“White people rape dogs” di Jacopo Iannuzzi: l’umanità è un condominio di carne?

In un’imprecisata località del Nordest, indecisa fra la provincia e la metropoli, tra la montagna e il mare, Remo trascorre il tempo cercando di dare un senso alle proprie giornate.

White people rape dogs di Jacopo Iannuzzi
White people rape dogs di Jacopo Iannuzzi

Remo non studia, non lavora, e alle sagome uniformi che affollano una normalità che sa troppo di artificio, preferisce la compagnia di amici che magari quasi tutti definirebbero improbabili ma che, come lui, più o meno consapevolmente, lottano per “non rassegnarsi al silenzioso dolore del tempo che passa e restare svegli anche oggi un minuto in più.” (citazioni tratte da White people rape dogs di Jacopo Iannuzzi)

Come ghostbuster del secondo millennio, Remo e i suoi sodali ondeggiano in un altrove quotidiano affollato da una panoplia di umanità lucidamente votata a non varcare la fatidica soglia della cosiddetta normalità, un altrove però stabile, mentre là fuori tutto è mutevole.

Ecco allora Jem, uno che dorme in una palestra e che ogni tanto si presenta con uno zaino di droga rimediato chissà dove, perennemente in debito con un tizio di nome Cristo, “un ragazzone coi capelli rossi corti e il collo tatuato tipo Mara Salvatrucha che gli spunta da un giubbotto Subaru giallo-nero tutto pieno di sponsor… uno che fa l’operaio in una cartiera e mette incinte le ragazze per fare la cresta sui sussidi e godere delle agevolazioni abitative”.

Jem, l’amico con cui fumare una canna chiusi in macchina sotto un lampione in un parcheggio vuoto, bevendo birra e ascoltando della drum’n’bass, che magari è la via breve per improvvise rivelazioni; come questa: “«L’umanità è un cazzo di condominio di carne, ho detto, piegandomi verso il finestrino per vedere meglio, un enorme condominio di carne e occhi, ricoperto di pelle.»” Jem, con i suoi sogni di riscatto e la voglia di scappare in Olanda, sempre impegnato a escogitare piani per sfangare la quotidianità e rimediare qualche sniffata.

E poi Pingu, uno che coltiva hobby macabri, con la camera da letto piena di teche con gli insetti spillati e vasche con lucertole e ragni a mollo nell’alcol; Pingu, un mago nel preparare quel drift di cristalli (ché il segreto è usare un pentolino di rame, perché distribuisce meglio il calore, si asciuga ma non si brucia) “che ti fa sorridere nervosamente e ti fa sbocciare di sensazioni, fluttuando senza peso a due metri dal fondale come pesci; il clou lo si raggiunge subito, ma fino al giorno dopo rimane la sensazione di aver nuotato col cervello in un tropico di stelle purissime.”

Ai due si aggiunge Francoboy, forse il più scatenato della compagnia, invischiato a un certo punto in nebulose vicende eversive che riconducono ai separatisti filoputiniani del Donbass.

«Di’ la verità, a voi non interessa un cazzo di eliminare le ingiustizie, volete solo trasferirle a qualcun altro, ribaltare il tavolo, ottenere giustizia con la vendetta. La vostra non è un’utopia. È pura violenza»” lo incalza a un certo punto Remo, con l’altro a replicare di cambiamenti, di grande reset e di risveglio delle anime pure nell’amore, e della violenza come unico modo per provocarlo, questo cambiamento.

Infine Gioia, che indossa solo calzini a forma di coniglio, un’anima libera, che vende il proprio corpo su un’app a pagamento per mantenersi con gli abbonamenti mensili dei clienti.

“Jem ci ha presentati, lì sulla porta. Lei ha allungato la mano per stringere la mia, che ho sbrogliato dalla tasca del giubbotto come se non me l’aspettassi. Mi è sembrato di stringere una piuma, senza peso. Una piuma bianca sottile come il lino. Era fredda e leggera. Poi lei si è spostata i capelli dietro l’orecchio e ci ha fatti entrare.”

