generano e crescono spontaneamente. Numerosissimi sono i concerti tenuti in onore di W.A. Mozart.

La mia Praga e i miei amici praghesi sì che mi capiscono”, amava ripetere in più di un’occasione. Questo incredibile connubio era nato in coincidenza della “prima” del suo “Don Giovanni”. Altrove fu un fallimento o quasi, ma a Praga no: il pubblico, tutto unito e all’unisono, si alzò in piedi solo per lui in un’ovazione totale. E da quel momento fu amore profondo e corrisposto  per sempre, da entrambe le parti. Ma non è necessario essere Mozart per sedurre il pubblico. Qui a Praga, infatti, lo strumento giusto o la voce giusta intonati a cuore aperto, seducono, sia che il musicista si trovi su una panchina del parco o su un gradino di una qualunque scala.

È proprio l’aria, l’aria praghese, nella sua struttura molecolare, che ha qualcosa in più, di strano e di diverso. Praga con gli stralunati, i bambini, i folli ed i poeti ci va a nozze. Più si è svampiti e trasognanti, più ci si  sente  a casa, la propria. Di certo fu così anche per gli Asburgo, senza che questi venissero mai meno al proprio imperiale rigore. Qui il fascino regale di Praga si estrinseca in un ordine perfetto, fatto di armonie e disarmonie, di stili e contro-stili, tutti accordanti fra loro.

Così eterea e così rigorosa, precisa e ordinata al tempo stesso. Saranno proprio gli Asburgo a fare sì che Praga oramai abbia più chiese di Roma. E che chiese! Non manca uno stile architettonico all’appello. Praga, insieme a Torino e a Lione, viene giustamente riconosciuta come capitale dell’occulto, dell’arcano, dell’esoterico. Qui sacralità, misticismo, spiritualità e religiosità si fondono e si mescolano in un tutt’uno che crea un’atmosfera unica al mondo per autenticità e veridicità. Ecco perché tutti l’hanno voluta conquistare e anche il peggiore dei suoi conquistatori non ha potuto fare a meno di tutelarne la bellezza. Con tali e tante chiese gli Asburgo l’hanno resa bella come non mai. Nessun segno di violenza su tanta eterea e austera avvenenza. Nel susseguirsi degli eventi, anche e persino i nazisti prima ed i russi poi, non potranno fare a meno di violentarla, sì, ma senza mai deturparla o sfigurarla. A Praga anche il dolore o la schiavitù più profonde vengono fagocitate dall’arte e rimesse fuori, in vita, più belle, palpitanti e vigorose che mai.

A conferma di ciò, in una delle principali vie, che ricorda molto le Champs Elisées ma che qui si chiama: VÁCLAVŠKÉ NÁMĚSTI, un esercito di uomini, rigorosamente in fila e di statura volutamente esagerata, grida con misura e compostezza la propria schiavitù a chiunque voglia ascoltarla.

Questi stupendi omoni, in bronzo e tutti  uguali nelle loro fattezze, sono legati con trappole e lucchetti di ferro, inapribili, nei loro punti vitali. All’altezza del collo, intorno alle tempie, nelle giunture di braccia e gambe, nei piedi e, “fundus sine dulci”, nei testicoli. Da tale tremenda sofferenza trasuda ancora più che mai la forza e la possanza. Il dolore diviene vita che si erge con virile e rinnovata dignità su se stessa. Praga è anche questo, con tutta la sua forza. Franz Kafka fu anche questo. Gli Asburgo più che mai furono anche questo. Ma a Praga l’arte diviene anche dissacratoria, irriverente, provocatrice e divertente. Praga abbonda in tutto: chiese, università, biblioteche e musei, tantissimi musei.

Al Museo della Tecnica Militare (Vojenské Technické Muzeum) il primo carro armato che all’epoca, in quella maledetta primavera, la occupò: è stato dipinto dalle mani del suo originale artista, tutto di rosa, di un rosa addirittura shocking.

DAVID ČERNÝ impose al mondo intero la sua Praga, vestita e rivestita di nuovi colori. Non bastò la prigione a distogliere, dal suo ideatore, quella originale, acuta e divertente idea. In seguito ČERNÝ ne partorirà altre e dai toni sempre più arditi. Se la storia si offese di tanta sfacciata irriverenza, l’arte ne gioì. Così fra carri armati, mezzi corazzati, di terra e di cielo, blindati e non, che ancora oggi riescono ad incutere un timore alquanto sinistro, in bella mostra appare lui: il primo carro armato russo che la invase. Ed è tutto rosa, di uno sconvolgente e imbarazzante rosa shocking.

Avrei baciato questo splendido artista ma, non potendolo fare, l’ho ringraziato dedicandogli un immediato e larghissimo sorriso. A Praga è tutto vero e non, al tempo stesso. Anche la miseria è tutta vera e non, al tempo stesso.

I mendicanti, accovacciati su se stessi lungo le vie del centro e lungo il meraviglioso KARLŮV MOST (il ponte Carlo) mostrano una dignità e una discrezione assolutamente sconosciute al mondo occidentale. Ricurvi su se stessi in una posizione che ricorda quelle dello yoga, con il capo appoggiato a terra, come per proteggersi o per preservarsi, non sollevano mai lo sguardo. Neppure di fronte al tintinnio delle monetine. Quasi fossero assorti in meditazione o in preghiera. Ringraziano dell’offerta, muovendo solo un poco il capo e avvicinandolo ancora di più a terra, ma non si scompongono mai nella loro dignitosa immobilità. Quasi come se non fossero lì e quasi come se non fossero loro. È singolarissimo tutto ciò e lascia un po’ di sconcerto dentro. Si ha quasi l’impressione distorta di fare l’elemosina ad un monarca.

Ci si allontana da loro come un po’ storditi e non si può fare a meno di chiedersi chi in realtà sia il vero mendicante. Per quanto assurdo possa essere, qui a Praga anche la miseria è magica. Proprio per tale e tanta magia, Praga è una città adattissima e comprensibilissima ai bambini. A suo modo lo è infinitamente più di Disneyland-Paris. Perché il bambino  sa cogliere d’istinto  la magia e la bellezza, tanto più se queste risultano essere vere e autentiche. Praga stessa è a sua volta una bella fiaba, nella quale addentrarsi e avvincersi completamente. Ed è necessario entrarvici con i piedi; sì, perché Praga va vista e rivista a piedi, per respirarne ed assaporarne fino all’ultimo ogni tratto, ogni linea, ogni idea, che essa sia reale o non.

Pur attraversandola tutta intera, altro non potrà apparire se non nel suo essere veramente bella. Tuttavia cosa sia reale e cosa non lo sia, qui a Praga, non lo si potrà mai sapere.

Ha perfettamente ragione Angelo Maria Ripellino, struggente poeta e primo grande slavista, quando rivela che qui, più che altrove, il cuore e la ragione vanno ciascuno per strade loro. Preso atto di ciò non rimane che sostenere, come già ha fatto lui stesso, che qui a Praga altro non ci si può sentire che un ….”fantasma che porta in giro i propri sogni”. A piedi, camminandola e scoprendola, scoprendola e camminandola, per quanto uno si impegni nello sforzo, alla fine non sa più veramente se sia: “se stesso che sogna” oppure se sia “un sogno di se stesso”. Bella come un’austera imperatrice, bella come la madre di Kafka con i suoi seducenti e malefici artigli, bella e sfrontata come la bionda e bianca ragazza praghese che si muove per la città come se questa fosse un rosso tappeto steso lì, ai suoi piedi, solo per lei.

 

Written by Rosetta Savelli

 

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