Intervista di Pietro De Bonis ad Angelo Vetturini ed al suo “La nostalgica fonte”

Angelo Vetturini, romano di nascita, vive a Riolo Terme. Si laurea con lode a Bologna in Lingue e Letterature Straniere Moderne e riceve il Premio Lugli per la tesi Sette scrittori della peste. Trascorre anni di lavoro e di studio nei paesi mediorientali, riveste l’incarico di analista della stampa in ambito internazionale, collabora a riviste di cultura.

Dal 1996 pubblica i romanzi “L’accusa della luna”, “Il segreto dell’agave”, “L’arcipelago delle streghe”, “Il prezzo del sangue”, “L’isola nel tempo”, “La montagna delle melodie”, “Il lume di carta”, “Aurora Consurgens”, “L’occhio del dolore”, “La nostalgica fonte”, il saggio letterario “La peste, la pelle”, e il libro di poesie “Frammenti di conchiglie”; viene premiato in decine di concorsi letterari, anche internazionali, ed è accolto nell’Enciclopedia degli Autori Italiani.

Erano senza dubbio degli specchi. Con il cenno nervoso di una mano liquidò l’uomo irsuto in veste azzurra aggrappato al volante e il bianco fuoristrada che lo aveva sballottato fin lì: stringendo i denti fino a sentir male si impose di subire il fracasso infernale del motore che lento si estingueva alle sue spalle; poi sorrise beffardo al silenzio, e intanto si aggiustava con dita esagitate il nodo della sciarpa di cotone terrigno, che gli faceva tanto élite da Legione Spagnola sulla snella sahariana verde oliva intrisa di sudore. Ma lo sguardo era fisso. E non sul tratto di pista rettilinea in lieve saliscendi, che egli avrebbe percorso tra un istante sotto il sole impietoso del primo pomeriggio – per nostra decisione, d’altro canto: inutile stizzirsi –, bensì sulle non poche bizzarrie di quel complesso a dir poco intrigante, che da lontano gli era parso il trapianto di un albergo lussuoso in una delle tante cattedrali in rovina disperse nelle steppe dei paesi d’oriente. Da non troppo lontano, tuttavia. Perché aveva distinto la struttura, e ne era stato scioccato a prima vista, soltanto dopo aver oltrepassato la porta a meridione della cinta muraria, laddove un beduino filiforme, in azzurro anche lui ma scolorito, e con tanto di fucile a tracolla, si era sbracciato in gesti di saluto – che abbiamo disdegnati, chiaramente: lungi da noi blandire la plebaglia.


P.D.B.:  Cedere al perdono Angelo è la sola via di fuga dal proprio malessere?  Quindi il nostro benessere dipende dagli altri?

Angelo Vetturini: Quando si odia si sta male. In particolare quando l’odio fomenta la vendetta. Per cui, sì: il nostro benessere dipende anche dagli altri: a noi la decisione.

 

P.D.B.: Ne scrivi, non solo di questo ma anche di questo, nel tuo romanzo “La nostalgica fonte”. Ce ne vuoi parlare?

Angelo Vetturini: L’espressione “cedere al perdono” è riferita al protagonista del romanzo: un narcisista ferito che vorrebbe inebriarsi di vendetta, in apparente contraddizione con la sua somma intelligenza, la cultura vastissima e profonda, il portamento ancora giovanile nonostante l’età. Tutta la narrazione è incentrata sulle ragioni del suo ripensamento, lento ma progressivo, e sulla soluzione che infine lo soddisferà. O meglio, potrebbe soddisfarlo, se… Non dico altro. In quel processo di “ravvedimento” i colloqui con i suoi ospiti, interpellati uno ad uno, sono determinanti. Come determinanti, nell’intreccio, sono i libri che ciascun ospite trova nel suo alloggio, assegnati – sembra – per un errore o una beffa. Fin qui il nocciolo altamente ambizioso e profondamente psicologico: spero di esserne stato all’altezza. Sullo sfondo c’è l’attesa di un’eclissi di luna, mentre il cosmo sembra estinguersi per gradi come la rabbia del protagonista. Ho annesso, come sempre nei miei romanzi, un’estrema importanza all’ambiente. Il lettore viene a trovarsi nello squallore di una steppa desertica, in una residenza di alto lusso sinistra e surreale: un rudere di chiesa restaurato con cristalli ramati e falsi specchi.  

 

P.D.B.: Quindi i tuoi romanzi hanno uno stampo cinematografico, a partire appunto dall’estrema importanza che te dai all’ambiente e ai dialoghi, scrivendo così tu credi che il lettore possa partecipare più nell’azione, tramutarsi quasi in spettatore?

Angelo Vetturini: Da più parti, e da tempo, mi sono sentito ripetere che i miei romanzi sono ideali per una trasposizione cinematografica. Se ciò non si è ancora verificato, è dipeso dalla mia assoluta mancanza di conoscenze, di appoggi e via di seguito. Sì, la potenza del romanzo deve tramutare il lettore in spettatore: sia nel farlo godere delle descrizioni di ambienti e personaggi, sia nel renderlo partecipe di quanto avviene sulla scena.  

 

P.D.B.: Nel tuo scrivere Angelo quanto è labile il confine dell’autobiografismo?

Angelo Vetturini: A livello conscio, l’autobiografismo è escluso.

 

P.D.B.: Ti piace il termine che accorgo proliferare spesso in giro, “fatica” letteraria? Per te quanto è fatica e quanto divertimento lo svezzare un libro?

Angelo Vetturini: Per quanto mi riguarda, nella preparazione del romanzo distinguerei tre fasi: la preparazione che spesso include una ricerca, la stesura e la revisione. La prima è stimolante e ad un tempo tediosa, la seconda è avvincente per la creatività che la distingue, la terza è inevitabilmente stressante (ricordiamo il limae labor di Orazio). Tutto sommato, dunque, la fatica è enorme, ma la soddisfazione la compensa.

 

P.D.B.: Molto bene Angelo, puoi dirci dove possiamo reperire il tuo romanzo “La nostalgica fonte”? Hai in vista presentazioni?

Angelo Vetturini: Il romanzo (Editrice La Mandragora, pp. 302), sia in formato e-Book che cartaceo, è già disponibile su ultimabooks.it, amazon, ibs, ed altre 30 librerie online.

 

Chi non sa perdonare può non essere crudele fino in fondo, e convincersi che cedere al perdono è la sola via di fuga dal proprio malessere. D’altro canto, se il soggetto è uno smodato adoratore di  sé stesso, ed ha subìto ferite all’autostima, sarà costretto a sanare nel contempo le sue piaghe interiori. Ecco le riflessioni ispiratrici di un romanzo ambizioso, gremito di episodi patinati di giallo.

Sette personaggi sono invitati ad assistere a un’eclissi di luna, in una residenza di alto lusso sinistra e surreale nel cuore della steppa: un rudere di chiesa restaurato con cristalli ramati e falsi specchi. Oltraggiato dai sette nel passato, l’architetto, il signore del luogo, medita di ordire per loro un intreccio mortale. Sembra esservi un intralcio, però. Perché mentre il signore si fa beffe dei suoi ospiti, e li crede occupati in assurdi sospetti e frivole passioni, il cosmo va estinguendosi per gradi: al calare della settima notte andrà in scena l’eclissi. Potrebbe essere l’ultima.”

 

“Quando un’intervista vista l’ora è appena finita, una nuova intervista è appena iniziata. Un’intervista per amare, per sognare, per vivere…”

Written by Pietro De Bonis, in Marzullo

https://www.facebook.com/pietrodebonisautore

 

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