“Poesie di Roma” di Fabio Doplicher – recensione di Pietro Pisano

È un libro profondamente complesso e intenso, questo di Fabio Doplicher, poeta di origine triestina, nato nel 1938 e morto nel 2003.  Libro postumo pubblicato nel 2010 “ Poesie di Roma”, è un omaggio commosso e nello stesso tempo quasi del tutto privo di immagini da cartolina (caratteristica tipica di molti libri di questo genere) che il poeta dedica alla sua città di adozione.

La città eterna è il centro da cui si dipartono i bellissimi versi di questa raccolta, una Roma, percepita senza stereotipi o romantiche astrazioni, ritratta nei suoi aspetti anche sgradevoli e ripugnanti di grande metropoli occidentale. Doplicher è in gran parte della sua produzione poeta della città, delle sue miserie e grandezze. La sua poetica è aperta alle molteplici forme della realtà contemporanea, del mondo in cui viviamo oggi, ragion per cui lui stesso e importanti studiosi della sua opera, hanno parlato di metamorfosi per sintetizzare in una sola parola l’essenza del suo fare poetico.

Il confronto diretto con il reale e le sue continue metamorfosi, richiede un linguaggio che nel testo si ponga in atto di sfida nei riguardi di un mondo che si dissolve senza sosta di fronte ai nostri occhi. Il processo di reificazione e alienazione che colpisce l’uomo contemporaneo deve palesarsi nel corpo metamorfico della lingua poetica e la poesia dovrà quindi per Doplicher avere il compito etico di denunciare la crisi, il processo di disfacimento che investe il mondo di oggi. Purtroppo lo spazio per una necessaria presentazione della poetica doplicheriana non è sufficiente in una recensione come questa. Per il lettore che volesse approfondire il lavoro del poeta triestino, un’interessante e puntuale analisi dell’attività letteraria di Doplicher è stata compiuta da Luigi Nacci. Questo insieme di testi su Roma non fa eccezione, nel corpus dell’attività poetica del Nostro.

Diviso in vari poemetti, ognuno di diversa lunghezza, la raccolta “Poesia di Roma” si compone in primo luogo di alcuni versi scritti in corsivo, che fungono quasi da proemio a ogni singola sezione dell’opera e dove il poeta si rivolge principalmente alla donna amata, Valeria. In secondo luogo vi sono poi quei versi che costituiscono invece il corpo effettivo della raccolta, caratterizzato come abbiamo detto da una forte vocazione poematica. Veniamo così introdotti nel testo, attraverso un viaggio allucinato e surreale, epico e apocalittico, dentro una “Roma, testa, capitale del mondo”, “capitale della grazia”e “custode millenaria della ragione” ma nello stesso tempo “fabbrica enorme” che “va in utile/ demolendo se stessa”, “Città gatto mantide cherubino” che “tutto copre rimuove/ schiaccia per l’inceneritore”, città discarica, matrigna che sa “macerare, rendere polvere con tenerezza”.

Roma è la città della ferocia perenne, occultata, negata attraverso secoli di dissimulazione, dei massacri senza alcun riscatto, delle torture perpetrate nei confronti di chi si è battuto fino alla morte per le proprie idee come Giordano Bruno (più volte ricordato nel corso della raccolta), una città “cattedrale di un buio/che non si lascia scavare”, dove la luce, può entrare solo attraverso un’azione violenta, “a colpi di maglio”. Quello che il lettore allora si accinge a compiere, con la lettura delle “Poesie di Roma”, è più di ogni altra cosa una discesa ad inferos, in un contesto che però è del tutto materialista, un viaggio nella materia, tra i rottami di una città millenaria, in cui passato e presente s’intersecano in maniera indissolubile, creando un effetto di contrasto stridente tra ciò che è infimo nell’attimo presente e ciò che è invece è magnifico, consegnato alla storia per sempre.

Il lettore riceve così il ritratto di una città sotterranea e oscura, palude di miasmi e macerie: sono numerosissimi infatti i versi in cui il poeta ci introduce in una Roma segreta, quella dei sotterranei dove solo i gatti randagi “Per cunicoli raggiungono la cella sacra/ sotto il Campidoglio, dove un dio,/ coi propri segni ormai irriconoscibili,/ è rimasto prigioniero/ di crolli vendette incendi invasioni”. Gli unici devoti del dio rimangono quindi i gatti, i quali portano “lische sopravvissute, dentro la sua statua”, immagine questa che fa pensare ad una sorta di continuità blasfema e aberrante del passato, non dissimile da certi esiti del modello mitico di stampo eliotiano. E allora in questo poemetto intitolato “Roma divisa per anni” tra i più significativi dell’intero libro, accade di assistere a una sorta di scontro che ha come palcoscenico una Roma irreale, in cui il dio pagano tenta disperatamente di combattere il Dio del cristianesimo:

 

Nella gocciolante oscurità, il dio si consolava

con le disfatte dell’altro Dio,

vincitore e vero quasi per tutti

ma continuamente offeso da mani mosse in suo nome.

I gatti s’avvicinano, pelo ritto, fra i denti

Le spoglie, trascinate nella fanghiglia sotterranea.

[…]

In quegli occhi, unica luce, il dio

a ogni anniversario vedeva scorrere l’universo

e gli uomini che si disfano come malte

nelle terme bruciate da radici d’oleastri,

che devastano gli edifici e si disseccano lasciando

altri cunicoli, trappole, vie d’acqua e di frana.

