“Mimesi di una non resistenza”, mostra di Alessandra Cridar, Cagliari dall’8 dicembre al 4 gennaio 2012
Da giovedì 8 dicembre 2011 sino al 4 gennaio 2012 sarà possibile visitare la mostra fotografica “Mimesi di una non resistenza” di Alessandra Cecchetto, in arte Cridar Photography; presso “Theremin” situato nel Corso Vittorio Emanuele 380 a Cagliari.
Una visita poco guidata nella sala degli specchi dell’involuzione che il processo tecnologico ha portato alla natura umana. Un gioco di ombre che confondono l’umano con l’inumano, l’organico con il tecnico. Una successione di scatti che nella dinamica del rapporto causa-effetto introducono lo spettatore in un processo irreversibile di fusione negativa fra l’essere e la macchina, di dissolvimento oscuro e cancellazione della caratteristica autocosciente della stessa umanità. Ingresso libero.
Alessandra si è resa disponibile nel rispondere qualche domanda su se stessa e sulla sua passione. Buona lettura!
A.M.: Quando nasce la tua passione per la fotografia?
Alessandra Cridar: Ho sempre avuto la sensazione che le parole non potessero bastarmi per comunicare ciò che sentivo. O meglio, non era tanto un problema di comunicazione quanto più la ricerca di una via di fuga di un qualcosa, una specie di mostro che dormiva dentro di me ed ogni tanto aveva la necessità di uscire e diffondersi.
Ho iniziato a “fotografare” con la matita a 16 anni, mi rendo conto di come spesso tracciavo veri e propri autoscatti, identificando nella mia immagine quel dolore da lasciar sortire.
Poi a 18 anni, un po’ per caso, o forse nulla succede per caso, mi regalarono una macchina fotografica compatta, e nonostante le grosse mancanze tecniche e tecnologico, mi accorsi subito di un forte istinto a fotografare nella ricerca di prospettive particolari.
La fotografia è stato un crescendo lento di un richiamo, mano a mano che mi avvicinavo ad essa la voglia di avvicinarmi ancora diveniva sempre più intensa, una specie di magnetismo artistico che mi ha coinvolta in modo anche decisamente inconscio.
Per questo come di improvviso, l’esigenza di acquistare una reflex, la canon 500 d, una spesa ingente per chi non aveva come me la minima idea del proprio potenziale, una spesa impulsiva che ha dato impulso alla fase più matura della mia passione che si è potuta trasformare così in qualche cosa di più grande.
A.M.: Quali sono i fotografi a cui ti ispiri?
Alessandra Cridar: Sono sincera e forse risulterò molto atipica e anche un po’ blasfema, non mi ispiro a nessun fotografo. La fotografia proprio per come nasce dentro di me, non parte da un modello tecnico, ma da esperienza e da emozioni da tradurre, e ogni fotografo ha avuto la propria storia, il proprio vissuto, la propria epoca. Pensare di ispirarsi a qualcuno in fondo equivale a svuotare di significato e di personalità il mio modo di esprimere arte.
Per me la musa è l’esperienza, diretta ed indiretta, sono i libri che ho letto, la musica che ho ascoltato, i film che ho visto, la strada che ho fatto, gli amici che ho perso, gli amori che ho avuto.
I fotografi a cui mi ispiro sono i minuti di vita che ritengo memorabili.
A.M.: Ci sono state altre mostre oltre a questa?
Alessandra Cridar: L’idea di esporre non è stata per me una spasmodica esigenza di mettermi in mostra. Non mi sono mai ritenuta una fotografa egotista, ma molto esistenzialista. Il viaggio nell’esposizione è stata una corrispondenza armoniosa e calma con la mia evoluzione interiore ed artistica. Poter stampare e condividere in modo diretto, al di fuori degli strumenti della rete, le mie opere è stato un atto di creazione oltre il concepimento, un successivo atto di creazione, una sorta di parto che ho dovuto covare e coccolare per diverso tempo prima di poterlo affrontare. E le mie prime tappe non sono state piazze ambiziose. Seppur ho avuto proposte dalla Galleria Sperone di Cagliari e dallo spazio Cerere di Roma, ho preferito rimandare ad un successivo momento di maturità ed affrontare realtà più vicine alla mia dimensione umana e più collegate alla mia vita quotidiana.
Esporre nel mio paese, Arbus, ha per me significato abbattere un muro importante, quello della definizione che la collettività in cui vivi fa di te stessa nell’abitudine e nella superficialità, far conoscere a persone legate da conoscenza e da affetto un lato fondamentale di me ed in un certo senso poterlo imporre loro.
È stata la mia prima mostra svoltosi a marzo del 2010, a cui è seguita una seconda, in un altro piccolo centro, all’interno dell’Abarra Festival di Villacidro. Quest’ultimo è stato anche un momento di confronto e se vogliamo un convivio con altri fotografi del Medio Campidano, uno scambio che ritengo molto utile, dal sapore antico.
Adoro vivermi i piccoli passi, procedere per tappe, sentire addosso il peso della crescita e dei sacrifici, mi dona una misura reale dei miei progressi.
A.M.: Cosa ti aspetti dall’inaugurazione?
Alessandra Cridar: Spero che non arrivi nulla di ciò che mi aspetto, perché vorrebbe dire che la mostra mi ha sorpreso. A dire il vero non ho particolari aspettative di pubblico, di seguito o di successo, sia per la dimensione della mostra, che per la scelta del progetto da esporre.
Vorrei che arrivasse il senso, questo sì, e che nella critica e nel confronto di chi mi osserva potesse nascere una dialettica che mi permetta di affinarlo, magari di proseguirlo, di scriverne un nuovo capitolo.
Quello che cerco di trasmettere in questa mostra è l’incredibile involuzione che il progresso tecnologico ha portato alla nostra essenza, alla nostra natura. In pratica è una grande certificazione della fine dell’umanesimo, della centralità dell’uomo nei rapporti fra uomo e mondo produttivo ed allargando la scala fra l’uomo e mondo esterno. L’uomo che si mimetizza, si adatta, si conforma e conforma il proprio ciclo esistenziale alla funzione matematica che descrive la tecnica e la tecnologia è la firma di un cambio di epoca che accompagna un vero e proprio cambio di specie. Una mimesi di non resistenza, ovvero una capacità di adattamento che non serve alla resistenza della specie, bensì alla sua fusione in altro, alla sua dissoluzione.
Una sorta di controsenso della legge di Darwin.
Ecco mi piacerebbe che proprio ad una mostra sulla disumanizzazione ci fosse contatto umano, ci fosse sensazione di scambio reale, concreto.
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