“Fontamara”, romanzo di Ignazio Silone – recensione di Nino Fazio

“In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito”. 

Un popolo, i fontamaresi, dimenticato da Dio e dallo Stato, che se ne ricorda solo per apporre una nuova tassa. Quello tracciato da Ignazio Silone è lo spaccato di un gradino della società, il più basso, che si può benissimo estendere a tutta la categoria dei “cafoni”, i contadini poveri di tutto il mondo che non possiedono terra da coltivare o ne possiedono troppo poca per riuscire a vivere. Un grande luogo ipotetico in cui la cultura serve solo per ingannare chi non la possiede, perpetrando ogni sorta di sopruso in nome di Dio e delle leggi dello Stato, che i cafoni non possono capire.

“Non serve avere ragione, diceva il generale Baldissera, se manca l’istruzione per farla valere”; e così capita che una petizione in bianco firmata da tutti i fontamaresi, poiché non c’era nulla da pagare, privi i cittadini anche del bene più prezioso per la sopravvivenza, l’acqua.

Si innesca da qui una slavina di problemi che volgerà la storia in tragedia.

“Fontamara” è la denuncia della connivenza tra poteri forti che tramano alle spalle di chi non ha più nulla per vivere, avidi e desiderosi di infliggere il colpo di grazia ai moribondi. È la storia dei raggiri continui ai quali si presta “l’amico del popolo” don Circostanza, colui che fa votare i “morti-vivi” in cambio delle cinque lire di consolazione.  Ma è soprattutto la storia della disperazione che, presto o tardi, si trasforma in operosità e impegno civile: “che fare?” si chiedono i fontamaresi nel primo giornale dei cafoni.

Il romanzo è ambientato in un paesino di montagna  affacciato sul lago del Fucino (Abruzzo), dalla cui bonifica si ottennero delle terre fertili da spartire ai rivieraschi; ai fontamaresi esclusi dalla spartizione, in quanto gente di montagna, restò la terra arida e scoscesa.  Siamo negli anni ’20, come si evince dal continuo riferimento a soprusi e imposizioni del regime fascista. Lo sfondo socio-politico è quello di un Italia fatta soltanto sulla carta, con gli idiomi locali come lingua madre e le i istituzioni percepite come lontane e avverse (in prima battuta nessuno nel paesino sa dell’avvento del fascismo al potere).

Le fila del racconto sono tenute in maniera sapiente da Silone che dalla località di esilio (Davos, dove si trovava davvero confinato) finge di raccogliere il racconto di tre compaesani scappati da Fontamara dopo gli ultimi sconvolgimenti. È per questo che la narrazione si sviluppa in prima persona, con l’io narrante che cambia, esprimendo il punto di vista di Giuvà, Matalé e il loro figlio. Per la stessa ragione, frequente è l’uso di regionalismi e di catene inferenziali semplici ma intrise di saggezza popolare.

A ragione quest’opera può essere considerata afferente al ciclo dei vinti di verghiana memoria: tutti si arrabattano, lottano contro il destino, cercando di salire quell’unico gradino della scala sociale, ma inutilmente.

Privati di tutto, i Fontamaresi perderanno per decreto anche la libertà di pensiero, diritto comunque inutile per i cafoni: “Quello che il podestà ordina da oggi, io l’ho sempre ripetuto” disse Berardo. “Coi padroni non si ragiona, questa è la mia regola. Tutti i guai dei cafoni vengono dai ragionamenti. Il cafone è un asino che ragiona. Perciò la nostra vita è cento volte peggiore di quella degli asini veri, che non ragionano (o, almeno, fingono di non ragionare. […] Tu non puoi ottenere da lui quello che ottieni dalla vacca, o dalla capra o dal cavallo. Nessun ragionamento lo convince.  […] Ma il cafone, invece, ragiona. Il cafone può essere persuaso. Può essere persuaso a digiunare. Può essere persuaso a dar la vita per il suo padrone. Può essere persuaso ad andare in guerra. Può essere persuaso che nell’altro mondo c’è l’inferno benché lui non l’abbia mai visto. Vedete le conseguenze. Guardatevi intorno e vedete le conseguenze.

In un momento difficile come quello contemporaneo il “che fare?” dei fontamaresi risuona nella testa del lettore ogni volta che, con indignazione, si accorge che pressoché tutto è rimasto invariato.

A più di ottant’anni dalla composizione, Fontamara, più che uno spaccato della società che fu, risulta essere dunque una chiave di lettura di quella odierna e delle dinamiche umane in generale, essendo le leggi ad esse sottese immutabili.

Written by Nino Fazio

 

 

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