[…]

Il dio elenca assurdità e miserie

dell’anno passato, maledice tempi senza grandezza

gli imitatori di Roma, dentro la voragine di Roma,

sfida il Dio vincitore a negare.

 

In questo teatro grottesco, assistiamo quindi alla personificazione allegorica delle due religioni, cristiana e pagana che si contendono il potere sulla città eterna, dove ad una Roma solare, simbolo di regalità cristiana corrisponde, quasi specularmente una Roma oscura e sotterranea di origine pagana, non ancora del tutto sconfitta. Anche nei versi successivi, molto marcata risulta essere il rimando del testo al mondo del teatro e questo non stupisce se si ricorda che Doplicher oltre che poeta, fu un prolifico autore teatrale. Allegoria moderna di falsificazione ed ipocrisia il “cerone”, trucco utilizzato dagli attori teatrali prima di entrare in scena, assume nel testo un valore estremamente significativo nel denunciare una realtà non più distinguibile dalla finzione, ormai ridotta a spettacolo vuoto e desolante.

Così “immondi ceroni si moltiplicano” in una Roma che diventa “teatro di anelli”, popolata da uomini ormai reificati a “manichini tarlati che s’assestano nelle poltrone”. Tutta la realtà sembra popolarsi nient’altro che di immagini e infatti più avanti in un altro poemetto troviamo i seguenti versi :“pure immagini sospese nel trucco, nel cerone, voi non siete”. La raccolta di Doplicher quindi, sembra muoversi in perfetto equilibro tra emozione e pensiero, tra poesia memoriale e satira irriverente, denuncia del mondo contemporaneo. L’irrisione va a colpire poi direttamente un importante teatro romano, il Quirino, “pieno di bella gente” che “brulica/ simile al più greve Roquefort, profumi, muffa”: ecco quindi che il teatro appare sia come figurazione simbolica di una realtà degradata a spettacolo privo di contenuto, non più discernibile dalla rappresentazione (e mai parola fu appropriata, visto che Doplicher pubblicò nel 1984 una raccolta di poesie intitolata proprio “La Rappresentazione”), sia come rappresentazione artistica a tutti gli effetti.

Doplicher, con questa raccolta postuma su Roma, dissemina tra i suoi versi numerosissimi riferimenti culturali e artistici riconducibili al passato della città eterna che non sempre sono di facile interpretazione per il lettore che non abbia dimestichezza con la storia e la letteratura antica. È comunque estremamente interessante per qualsiasi appassionato della storia di Roma, addentrarsi in questo libro, magari leggendolo a poco a poco, per ripercorrere aneddoti, personaggi storici che entrarono in stretto contatto con la città, fino a farne parte: tra i numerosi che vengono citati ritroviamo l’Ariosto “il poeta, ambasciatore del cardinal Ippolito”, il già ricordato Giordano Bruno, Gaio Cornelio Gallo (69 a.C. – 26 a.C.) “puro nome per infame / volontà del Cesare, ma in eterno poeta di Roma”, “l’anima di Mazzarino”, il celebre cardinale la cui storia è strettamente legata alla Francia del XVII secolo, il quale si trasforma, attraverso una serie di immagini surreali in “tortora, collo gonfio di piume”, “appollaiata/ sulle cariatidi in marmo della sua chiesa”, oppure si può menzionare il profumiere Cosmo, vissuto all’epoca di Marziale, o ancora Locusta, definita la prima assassina seriale della storia che avvelenò l’imperatore Claudio (41-54 d.C.) su richiesta della moglie Agrippina. Vi sono poi com’è ovvio per un’opera che sia dedicata ad una città, i luoghi emblematici di Roma: tra i più citati, Castel Sant’Angelo, l’Isola Tiberina, il lungotevere con Tor di Nona, il Ghetto Ebraico nel noto quartiere Trastevere, il “Fontanone” presso il Gianicolo, la Cupola di San Pietro, il Campidoglio, il Foro Romano e tanti altri che è impossibile elencare tutti.

Una menzione particolare merita lo stile di Doplicher, caratterizzato in questa raccolta soprattutto dalla tecnica dell’accumulo che da ai versi un andamento di greve pesantezza, confacente all’operazione di denuncia di un mondo in atto di disfacimento.

In conclusione non si può non sottolineare la grande levatura di questo poeta triestino, troppo poco ricordato eppure così ricco di sorprese, attraverso una poetica, quella della metamorfosi così riconoscibile e singolare. “Poesie di Roma”, libro colto e quindi difficile per le ragioni esposte sopra, merita di essere letto e riletto più volte per poter cogliere tutte le sfumature e le allusioni, sia esse storiche o anche solo aneddotiche, leggendarie o artistiche sulla città eterna che il poeta riporta nei suoi versi. Molto importante è a detta di chi scrive, quindi, la riscoperta di Fabio Doplicher, senza dubbio uno dei grandi poeti dimenticati del nostro secondo novecento, in un panorama poetico contemporaneo che condanna senza alcuna giustificazione apparente, troppi lavori meritevoli, all’oblio.

 

Written by Pietro Pisano

squall_lionheart14@libero.it

 

 Info ed approfondimenti:

http://www.absolutepoetry.org/IMG/doc/su_fabio_doplicher.doc

 

 

2 pensieri su ““Poesie di Roma” di Fabio Doplicher – recensione di Pietro Pisano

  1. “…e gli uomini che si disfano come malte
    nelle terme bruciate da radici d’oleastri,
    che devastano gli edifici e si disseccano lasciando
    altri cunicoli, trappole, vie d’acqua e di frana.”

    Complimenti Fabio Doplicher!

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