“Manualetto per la prossima vita” di Ermanno Cavazzoni: l’aspetto elusivo del Diavolo
Eterno e ludico dilemma del lettore medio e appassionato di fronte a un’opera sui generis come il Manualetto per la prossima vita di Ermanno Cavazzoni: saggio erudito o finzione borgesiana? Anziché affrontare seriamente la questione, il mio pensiero corre a quel notiziario di una televisione elvetica in cui un esperto di politica d’accento nibelungo disse, con tono wagneriano: sui generis; e poi alla deformazione della medesima espressione: suinis generis, più appropriata nel senso che, nel caso in parola, sia l’autore che il reagente letterario sono arşân, reggiani, e si sa che i suini sono le bestie (comprendendo nel discorso le umane) più diffuse da queste parti, ancor più delle vacche e delle punghe, che sono i sorci più grossi. Per le punghe ho però dei dubbi.

Decisone attaccabile, appellabile e transigente. Come accade alla materia, che è un misto d’energia e di massa corporea, Manualetto per la prossima vita è una miscela dei due opposti, più orientata, credo, verso il saggio; talvolta, invece, lo è più verso la narrativa. Nella finzione, occorre saper mentire bene, e poc’altro.
Come sono definibili le mie reazioni letterarie? Saggi o finzioni? Un moraviano Boh è la risposta esatta, bobbiesca e irrevocabile. Sono troppo intento a scriverle e non ho tanto tempo per definirle.
Ho sottolineato tanta di quella roba, ma tanta di quella roba… che chissà!, espressione tipicamente arşâna, ma voglio stare dentro alle tre pagine. Ci riuscirò? Non so, stante la lunga premessa. In ‘na stréca, che significa: in una stringente cogenza, farò come per il verniano Ventimila leghe sotto i mari, che sto rileggendo (in edizione integrale) e che presto mi condurrà a una seconda, salvifica, disamina critica, si fa per dire critica. Anche definirla salvifica è fuori luogo. Un espediente può essere la scrittura joyciana, senza tanti a capo. Vedremo conoscendomi non sarà facile infatti non so dipende ho ancora nel gozzo quel tortellino con la crema e…
Manualetto per la prossima vita di Ermanno è strategicamente suddiviso in VIII sezioni, VII delle quali comprendono numero 6. capitoli; l’ultima 1 solo (molto bene). Non ho capito perché, ma sicuramente fa parte della fiction. Trattasi di manuale, baedeker, come direbbe Karl Baedeker, ergo lo suggerisco all’amico Onorio che un giorno mi disse che il genere più letto da lui erano i manuali. Onorio, domani ti passo il libretto. Non suderai, a leggerlo, anzi, ti rilasserai.
Il poema dei lunatici è l’opera più rinomata di Ermanno. Ispirò l’ultimo film di Federico Fellini. A me dicevano che prima di nascere i bimbi stazionano nella Valle della Luna. Teoria religiosa, non falsificabile. Che ci siano stati o meno, io credo di sì, anche questo è un fatto religioso, al momento almeno, gli astronauti yankee, non v’hanno scorto bambini, che io sappia. Eppure ci han girato in auto, se ben ricordo. Ma non significa nulla, potrebbero essere microscopici, quantistici. Credo religiosamente che Ermanno abbia la fissazione di quel satellite. Chissà se è lunatico, ogni tanto. Ha una faccia che pare buona e condiscendente. E questi sono i peggiori, tipo me. Sembro una persona tranquilla, ma quando mi viene l’artetica, i miei cinque minuti, potrei ammazzare qualcuno. Era la paura di papà, come mi confessò un giorno.
Ma, intorno a pagina 31 de Manualetto per la prossima vita, Ermanno ipotizza di vivere, a mo’ di Zenone, non in una botte, bensì in un’auto dotata di tutti i confort. So di un miliardario che aveva deciso di vivere sotto un ponte, il ponte era suo. I domestici gli portavano quanto che gli serviva, la colazione, lo spuntino di metà mattina, il pranzo, il te delle cinque, la cena, e poi venivano ad augurargli la buonanotte. Stava da dio, anche perché nessuno lo scocciava, se non telefonicamente, al cell non rinunciava. Si sentiva solo. Ogni tanto lo chiamava l’ex cognato, che non ci pensava lontanamente di divorziare da lui.
A pagina 37 de Manualetto per la prossima vita: “È il nulla che fa paura.” – ti tranquillizzo, caro, esso non esiste: è una fiction pure lui. Se il nucleo di un atomo fosse grosso come un pallone da football, posto al centro dello Stadio Mirabello, i primi elettroni veleggerebbero intorno alla tribuna, gli ultimi a Sumatra e poi nel Madagascar. But all is entangled, aggrovigliato, intersecato, connesso. I fili invisibili che ci collegano sono parte di noi, perciò io sono una parte di te. Ti sto leggendo, mica perché sei bravo: e lo sei. Ti leggo perché è inevitabile.
Inoltre, “La gloria, la fama, è aria fritta, come il nome dato a una via.” – ti e vi propongo una frettolosa idea.
Concordo con una tua frase assurda e vera. Che le forme dell’arte sono “tutte figlie del caos e dell’approssimazione” – lo dice anche Liza Randall, fisico modellista, da non confondere con Anne Randall, modella e attrice: ogni misurazione di qualsiasi evento non sarà mai esatto bensì approssimato. Ed è il suo bello. Da qui nasce l’incompiuto michelangiolesco e il non finito leonardesco. Alcune Pietà, la Gioconda, i romanzi del nostro comune amico: Franz. L’Eneide.
Quando ipotizzi di farti castrare per essere “assunto a tempo indeterminato” quale cantore lirico, ti consiglio di pensarci bene.
Quando dici che “il petrolio ha qualcosa di demoniaco”, stante la situazione geopolitica attuale, ti posso dar ragione, ma sappi che i nostri avi lo usavano per guarire la lebbra.
Se il demoniaco è nelle cose è anche in noi. Se lo è in noi è anche nelle cose. Noi siamo le cose.
Concordo su quanto esponi nel capitolo Copiare il mio io su disco non garantisce da errori. Lo dissi recentemente a un’amica settantenne che cammina con due bastoni. Prima o poi dovrai cambiare il tuo nuovo tablet. Anche il prossimo e quello dopo ancora. Sopravviverai loro diversi anni. Il discorso l’angosciò, non mi cercò per delle settimane. Lo fece allorché era presa per il collo. Aveva bisogno di un passaggio. Vedendola, gli ripetei il concetto che la vita media di ogni memoria di massa è inferiore a quella umana. Si accigliò di nuovo. Io, le donne, mai le capirò.
Il capitolo sui Sogni mi fa gemere. Amo le mie storie. Ma quante andranno perdute per sempre! Hai ragione. I morti si affacciano nei nostri sogni dicendo: “Io, io, tocca a me!” – ed è ‘sto pronome personale che m’angoscia. L’Io dei sogni sono io, non c’è dubbio! Ma un Io chi? Non chi si addormentò, non chi si sveglierà. Un io altro da me. E qui mi vien in soccorso San Arthur Rimbaud, Che il Suo Nome Sia Sempre Benedetto!, che sempre mi sussurra: Je est un autre!
Più foriero di discussione è il capitolo Prima di vivere occorrerebbe una vita di prova.
A proposito della faccenda della data di morte, da te esaminata nel capitolo che inizia a pagina 181 de Manualetto per la prossima vita, a parte il fatto del meridiano di riferimento, per cui a tale data tutti eviterebbero di spostarsi nel Borneo, tutto questo mi fa capire come tu, come anche il tuo pard Gino Ruozzi, sulla cui presunta atarassia da sempre coltivo dei dubbi, offro come medicina la teoria di Julian Barbour che in The end of time diede conferma all’idea (già einsteiniana) che il tempo, di fatto, non esiste. Il software che ci permette di parlarne sì, altrimenti taceremmo. E v’informo pure della teoria di quel figlio di Putnam, Hilary, filosofo che adoro, che ipotizza che si è tutti dei cervelli immersi in una vasca che immaginano di vivere.
Ognuno di noi potrebbe ambire a essere un gatto di Schrodinger, che finché non lo si attesta, è sia vivo che morto. Per cui verrebbe la voglia di portarlo sull’Himalaya, dove non passa mai nessuno a verificarne l’esistenza in vita. Sul Cusna no, sulla cui vetta ci si avventura in jeep. Al che mi vien in mente di quando feci una focaccia in solaio. Mia mamma venne a cercare non so che straccetto e m’attestò! Maledizione! Quella santa donna m’annichilì! Avrei voluto scomparire, goddam!