Fra Remo e Gioia nasce qualcosa, che potrebbe sfociare in qualcosa di diverso “Mi sono girato verso Gioia…mi fissava. L’ho guardata a mia volta. Le spire di fumo disegnavano cornici incerte, evanescenti sotto il tettuccio nero. Senza volerlo, sotto i suoi occhi che luccicavano pizzicati dal fumo ho intravisto qualcosa che assomigliava a un riflesso di me. Ho pensato: merda. Il cuore mi è saltato fuori dalla bocca come un pesce rosso nell’erba in una scena in bianco e nero… mi passava la canna. Che c’è, tocca a te. Ho allungato la mano per prenderla, lei allora ha fatto apposta perché le nostre dita si toccassero. È stato strano.”

Perché Gioia è diversa: “«Mi ha letto le carte, la mano, mi ha regalato delle pietre. Mi ha spiegato i loro poteri, e poi parla in quel modo… sembra completamente scoppiata, i suoi discorsi sono pff, non so, incoerenti, anche poetici a volte… ne abbiamo conosciute di tipe così, tutte costruite, oroscopi e menate. Non voglio dire niente, non dico che… niente da dire. Ma lei… è più ironica tipo. È seria, ma non si prende sul serio. Capisci?»”

Ma poi le cose cambiano, insieme alle persone, e basta una piccola crepa a impedire ciò che conta davvero: “«sapersi ballare dentro, darsi vita.»”

Remo, Gioia, Jem e Francoboy. Una compagnia della sregolatezza che galleggia in quella zona di flow mentale in cui tutto sembra fluido, impegnata in interminabili tour notturni che riconducono sempre al punto di partenza, cioè se stessi, magari dopo essersi imbucati in qualche festa, come quella organizzata da Nic Pollo, scroccando qualche drink e fraternizzando con gente a caso “Siamo saliti sui divani con le scarpe sporche di fango e abbiamo sparato dei petardi dal balcone. Abbiamo guardato le stelle che scricchiolavano lisergiche negli occhi del tempo e fatto passare il muso a Jem a forza di sputi su tappeti e cannette fumate di nascosto nei posti proibiti della casa tipo sul letto matrimoniale dei genitori.”

Oppure azzardando incontri un po’ così, come quello fra Jem e don Pamela, “uno che assomigliava a George Lucas, con quella barbetta grigia che gli coronava la pappagorgia”, lassù, al Santuario della Madonna della Salina, dove il prete usa giocare al ragazzo d’oro, che poi è un gioco di sesso orale da cui Jem ricava qualche centinaia di euro per tirare avanti per un tot, in attesa della prossima notte.

Jacopo Iannuzzi citazioni
Jacopo Iannuzzi citazioni

Sballi, fughe, cospirazioni, amori forse impossibili, a chi scrive i tipi umani allucinati ma lucidi che affollano il mondo di Jannuzzi rimandano a certi personaggi del Tondelli di “Weekend postmoderno”, e forse ancor di più alle struggenti sagome protagoniste di “Testamento Disney” di Paolo Zanotti. Tipi segnati da una biografia dispari che muovono in un mondo a parte, fluttuanti al di fuori dalla banale cornice della normalità; tipi che non hanno destini da compiere, che non precipitano nella prosaica trama della vita; tipi in uno stato cosciente di assenza mentale, magari in fuga dal dolore, anche prigionieri delle proprie ossessioni, vagabondi metropolitani sospesi in un proprio continuum spazio temporale, dove ogni cosa succede da qualche altra parte.

Vincitore del premio Calvino, l’esordio letterario White people rape dogs di Jacopo Iannuzzi ci consegna una voce poetica ma nello stesso tempo ruvida, che non fa sconti. Una voce aspra ma struggente che, come riportato nella quarta di copertina, “squarcia il velo della narrativa italiana contemporanea”.

 

Written by Maurizio Fierro

 

Bibliografia

Jacopo Iannuzzi, White people rape dogs, Einaudi, 2024

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *