Resoconto del “Festival di Letteratura di Mantova”, dal 5 al 9 settembre 2012

Milano è brutta. Questo l’assunto, contestato a chiusura da una parte del pubblico, dell’incontro “La Milano da Leggere” che Giorgio Fumagalli (quasi onnipresente al festival con diversi incontri spaziando da Milano ai social network. Quante competenze per un trentunenne!) e Marilla Piccone (assente Hans Tuzzi, per vedere il quale probabilmente era presente la maggioranza del pubblico) hanno tenuto al Festival della Letteratura di Mantova a Mantova.

Alla fine, ha detto la Piccone, “la strada che unisce la Centrale a Repubblica non è Lexiton Avenue e viale Argonne  non è i Champs Elysee”.

Milano non è una capitale europea, “ma è la più europea delle città italiane” (Fumagalli), seppure “ha perso la corsa Expo”, è “difficile”, “si fa gli affari suoi”, “ci fa sentire soli” ed è “certamente brutta, mentre Roma è bellissima e si offre allo sguardo. Milano, invece, non ha splendore, non ha scorci, è difficilissima da fotografare. La sua bellezza è nei luoghi chiusi e privati, come i cortili, ma non è visibile o condivisibile. Non ha piazze, è una città che si attraversa, ci si passa sotto e – come dice Fontana – si vive nel quartiere”.

Mi vuoi dire dove minchia vivo? Vivo a Piola” (citando il libro di Fumagalli “Per legge superiore”).

Milano, sempre citando Tuzzi, deve dirsi ogni giorno di essere Milano, mentre Roma lo sa, che cosa è. Aggiunge Fumagalli: “Tre giorni a Roma e vuoi restare. Tre giorni a Milano e l’unica cosa che vuoi fare è andartene”.

Ma non è finita qui: la demolizione era solo all’inizio.

Si è citato Piero Colaprico, “a Milano non si esiste, si resiste”, e Luciano Bianciardi che, ne “La vita agra”, già allora definiva la città brutta. Anche se Fumagalli suppone fosse migliore, perché, almeno “allora la borghesia era colta e il popolo aveva un’identità (di sinistra) molto forte”.

Ora la città è morta e vuota, e “non offre nulla”.

Per Piccone, ora la città è anche rumorosa. La constatazione le è nata da un’analisi di alcuni testi di Giorgio Scerbanenco, “in cui si parla di una città silenziosa, in cui non si rischia continuamente di venire investiti. Senza extracomunitari ma con i terroni, termine che non sento più da molti anni. Ora l’insulto che sento dire non è più terrone, ma arabo”.

Da qui i due si sono messi a discettare sull’immigrazione, tirando fuori una bella dose di luoghi comuni (ne fossero serviti altri): via Padova è “tutta di loro” e se ci passi “sei l’unico italiano”. Lo dice Fumagalli, che sta in piazzale Loreto e questo forse dovrebbe renderlo un’autorità. Piccione, che vive a San Siro, si è detta preoccupata per il valore della sua casa, che scende a picco “ora che nel quartiere sono tutti arabi” e “non ci sono italiani in giro”. Il che abbasserebbe anche il livello scolastico, perché “non sono razzista, ma certamente i bambini non italiani” (se nascono in Italia restano comunque immigrati) “devono fare un percorso didattico diverso”. A coronamento del tutto, la frase “un giorno saranno tutti cinesi, ma loro sono dei lavoratori”.

La mia Milano, mi sono resa conto ascoltandoli, è un’altra cosa. Èbellissima e maestosa, con piazzette che si aprono dietro gli angoli, come a Santa Maria del Carmine, a San Fedele, a San Marco, a Santa Maria delle Grazie. Con cortili favolosi e impensati – spesso anche aperti al pubblico, come all’Umanitaria –  con parchi e viali.

Ci sono piazza Mercanti e il Castello, le chiese e i negozi cascanti della zona attorno a via Lanzone, le antiche terme, i resti del circo, i negozi con le insegne degli anni 60, il Monumentale, il fascino buzzatiano della Bicocca, la serenità di via Feltre, gli scorci sulla Martesana nei pressi di viale Monza, le viette nascoste lungo i Navigli o vicino a Precotto, le villette con giardino tutte decorate che arricchiscono la zona Pirelli e la vicina casa liberty ormai diroccata, la paurosa maestosità della Centrale, l’allegria della Casa Loca, i profumi che vengono dalle cantine di Inganni, le vecchie osterie, il senso di vertigine in via Sarpi, l’umiltà degli Omeoni,  i negozietti (molti sono italiani) di via Padova, tutta via Montenero, il vecchio teatro Lirico, via Savona e le sue magie, il macabro San Bernardino alle Ossa, il Lazzaretto con i suoi colori e gli odori pungenti, il Fopponino, la vista dalla Torre Branca, le ciminiere che si scoprono in città. Tante, tantissime chiese, da Sant’Eustorgio a Sant’Ambrogio, passando per San Maurizio, San Satiro, Sant’Eufemia o Santa Maria presso San Celso.

Il teatro degli Arcimboldi, i panni stesi nei cortili, la pusterla, il finto castello di viale Monza, i grattacieli che sorgono come strane escrescenze, l’Isola, certi balconi in ferro battuto, le case dei ferrovieri. Poi, la notte, la città fa silenzio.

Il sole del tramonto fa Milano tutta di crema. 

D’estate, le signore dell’Ortica si fermano per strada a chiacchierare.

Le iniziative si moltiplicano, ai cinema, nelle sale concerto, nei musei. Tra quel che organizzano Triennale, Museo del 900, Anteo, Fondazione Corriere della Sera, comune, sindacati, Centro San Fedele, librerie varie, Santeria, Fnac, Feltrinelli e quant’altro io non so mai scegliere dove andare. Potrei riempirmi ogni ora, mentre Fumagalli, tediato, si annoia chiuso in una stanza a Loreto.

 

Written by Silvia Tozzi

 

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