“La donna della domenica” di Carlo Fruttero e Franco Lucentini: un romanzo paradossale

In quale genere letterario è ascrivibile La donna della domenica di Carlo Fruttero e Franco Lucentini? Per rispondere, occorre procedere a un’indagine ma, nel frattempo, è lecito osservare il tempo che passa, con gli annessi gioielli e cocci, che sempre sono a corredo di ogni indagine.

La donna della domenica di Carlo Fruttero e Franco Lucentini
La donna della domenica di Carlo Fruttero e Franco Lucentini

Chi tenta di proporre reazioni letterarie e, ancor di più, chi intende scrivere recensioni, compie un’investigazione per fatti e misfatti compiuti illo tempore, pochi mesi prima o, a volte, a passare, sono stati i secoli, o i millenni. L’assassinio è sempre lui: l’uomo; diversamente è la donna.

Pare che il primo romanzo sia stato La storia di Genji opera di una nobildonna, Murasaki Shikibu, dama di corte di una celebrata imperatrice, e fu concepito e partorito in Giappone intorno all’anno 1000 (quando da noi era pressoché smorzata la luce, in attesa di non si sa che). Più di un millennio dopo, ancora si ignora se Murasaki sia stata davvero l’autrice dell’opera, l’eroica colpevole.

Pongo ora la domanda più stupida che si possa concepire: se un narratore, o una narratrice, o una coppia di narratori/narratrici, magari d’entrambi i sessi, magari incerti (la sto prendendo calma), concepisce una storia in cui sono commessi uno o più delitti, loro, quei divin creatori, possono essere definiti dei criminali? Degli assassini? O, almeno, dei mandanti?

Possibile che Edgar Allan Poe non sapesse, fin da subito, dov’era stata rintanata quella lettera? O che Marcel Proust dovesse scrivere ben sette tomi lunghi (e non per questo barbosi) prima di rinvenire quel tempo ahimè fuggitivo? Al che mi vien in mente l’amico Silverio a cui un saggio aveva suggerito la lettura di 100 capolavori narrativi, tra cui La recherche, e, al quale, tutto festoso, al mercatino di Novellara, indicai un’offerta fenomenale: 20 euro per tutti i 7 volumi di Marcel! Silverio arricciò il naso, dicendo che 7 erano troppi! e aveva ragione! Nonostante ciò, iniziai a strepitare in un modo così ignobile che egli fu costretto, obtorto collo, ad accattarli! Ancora non li ha nemmeno assaggiati, a quel che so. La lettura, tanto per citare Mike (Mentzer), è un heavy duty. Senza mai scordare il monito di Arnold (Schwarzenegger): no pain no gain!

Lo scrittore e il lettore necessitano di (almeno) un complice, un ribaldo che lo assista nella loro attività. Non ricordo chi mi suggerì ‘sta Femmina del dì di festa (La donna della domenica), ma qualcuno senz’altro ci fu. Quel titolo non rientra fra i 1001 libri da leggere prima di morire, redatta da un’arcana Listology.com; né dalle liste: the Photograph; the Norway 100 books; Le Mond 100 livres; i 100 libri di Dorfles (il quale m’ha quasi spacciato l’amico citato); la Bokklubben World Library; la New York Library – beh, ci rinuncio…

L’ho localizzata nel lungo e doppio scaffale della sala dove hanno dimora i libri cogenti, che sono più urgenti degli urgenti, assai più dei necessari, degli importanti e dei notevoli, mille volte più degli intriganti, degli interessanti e dei celebri… Per cui m’arrendo (momentaneamente).

Il reagente letterario è un investigatore de Noantri, fatto in casa, dalla scarsa scolarizzazione, nulla avendo a che fare coi professionisti del calibro di Gian Mario Anselmi e di Gino Ruozzi, per intenderci. Ma a questi due, nonché a Piero Dorfles, chi li suggerisce i titoli? la casa editrice stessa? Anche a me tanti ne arrivano, tramite la benevola intercessione di una rivista letteraria on line. Come mi disse l’amico dell’infanzia più datato che ho, un tale di nome Franchino: Tu sei molto letto perché scrivi strano… le tue recensioni che non lo sono si staccano dalla massa… Sono anomalo!

E sono un malfattore che va contro corrente, questa colpa sento di dovermi addossare. Finora ho parlato di me e non del romanzo di quei due micidiali autori. Ma come facevano ad andare d’accordo nella scelta, non dico della trama, ma degli avverbi? Il soggetto è negli avverbi, ammoniva Umberto Eco. È lì, nel loro alveo, che sono covati i delitti più efferati.

