“Il processo”, libro di Franz Kafka – recensione di Fiorella Carcereri

Il processo“, uno dei capolavori di Kafka, viene pubblicato postumo e incompiuto dall’amico Max Brod nel 1925. La prima edizione italiana del romanzo esce con Mondadori nel 1971.

Un banchiere, il signor K., si accorge di essere seguito a distanza, silenziosamente, tutti i giorni, da due individui sconosciuti e inquietanti.

Ma lui non ha colpe. Così, la sua ansia sale.

E quando finalmente chiede spiegazioni, gli viene risposto:Le nostre autorità non cercano la colpa nella popolazione ma sono attirate dalla colpa e devono mandare noi a fare i custodi“.

Il signor K. viene a trovarsi in una situazione a dir poco singolare: arrestato e, allo stesso tempo, libero di andare a lavorare e di svolgere le sue normali azioni quotidiane.

Neppure il cappellano del carcere, nel quale il protagonista spera di trovare aiuto e sostegno, è disposto a fornirgli una spiegazione, anzi, le sue parole lo confondono ancora di più.

Il sacerdote confessa infatti di appartenere lui stesso al tribunale e all’ennesima domanda del signor K. risponde nuovamente in modo enigmatico: “Il tribunale non ti chiede nulla. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai“.

Il sentimento dominante nelle opere di Kafka è l’angoscia. I personaggi lottano, ma poi si arrendono. Le figure kafkiane dicono no all’esistenza, nel bene e nel male. Sono personaggi deboli, fragili, raggirati, che non si sentono mai all’altezza e provano vergogna. Sono personaggi che non hanno timore dell’ignoto, quanto piuttosto di essere ignoti, di risultare “trasparenti” al resto del mondo.

Sono personaggi che vivono in un universo in cui incombe il caos governato da leggi quasi sempre incomprensibili. Il banchiere intuisce di essere perseguitato da un’organizzazione il cui scopo “consiste nel far arrestare persone innocenti e nell’istruire contro di esse una procedura insensata“.

Pochi come Kafka hanno saputo descrivere persone, eventi e situazioni con precisione quasi chirurgica, con assoluta oggettività e profondo scetticismo.

Il signor K. viene prelevato a casa dai suoi aguzzini una sera, la vigilia del suo trentunesimo compleanno, senza che la visita fosse stata annunciata. “Loro dunque sono destinati a me?“, chiede con rassegnazione, già presagendo la risposta. I due uomini, cilindro nero tra le mani, annuiscono.

Ed è tutto.

Il protagonista  non reagisce neppure quando si rende conto di non avere più scampo e pensa: “L’unica cosa che posso fare  è conservare fino alla fine il raziocinio che inquadra tutto con calma“.

Un attimo prima della sua morte, uno sconosciuto si affaccia di colpo a una finestra e tende le braccia: “Chi era? Un amico? Un buon diavolo? Un sostenitore? Uno che voleva aiutare? Era uno solo? Erano tutti? Dov’era il giudice? Dove il supremo tribunale?…“.

Un’ultima immagine e tante domande transitano nella sua mente, domande alle quali il signor K. non farà in tempo a dare una risposta.

 

Written by Fiorella Carcereri  

 

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