“Opalescenze” di Giovanna Fracassi: non c’è fuga dall’inganno
“[…] Non sai tu/ che l’amore/ si nutre/ più che della luce/ e del coraggio/ delle tenebre/ e della paura?// […]”[1] ‒ “Paura”

Il termine opalescenze si utilizza per illustrare l’aspetto iridescente dovuto alle due fasi di rifrazione presenti in un corpo, una dispersa nell’altra. La rifrazione si ha quando un raggio luminoso incontra una superficie di separazione. L’opalescenza diventa dunque un riflesso di quel raggio, di quella luce che incrocia la materia nella quale sono presenti le due parti. In ambito etimologico la parola opale deriva dal greco opallios (ὀπάλλιος) con il significato di “vedere un cambiamento”, successivamente utilizzato in latino opălus con il semplice significato di “pietra preziosa”. Si può facilmente notare come il passaggio dal greco al latino abbia modificato il modo di intendere: dalla descrizione di un fenomeno fisico (riferito alla rifrazione) all’indicazione del suo utilizzo, un orpello, un ornamento.
Le liriche contenute nella seconda silloge di Giovanna Fracassi, “Opalescenze” (Rupe Mutevole, 2013), sono intuizioni di mutamento, sono i riflessi di quel raggio luminoso che toccando la pietra ‒ la materia ‒ rischiarano foglie danzanti, campanelle sui capelli, mani di madreperla, luce ovattata, grumi di sangue, vibrazioni d’attesa, sacre rocce, lacerati sipari, passioni deliranti, passi dimenticati, profumo di vigne, inattesa quiete, difformi esistenze, voci discordi, antica angoscia, fuochi eterni.[2]
La poetessa e scrittrice vicentina impiega il termine opalescenze in due poesie,[3] “Stille” e “Mattino”.
“Stille di nebbia/ sulle mie labbra/ presto le mie tracce/ sfumano nella luce ovattata.// Il fruscio delle serpi/ stride improvviso:/ troppo vicino/ troppo vicino.// Non c’è fuga/ dall’inganno delle opalescenze/ un fiotto di vapore/ s’avvolge e/ nell’inconsueta spirale/ il bagliore repentino/ irrompe:/ troppo tardi/ troppo tardi.” ‒ “Stille”
“Lacrime d’assenza,/ fatue opalescenze/ lasciate riposare/ per una notte intera/ sui neri campi/ ora si levano/ bianco velo,/ di vergini innocenze/ per confondere/ i ricordi/ i visi e le parole/ delle candide ombre/ che nel silenzio/ del mattino/ intessono il loro/ muto canto/ soave saluto/ al nuovo giorno.” ‒ “Mattino”
L’inganno delle opalescenze della poesia “Stille” riecheggia nelle fatue opalescenze della poesia “Mattino” perché l’aspetto iridescente non è dato dalla pietra bensì dalla luce che proviene dall’esterno di essa; i versi si avvinghiano come la vite nei tralci, ora si disperdono nella luce ovattata ora sono rischiarati da un bagliore repentino. Un mutamento continuo di emozioni, dalla perdita al raggiungimento, dalla notte al nuovo giorno, Giovanna Fracassi cerca con la scrittura un fulgore più intenso, così come si legge nella poesia “Viatico”:[4] “[…] Ho impregnato/ la pelle/ di profumi silvestri/ fuggendo dai cacciatori di falene/ e ho sgranato le stelle/ una ad una/ come un rosario sacrilego/ cercando invano/ un fulgore più intenso”.
La ricerca continua dell’origine ‒ il fulgore più intenso ‒ si compie con l’invocazione alle Muse ‒ alle stelle ‒ che, manifestandosi con il sacrificio dell’abbandono del simulacro, permette alla parola poetica di danzare nell’eterno movimento della creazione, pur conscia del non poter giungere al nucleo ‒ “cercando invano”.
Una danza, quindi, che rivela l’esercizio di trasmutazione, come tentativo di superamento dei confini dell’esistenza: “[…] E non sono/ già più:/ linfa nella linfa/ vapore surreale/ per penetrare/ più a fondo/ in questa terra/ molle di desideri/ e/ finalmente/ rinasco.” leggiamo in “Dita”.[5] Una danza in cui la vertigine diviene delirio nell’atto di dissoluzione (“Cime”[6]), una danza in cui le assonanze e dissonanze gemono voci discordi (“Sussurro urlato”[7]) “con maestosa maestria/ d’occulto artefice” (“Pensiero”[8]) nella quale il poeta avverte l’urgenza di volgere lo sguardo all’alto ‒ come il cigno di Charles Baudelaire[9] ‒ ad implorare l’acqua della conoscenza: “[…] Tutto intorno tace/ mentre i filamenti di sole/ in soave pulviscolo/ si posano sui legni di preghiera./ Incenso e cera impregnano/ l’aria sacra/ di questa dimora antica./ Prega/ quella parte di me/ che non può e non vuole/ negare un’anima all’Universo/ […]” (“Preghiera”[10]).

Nelle “Opalescenze” di Giovanna Fracassi ‒ così come negli “Arabesques”[11] della prima raccolta ‒ si resta smarriti, l’anima è in viaggio in terre sconosciute e seppur avverte delle forme nelle lande nebbiose ancora non distingue i precisi contorni.
“[…] È questo dunque/ lo smarrimento ultimo?/ Il lento diluirsi del tempo/ nel calice argenteo della vita.” ‒ “Smarrimento”[12]
In chiusura, la lirica “Il mio cuore”[13] sottolinea l’importanza della ricerca e della domanda come via da percorrere incessantemente e senza sosta alcuna; risulta incisivo l’invito all’implorazione rivelato con il polisindeto che, con la ripetizione, produce l’effetto di dilatazione del tempo.
“[…] Erra,/ ramingo viandante/ e cerca/ e domanda/ e implora// […]” ‒ “Il mio cuore”
Written by Alessia Mocci
Info
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Note
[1] Giovanna Fracassi, Opalescenze, Rupe Mutevole, 2013, p. 48
[2] Suggestioni rispettivamente tratte dalle poesie “Cammino” (p. 10), “Dita” (p. 11), “Abbandono” (p. 13), “Stille” (p. 17), “Violenza” (p. 21-22), “Preghiera” (p. 31), “Cattedrale” (p. 32), “Perduta” (p. 35), “Storia” (p. 41), “Ti amo” (p. 43), “Margine” (p. 46), “Pensiero” (p. 50), “Nodo” (p. 59), “Sussurro urlato” (p. 64), “Mura” (p. 68), “Inutili parole” (p. 82).
[3] Le due poesie si trovano rispettivamente a pagina 17 e pagina 99, in perfetta simmetria tra l’apertura e la chiusura della raccolta.
[4] Giovanna Fracassi, Opalescenze, Rupe Mutevole, 2013, p. 23
[5] Ibidem, p. 11
[6] Ibidem, p. 70
[7] Ibidem, p. 64
[8] Ibidem, p. 50
[9] Poesia “Il cigno”
[10] Giovanna Fracassi, Opalescenze, Rupe Mutevole, 2013, p. 31
[11] “Arabesques” è la prima silloge poetica di Giovanna Fracassi, pubblicata per Rupe Mutevole nel 2012. Una curiosità: nella lirica “Le mie notti” (p. 73 sita ne “Opalescenze”) leggiamo: “Nelle mie notti/ le parole si zittiscono/ ed i pensieri/ dipingono arabeschi/ di speranze ed illusioni/ […]”
[12] Giovanna Fracassi, Opalescenze, Rupe Mutevole, 2013, p. 58
[13] Ibidem, p. 108