“La ragazza cancellata” di Bart Van Es: una pagina della Seconda guerra mondiale
Sto leggendo un libro molto bello, dopo averne letto uno altrettanto meraviglioso.

I due titoli sono: Ogni giorno a Jenin di Susan Abulhawa e La ragazza cancellata di Bart Van Es.
Entrambi m’inducono a formulare una banalità: ogni sterminio di genti diverse è, appunto, diverso, ma tanto s’assomiglia nel non aver pietà per l’Altro, né in nome del proprio essere ugualmente umani, né di quel Dio di tutti (ma proprio tutti!), in cui si crede di credere.
È in tale fatale amnesia che l’homo sapiens ignorans rinuncia a farsi perdonare da se stesso.
Non ho mai letto due opere tanto simili e, al contempo, tanto difformi nel timbro e nel tono, ma non nella passione che spinge a cercare una, pur letteraria, verità.
Il romanzo di Susan è ricco di pathos, di sangue, di stermini.
Ne La ragazza cancellata di Bart Van Es rinvengo circospezione, tristezza, attenzione ai particolari.
Come vorrei che quei due autori si conoscessero e provassero a scrivere insieme il loro prossimo romanzo. Chissà che meraviglia ne uscirebbe! Per una simile e umana curiosità, tendo sempre a mettere in contatto due amici ignari del fatto di aver un rompiballe in comune: me. Dopo di cui m’auguro che, dalla loro reciproca frequentazione, ne scaturisca una diversa e più ampia cognizione di me. Quando l’egoismo si mischia con l’altruismo, il gioco è fatto.
È per questo che preferisco leggere nuovi autori, anziché l’ennesima opera dell’ennesimo genio conclamato?
Una breve esegesi: Bart è un docente di letteratura presso l’università di Oxford, ed è nativo dell’Olanda. Come Susan lo è della Palestina. Entrambi sono dei mezzi apolidi, così come li intendo io, come lo era Elias Canetti, che era nato in Bulgaria da genitori che fra loro parlavano in spagnolo e che poi, dopo aver abitato in varie nazioni, iniziò a scrivere in tedesco. Il più apolide di tutti per me rimane Franz Kafka, che forse non si sentiva a casa sua nemmeno nel suo stanzino da bagno. Ogni tanto mi scappano queste fantasiose piolate.
Nell’alzarsi la mattina, dopo una serie concatenata di sogni astrusi (pleonasmo od ossimoro?), uno decide ogni volta di perseguire uno scopo nella vita, per esempio sorbire un caffè, oppure, come nel caso di Bart, dedicarsi a un lontano e parentale enigma: perché nessuno tra i suoi vecchi ama parlare di quella ragazza di nome Lien che aveva vissuto per tanti anni presso la sua famiglia?
L’unica soluzione al busillis è recarsi a cercarla in Olanda, dove quella vive. Hai visto mai che la verità possa interessare anche a lei? Stimola la sua ricerca il suo sentire l’esistenza di un antico segreto, e intende liberare la famiglia da qualche, forse assurdo, fardello. In bocca al lupo, caro!
L’immagine della copertina del romanzo mi spinge ogni tanto a sospendere la lettura, per rimirarla ancora una volta. La ragazza cancellata è veramente bella, ma è tagliata orrendamente a metà. Scorgo nel suo occhio destro la triste consapevolezza che la vita è quella che è, perché non riesce a essere un’altra. Ma può sempre evolversi, chissà… Speriamo! E dimentichiamo quell’antico detto, che la speranza è l’ultima a morire. Noi dovremmo esercitare quell’estremo privilegio, non lei.
Inserisci varie foto, caro Bart, che, da una parte, mi emozionano, dall’altro, mi recano tanta pena. Sto pensando anche a quella foto dei genitori di Lien, così belli ed eleganti.
Lei, Catherine de Jong Spiero, “Ha il viso illuminato dal sole e sorride con timidezza…”.
Lui, Charles, “… seduto per terra davanti a lei, in maniche di camicia, le mani grandi comodamente posate sulle ginocchia…”, “… fissa l’obiettivo con sguardo sicuro e ironico…”, “…mentre, per sua moglie, con quel sorriso teso, è più difficile.”