E i titoli? Che ne facciamo di ‘sti cartelli indicatori? Per non saper né leggere né scrivere (battuta!) i due marpioni hanno deciso d’utilizzare il brandello iniziale della prima riga del capitolo per intitolare lo stesso. Il primo indizio è: 1. Il martedì di giugno in cui – che così prosegue: “fu assassinato, l’architetto Garrone guardò l’ora molte volte…” – non l’avesse mai fatto! Sarebbe stata ben altra storia! Scrivere, direbbe Niels Bohr, è attestare la particella verbale che, hic et nunc, ri-crea il Kósmos.

Amo quei tragici e minimi atti ne La donna della domenica: “Si guardò i calzini celeste che pretendevano di accompagnare con disinvoltura i mocassini slabbrati, i lisi pantaloni di fresco-lana…” – che avrebbero presto preteso un diverso proprietario, con l’infame alternativa di essere gettati alla rinfusa in un armadio o donati alla Caritas… che immagino non difetti a Torino, il luogo dell’efferato delitto.

“La vita, pensò disperato, la vita.” – la cui più aulente definizione me la donò un ragazzo di Cava, fresca vittima di un incidente automobilistico causato da un’emorragia cerebrale: essa è nu vasetto ‘e mcon nu rito (dito) ‘e Nutella, finito il quale, te lo re-infila lì, da dove è asciutu. Più allegra era mia madre quando diceva che alla morte si arriva vivi. Pare non ci sia mai stata una vittima che non abbia avuto un attimo di vita prima d’essere percossa nella testa, come capitò all’architetto.

Un abile scrittore è un intessitore di minutezze, immaginiamoci se si è in due e uno fa da palo, nei momenti clou, mentre l’altro è intento a squarciare, sardonico, la pagina.

“Poi un largo sorriso incise sulla sua faccia fitti ventagli di rughe.”

E che dire di certi elenchi narrativi? Sono tediosi, ma indispensabili, se contengono la parola-chiave: “Ma era da allora che per lui la parola ‘appalti’ aveva sostituito quella di ‘lavori’, che non aveva lo stesso potere evocativo. ‘Appalto’ si portava automaticamente dietro i mucchi di ghiaia grigia, le rotaie divelte, le lastre di pietra terrose e umide, i laghi neri del bitume, le enormi macchine gialle e verdi, i bagliori…” – etc etc.

La logica prevede un committente e un primo appaltatore e, poi, a cascata, un’eventuale schiera di subappaltatori, con annessa obbligazione solidale in caso di inadempienze: questa è però tutt’un’altra storia.

Appalto:Era una parola che ti seccava subito la gola, che continuava ad assordarti anche dopo che le macchine avevano smesso.” – un acufene che risuona nelle orecchie allorché uno si rigira nel letto.

I due principali colpevoli, gli autori, i primi appaltatori, sanno dosare l’ironia, in modo mirabile: a pagina 62 de La donna della domenica inventano una serie di finti motivetti musicali, di cui ne cito uno solo, per dare un’idea: “No, il dito in bocca no…”. Ma che gente! Ma che biechi simulatori!

Per non dire di talune frasi shock, del tipo: “Ci fu uno scambio di sorrisi come di fari a un incrocio…” – però, questa non è malaccio…

Con notevole ironia, il duo di Torino (uno dei due nacque però a Roma) distingue “tra il Garrone in quanto uomo, quale era esistito davvero (e quale interessava la polizia); e lo stesso Garrone in quanto personaggio: quale (come ripeteva) l’aveva riscostruito e perfezionato lui, sulla base di una conoscenza in realtà limitatissima.” – lui è Massimo, un poco empatico personaggio del romanzo

Il mio intento è di segnalare l’uso abnorme delle parentesi rotonde (per fortuna anche non quadre e graffe, e per fortuna io ce l’ho con le parentesi!). Mi fanno venir in mente le paresi, in quanto bloccano (sospendendolo) il discorso. Stessa etimologia? Il problema è discusso.

“Il silenzio ricadde. C’era quell’aria di chiesa da cui deducevi immediatamente, arrivando a metà d’una riunione del genere, che le indagini non avevano fatto un passo davanti.”parole, parole, parole, soltanto parole, parole fra noi.

Da non prendere alla lettera, ma nella vita di ogni giorno: “Come in autobus, conveniva fare il biglietto appena saliti, e dirigersi subito verso l’uscita. Se no, veniva la tua fermata, e tu…” – non sapendo cogliere l’attimo, eri colpito dalla ria sorte. È anche un libro di saggezza, molto in fondo.

Si resta intrappolati dalla sorte, e c’è sempre chi dice che non è così, che ogni cosa era prevista, e tu eri la vittima designata dal Rio e Reo Destino.

Lo stesso Zhuang-zi parla con dovizia di particolari di ‘sto Befanone perennemente in agguato.

“Ma quanto a fatti precisi, briciole.” – i due investigatori (come i due scrittori) sono dei gran parlatori, affettuosi, petulanti, scoccianti, e difficile è liberarsene (sia i due detective che i due thriller-man). Se ne viene fuori soltanto a pagina 422, che precede l’Indice de La donna della domenica.

“… le dame tutte sormontate da cappelli che (questo bisogna concederglielo a Torino) non si vedevano in nessun’altra città d’Italia.” – Torino! Città che conosco un po’ per via di zio Mondo che ci abitava, e che non mi manca, anche se, quando mi c’imbatto, mi scappa ogni tanto un Però!

Dice “il commissario”, quello più romanticone dei due: “Ora devo proprio andare. Altrimenti anche loro penseranno che la polizia ha solo tempo da perdere. E da far perdere.” – lo scrittore, diceva Carlo Castellaneta, è uno che lavora anche se pare che sia lì a mirare il vuoto (in realtà ho cambiato un po’ la metafora: anche ora – disse in un talk show televisivo – mentre chiacchiero con voi, sto lavorando… Capitava anche a me, mentre ero intento a guadagnarmi giornalmente il pane? Non intendo rispondere; chiudo infine l’esagerata parentesi, chiedendo venia).

“A Torino, il commissario aveva incontrato perfino dei pugliesi, dei calabresi, che parlavano dall’alto in basso dei ‘terroni’. Era come un morbo locale e inevitabile.” – a me capitò un immigrato da Ginosa che usò quel termine: Vînt ân fa, a n gh n ēra mia acsé tânt ed taròun! – non ce n’erano così tanti, di meridionali, vent’anni fa: solo lui e pochi altri eletti… Il razzismo, quello gratuito (il 99,99% periodico lo è) ammorba l’esistenza, incrementando l’entropia.

“La signora Tamusso” è da tenere d’occhio: usa a dismisura l’ironia. Se uno dei due commissari le dice: “E dormite come angeli…” – lei, che è ancorata al terreno (e alle proprietà), risponde: “No come galline…” – e subito aggiunge: “Dia un taglio alle ali.”

È il personaggio che più sa reggere la scena. I due autori ne hanno un sospetto rispetto (rima).

‘Sto commissario Santacroce mi sembra che, mentre interroga la test numero zero, la dolce signora Anna Carla Dosio (Jacqueline Bisset nel film di Luigi Comencini, mentre Santachiara è Marcello Mastroianni, il commissario De Palma è invece Pino Caruso), pare che stia andando a moroso… La Dosio è notoriamente coniugata, ma il fatto non è penalmente rilevante.

Parliamo ora dell’“americanista Bonetto”? Occorre dire che è super preso in giro dai due stalker-autori. Pare che ‘sta stramba figura sia basata sulla vita e l’opera di un compagno di classe di Fruttero. Chissà quante gliene avrà dette! A un certo punto parrebbe addirittura uno dei responsabili del doppio crimine! I delitti più belli sono quelli che viaggiano appaiati. A un certo punto viene fatto fuori, in modo analogo al primo, anche un certo… No, non voglio anticipare nulla! Basta leggere il romanzo La donna della domenica e si scopre ogni cosa.

“Alto sulla notte, i piedi appoggiati contro la ringhiera di ferro del balcone, l’americanista Bonetto contemplava serenamente il suicidio.” – lui che tanto amava la lingua e la letteratura estera! Che mancanza di rispetto per un simile studioso! Tanto c’è da amare, da studiare, da contemplare, amici!

“Ma le considerazioni affettive non lo toccavano più: aveva ormai oltrepassato il point of no return.”: life’s a wild and black hole! Mi viene anche da dire che every thriller est un noir trou!

Fra la Dosio e “il commissario” (il più attivo in tal senso) sta nascendo qualcosa, per cui, per una scemenza, i due “Scoppiarono a ridere come compagni di ginnasio.”gatta ci cova e forse ci sta.

Nel dire una mezza sconcezza, quella gentil e ferina signora sta usando “un sussurro teatrale”…

Sembra talvolta di leggere un romanzo di Jane Austen, tipo Lady Susan… No! Che dico: Sandition, o forse, più ancora, Emma

Non tutti sono così frivoli. “Vittorio era puntuale come un astronauta e gli dava sui nervi aspettare, ne faceva tutto un dramma di regolarità gastrica, viscerale, epatica e diosacché.” – ma che due p… placche! Invece, quel tanghero manco l’aveva invitata “a colazione”! Ma che aspettava?!

Macché! Ora le dice: “Perché non mangia qualcosa con me, se nessuno l’aspetta? Altro che timido. Questo la invitava praticamente a letto, così, in pieno corso Belgio…” – aspetta un po’, cara, da’ tempo al tempo, da’ pagina alla pagina.

“L’americanista Bonetto fece una pausa e lasciò scorrere lo sguardo su…” – ma lasciamolo un po’ in pace ‘sto inclìto studioso!

Macché! VIII s’intitola così: This, – disse l’americanista – e continua: “… Bonetto comprendendo in un largo gesto la piazzetta irregolare e accidentata dov’erano faticosamente sbucati…” – etc etc.

Le prime cinque parole del discorso formano il titolo di IX: La legge – pensò il commissario – e poi: “guardando i documenti d’identità sulla sua scrivania – era uguale per tutti: ma non proprio subito, fortunatamente.” – tanto, di tempo ce n’è per (circo)scrivere il noir trou!

Si tratta della forma letteraria più in uso da parte di chi ha un’altra attività principale. Sto pensando a Valerio Varesi, Cristina Cassar Scalia, Giuseppe Benassi, Alberto Bagnulo, Pio Raccuglia, Gabriele Di Giovanni, Tommaso Volpi e tantissimi altri…

Forse perché nulla vi è di più eversivo di un noir trou?

Perché “l’americanista Bonetto”, nella sua desposizione mischia la lingua inglese a quella natia (piemontese)? Forse perché, chiunque sia in grado di farlo, ama avvolgere nella bruma la propria idiomatica schiettezza. Mi spiego: egli non rinuncia alla propria sincerità ma, inizialmente, la dissimula glottologicamente, per poi illuminare l’ambiente con ogni sorta di dardo luminoso…

Insomma, “l’americanista Bonetto” dice tutta la verità, soltanto la verità, ma la camuffa come riesce, essendo tanto sotto stress, poveretto (“ciapapuer”).

Chi fu colui che disse che il romanzo è tale se non ha fine? Jacques Lacan? Il quale Lacan, se abbaia, non morde. La battuta non sarebbe riuscita se avessi indicato, anziché l’innocente psichiatra, il colpevole critico: Theodor Adorno, il quale adornava così la sua concione: ogni romanzo ha il suo seguito, almeno nella mente del lettore. Anche questo è un (mio) delitto, una (mia) truffa. Mai disse così, anche se più o meno lo pensava.

È il – così termina una poesia-preghiera di Thomas S. Eliot. Il romanzo Her di Lawrence Ferlinghetti si conclude con una frase sospesa, senza manco la punteggiatura… Quale frase? Chiunque sia interessato a sciogliere l’enigma può farlo, interrogando quel bel tomo…

Se pare che stia tergiversando, invito chiunque a leggere il romanzo del duo di Piadena, pardon, di Torino. Sono loro che mi hanno ispirato. Il reagente letterario si lascia condizionare dall’opera, dall’autore (nella fattispecie doppio), fin anche dalla casa editrice e dal correttore di bozze.

Carlo Fruttero e Franco Lucentini citazioni
Carlo Fruttero e Franco Lucentini citazioni

Un unico, colpevolissimo spoiler: l’assassinə è anche vittima (parola che non necessita dello schwa).

Certo che quei due uomini d’ordine (nonché i due autori) non ne provano tanta, di pietà!

“Ormai, era come picchiare su un gatto schiacciato sull’autostrada.” – non sempre la legge rispetta la legge. L’importante è che si risolva, in loco, il co(s)mico caos.

Poi mi sovvien l’eterno e le floride stagioni etc… il bello del sesso è che, talvolta, è un acte gratuit.

“– Sono le sette e venti. Oh, mipovradona! – disse ridendo…” – colei che, a Reggio, è definita, maschilissimamente, la solita (fascinosamente colpevole), di cui noi siamo (a malapena) i vergognosi complici.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Carlo Fruttero, Franco Lucentini, La donna della domenica, Mondadori, 2004

 

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