“Manifesto della melanconia” di David Ritz Finkelstein: l’esoterismo di Albrecht Dürer
“Manifesto della melanconia” di David Ritz Finkelstein, edito da Adelphi nel 2024, è un’analisi o se si preferisce un approfondimento di ciò che rappresenta una grande opera del passato di Albrecht Dürer.
Un’incisione del 1514 che già nel suo divenire è intrinseca di un fascino mistico e alchemico, appartenente alla tecnica utilizzata dell’incisione e soprattutto in questo caso alla simbologia degli elementi rappresentati.
Un’opera che per essere vissuta va privata della sua struttura portante, per poi riorganizzarne il senso, il pensiero. Il titolo dell’opera stessa è un anagramma, metodo utilizzato spesso nel medioevo creata per poi essere stravolta e ricomposta, un sotterfugio per difendere messaggi, pensieri e capacità intellettuali, insomma un miscuglio di lettere il cui significato reale non è quello apparente.
Ad esempio: bibliotecario-beato coi libri, mentre “Melanconia” è il corrispettivo di “limen caelo”. Limen rappresenta la soglia, che può essere interpretata anche come architrave passaggio, limite o porta, che si riferisce al significato del cognome di Dϋrer; mentre “caelo” e riferito al bulino, elemento di lavoro per chi opera nel settore artistico dell’incisione, che in latino è detto “caelum”.
“I volti subliminali di Dürer non sono semplici enigmi e giochi. Alcuni anticipano la storia come un coro greco, raccontandoci i sentimenti provati da Dürer verso il soggetto della sua arte. Dürer avrebbe potuto spiegare la sua per noi. Leonardo ideò molti rebus e scrisse la soluzione di ciascuno, occultata solamente dalla sua scrittura speculare.” ‒ “Manifesto della melanconia”
I volti subliminali dell’incisione cambiano a seconda dal punto di vista da cui si osserva la carta, da un lato si intravede un profilo di volta di donna, dall’altra quella di un giovane uomo barbuto. Ma vi sono altre linee che delimitano volti, che per essere identificati hanno bisogno di un acuto osservatore, che non si faccia confondere dai labili confini che lasciano nel dubbio o meno dell’esistenza del volto.
La possibilità di recepire informazioni attraverso stimoli sensoriali crea l’opportunità all’artista di giocare con l’opera nel realizzare un rompicapo che stravolge l’osservatore, sottoponendolo al dover andare oltre le immagini e il pensiero, attraverso uno stimolo così impercettibile, debole ma fortemente presente: una percezione a dir poco inconsapevole.
L’opera di Dürer rappresenta un divario tra creazione artistica e Divino. Ad esempio la simbologia della porta intrinseca già nel nome e nel simbolo dello stemma si ritrova in modo effimero anche nella rappresentazione della casa, di cui con attenta osservazione si notano solo finestre, questo perché rappresenta la casa di Dio, che può avere solo finestre che consentono di osservare all’interno senza la possibilità di entrata proprio per l’assenza della porta.
La verità assoluta è inaccessibile all’essere umano. Quest’opera ben incastonata, architettata come un mosaico da destrutturare che valica il confine, il segreto della prospettiva e della relatività, invitando all’interazione con il pensiero filosofico, in grado sicuramente di ampliarne la visione.
Nell’opera di Albrecht Dürer è palese la condensazione tra simbologia-esoterismo e si evince la sua genialità immaginativa, in un’opera in cui tutto è simbolo, da ciò che si vede a ciò che si percepisce, ben tracciato e delineato da un bulino a dir poco esoterico, capace di evidenziare o meno tratti necessari a far intuire o percepire, in un gioco di alternanze, evidente anche nella traccia dell’espressione dell’angelo, con gli occhi rivolti verso l’alto, la testa reclina e la guancia che poggia sul pugno della mano, ma impercettibili e indecifrabile se stia sorridendo o meno.
Un sistema caleidoscopico che apre a varie interpretazioni e si ricollega a ciò che non è pura e semplice arte.
“Per Finkelstein riconoscere i nostri limiti è sorgente di gioia, più che di melanconia. Scartando la sciocca hybris della scienza che comprende tutto, o della teoria finale, Finkelstein ci porta a riconoscere che la scienza non ci offre verità finali, ma solo elementi utili per la nostra sopravvivenza, e un’apertura per l’antico bisogno umano di dialogare con qualcosa di più grande di noi stessi.” ‒ Carlo Rovelli
Written by Simona Trunzo
Bibliografia
David Ritz Finkelstein, Manifesto della melanconia, Adelphi, 2024