Sliding down the surface of things… oppure no? – parte 1

10 milioni di copie vendute, un disco di svolta considerato un punto di riferimento e oggi, dopo vent’anni, la ri-edizione con aggiunta di session inedite, una versione tribute commissionata dalla rivista inglese Q Magazine con cover di artisti quali Patti Smith e Depeche Mode, perfino un film-documentario sulla sua realizzazione presentato al Toronto Film Festival, “From The Sky Down”. Cosa “girava” nel mondo e chi erano gli U2 che nel 1991 hanno concepito un capolavoro del rock moderno come Achtung Baby!

A dire il vero non sono il testimone migliore per raccontare del 1991. Avevo dodici anni  e ancora poca consapevolezza di quanto un giorno l’arte e la creatività avrebbero fatto parte della mia vita. Che ne poteva sapere un dodicenne di Napoli del rock’n’roll? Oggi, che ho l’età che avevano gli U2 quando invasero le radio con lo sporco rumore industrial di Achtung Baby, posso sicuramente affermare che, come scrittore agli inizi, sono piuttosto un rocker frustrato. Sì, confesso Vostro Onore! Ogni verso, ogni  storia, ogni immagine alla quale faccio riferimento, è anche il mio recondito tentativo di riscrivere le canzoni che amo. E, dato che i temi del disco sono amore, senso dell’unione, separazione, e cosa i compromessi, il tempo e le pressioni esterne fanno ai rapporti personali, è quasi sempre lì che torna la mia penna emotiva: ad Achtung baby!

Comunque sia, il 1991 fu un “anno-spartiacque” rispetto a tutto ciò che il Mondo, soprattutto l’Europa, era stato fino alla fine degli anni ’80.

La parola migliore per riassumere lo spirito generale di quei giorni  è: frustrazione. Il Muro di Berlino, evento cruciale di questo cambiamento, aveva aperto le frontiere. Dall’Est arrivavano migliaia di persone affamate di quell’America che vive nelle luci al neon e per le strade del centro di ogni grande città dell’Ovest. Sembrava una corsa all’oro, che però vedeva partecipare anche parecchie carovane di gente della peggior specie: criminali, truffatori, prostitute… E questo rinfocolò un senso di chiusura e di reazione, spesso violenta, che finì in breve per confluire in una serie di movimenti neo-nazisti, specie in Germania e Austria. La convivenza non è mai una cosa facile. E gli U2, proprio allora, lo sapevano molto bene. La band, alla fine del suo primo decennio, si trovava in una situazione di crisi e frustrazione che sembrava stesse portandoli verso un inevitabile scioglimento.

Tutta la loro storia si è sempre incentrata sul cuore: raccontare il mondo, offrendo su temi universali un punto di vista vero e umano. Questo li ha resi amati fin dagli esordi soprattutto in America. E dagli States è iniziata la ricerca personale degli U2, attraverso la scoperta  del blues, del country, del folk e soprattutto del gospel. Nel 1987 l’album capolavoro The Joshua Tree rappresentò l’apice di questo percorso e il momento di massimo splendore del gruppo, la copertina della rivista The Times li consacrava Più Grande Band del Pianeta, e tre hits divenivano dei classici eterni: With or without you, I still Haven’t found what I’m lookin’ for, Where the streets have no name. E poi, il tour mondiale. I grandi stadi e i grandi palchi. Il nome U2 comincia a diventare un marchio. Esplode pian piano una vera beatlemaniaBono si ritrova a essere involontariamente un guru generazionale. Per di più, ora che è arrivato il successo tanto inseguito, il cantante viene accusato anche di nascondersi ipocritamente dietro la maschera del virtuoso rockettaro tutto d’un pezzo. Qualunque altro tipo di band si sarebbe goduto ogni privilegio della fama. Ma non loro, non gli U2. Certo.

No! Non i virtuosi, spirituali, onesti, semplici, indignati, esemplari bravi ragazzi del rock’n’roll. Sono solo definizioni retoriche, cliché, parole. Ma tutti e quattro, soprattutto Bono, stavano scoprendo quanto la percezione possa essere più potente della realtà. Tanto potente, che a volte riesce a essere venduta agli spettatori, che saranno prima o poi anche dei consumatori, come qualcosa di ancora migliore della realtà.  Come cantautori moderni e attuali gli U2 dovevano rendersene conto. Questo è il posto in cui viviamo: even better than the real thing… Baby!

 

Written by Fabio Orefice

fabio.orefice@hotmail.it

 

Fonte

“Into The Heart” di Niall Stokes (2003)

U2 by U2” raccolta di interviste dal 1979 al 2006 ( 2006)

 

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