Ah! A pagina 188 de Manualetto per la prossima vita la lettura mi fa sanguinare, il capitolo è quello sugli anni con tre zeri. Mi sono toccato il viso e mi sono schiacciato involontariamente un bersōl, un brufolo, macchiando la pagina col mio sangue tipo 0 positivo. Potrei invocare un concorso di colpe, anche tu sei responsabile. Inoltre, pare che Gesù sia nato il 3 dopo Cristo, per cui i calcoli sono approssimati (come suggeriva la Randall). Credimi. È meglio affidarsi ai conteggi altrui.

Il capitolo Si può salvare il pianeta non uscendo più di casa non riesce a convincermi. Che ne sarebbe dell’INAIL? Non ci sarebbero più lavoratori in itinere. Un infortunio casalingo, evento frequente, non sarebbe facilmente attestabile. Sorgerebbero infiniti ricorsi e diatribe giuridiche. Una proposta: facciamo uscire, per coltivare i campi etc, i giovani d’entrambi i sessi dai 20 ai 22 anni, che sarebbero tenuti, oltre che a faticare per la pagnotta, anche per il coito (tre atti al giorno con altrettanti partner, pure in threesome) per salvaguardare la razza e conciliare Eros e Civiltà. Herbert Marcuse da Laggiù annuirebbe con gioia! Terminato il biennio, la castità e l’ozio forzato sarebbe il benvenuto. A meno che non si sia malati di voglia di lavorare e di fare quella cosa lì. In tal caso urgerebbe un ricovero immediato e definitivo.
Il capitolo sui miracoli mi fa pensare a San Francesco di Paola, che ne compiva una trentina e più al dì. E non è più lecito metterli in discussione. Per quanto attiene al miracolo gesuano, come direbbe Vito Mancuso, della moltiplicazione dei pani e dei pesci, sono dell’opinione di Padre Aldo Bergamaschi, secondo cui Egli si limitò a dividerli fra tutti, non ad aumentarne il numero. Sì! Basterebbe condividere le risorse del pianeta e nessuno creperebbe di fame. Il discorso è troppo logico perché abbia un seguito. Mi pare più ovvio l’abominio. Ehi! Leggo, a pagina 201 che “ogni foto è una sepoltura diversa”. Con Photoshop qualcosa sta cambiando. Per quanto riguarda la differenza che fai tra foto (definitive) e ritratti pittorici… Mah! Ancora non sono guarito dalla sindrome di Stendhal che mi colpì al Museo Picasso di Barcellona, nella sala estrema, dove l’infanta Margherita del Velasquez era moltiplicata all’infinito. Non è quanto mi auguro allorché cerco d’eternare un’immagine a me cara.
“La letteratura è una macchina che ci dà in prestito le fiabe…” – sappi che io non le restituisco mai, anche le tue adesso sono mie, per sempre. Se vuoi un giorno te ne faccio una copia.
Sull’ultimo capitolo del tuo sag-ction, non posso dir nulla, ché sto finendo le tre pagine. Solo una cosa, una bischerata. Di quei negletti autori, ricordo Salvator Gotta, la sua rubrica di posta su Topolino. M’hai fatto venir voglia di leggerlo: grazie, amico mio! Ho ancora delle righe a disposizione. E non so che scrivere.
M’aiuto con qualche irrazionale andata a capo e alcune ultime banalità. Il tuo umorismo è sempre quello: ermanniano (cavazzoniano non mi piace). Ho visto nella terza di copertina che mi mancano alcuni libri tuoi da leggere. Li riconoscerò già nelle prime due o tre righe. Ma ora ti metto da parte, ché tocca al nostro (faccio per dire) solidale: Gian Mario Anselmi, con La Rivoluzione gentile. Pensa che ho lasciato (per sempre?) su uno scaffale i due tometti di Scrittori italiani di aforismi del fintamente quieto Gino Ruozzi. Quando avrò il coraggio di leggerli e di produrre subito dopo una mia concisa reazione di non più di tre pagine? Un caldo saluto a tutti quelli a cui giungerà! Prosit! Siate felici! Alla prossima vita, cari! Ciao! Scrivete, Autori, scrivete! Che poi ci penso io a reagire! Gasp! Sta terminando l’ossigeno…! Aiuto! Nemo me adiuvat! Poveretto anche lui!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Ermanno Cavazzoni, Manualetto per la prossima vita, Quodlibet, 2024