Sono passati quasi cent’anni e nulla di grave è loro accaduto. Nella foto, intendo, perché, nel prosieguo della loro vita, hanno fatto una fine simile a quella di alcuni dei personaggi creati dalla fantasia di Susan Abulhawa.
La tua scrittura, Bart, varia di tempo e di luogo, come capita a voi autori che studiate il passato, che sentite essere come un nostro negletto consanguineo, che dovremmo cercare di portare alla luce, senza mai magnificarlo, dandogli soltanto il rispetto che merita.
La storia di questa Lien dura tutt’oggi. Quando la vai a trovare scopri in lei una solidarietà che fa ben sperare sia te che il tuo lettore.
Sento che anche lei confida nella tua opera di svelatore di quegli antichi misteri.
La verità è un’illusione? Lo è anche il velo che la ricopre, allora! Allora toglilo!
Sai perché Lien e il sottoscritto confidano in te? Perché sanno che tu sei un tipo riflessivo, ma che non molla mai. Ti vedrei bene come attento giocatore di scacchi e come assorto solutore di rebus enigmistici.
Pensa, per esempio, a ‘sta piccolezza, che mica ti sfugge, allorché leggi una lettera scritta alcuni decenni fa (esattamente il “1° ottobre 1942”): “A questo punto Lien è arrivata in fondo al foglio, quindi l’ultimo pezzo dell’ultima frase viene pigiato nel margine.”
Lien ti mette a disposizione le sue numerose lettere. In una chi la sta allevando la definisce “un maschiaccio” – lei con quel visetto così grazioso! Ma anche lei sa di esserlo, un tipo tosto!
La lettera è scritta da “Zia” alla madre lontana, che di più non si può, per cui la Zia (acquisita): “… quando la busta torna indietro, non aperta…” – che può fare, se non celarla alla piccola?
Lo ridico, casomai non si fosse capito: i genitori di Lien hanno fatto la fine che meritano gli innocenti, la cui colpa è di essere tali nel momento sbagliato, allorché domina la viltà e la crudeltà delle bestie che abusano del loro insano Potere!
Lien è come un pacco postale: “La spostarono rapidamente da una casa all’altra, dove non rimaneva mai più di qualche giorno. ‘Le lacrime diminuivano ogni volta, in proporzione agli spostamenti.” – questa è l’umanità che non sogniamo, un incubo intermittente che finiamo per dare per scontato.
In quel Kaos sorgono due “Lientje”: una “Kwaie” e una “Goeie”. La poverella “Oscilla tra l’una e l’altra – tra la bontà e la cattiveria o la rabbia – mentre fissa il vuoto delle ore che passano.”
Tu, Bart, passi tante ore con l’anziana bimbetta, a un certo punto della serata, dopo cena, la aiuti a sparecchiare. Ormai siete quasi consanguinei, o affini, tanto non cambia granché, se il vostro reciproco sentimento è condito dal medesimo rispetto.
Bart, il tuo La ragazza cancellata è un romanzo, poche balle. Quelle poche balle si chiamano fiction e servono a ricostruire la verità che è in fondo al pozzo che galleggia, e che va salvata.
Parlando di Lien e del suo nuovo amico, scrivi: “Alla fine si azzardano a muoversi di nuovo, riscavalcano il muro e svoltano a sinistra in una strada acciottolata con edifici più bassi, dove Jo colpisce col piede un sasso che rimbalza sul selciato. Si fermano un istante nella quiete più assoluta e lei osserva le nuvolette del suo alito.” – e mi sembra d’esserci anch’io, insieme a quei due marmocchi!
“Il coinvolgimento girava al minimo, capisci cosa intendo? A me sembra proprio l’espressione giusta. Capisci?” – quel che Lien desidera da te è che tu, capendo, faccia meglio comprendere lei quel che fu.
Senti questa (l’hai scritta tu!): “Un anno più tardi, quando mostrerò a Lien il resoconto che ho scritto della sua fuga da Ijsselmonde, ne resterà turbata, non perché non sia veritiero, ma perché, a differenza di tutte le esperienze precedenti della sua infanzia, ci sono tanti vuoti che non è in grado di colmare.” – e tu li hai saputo riempire con la tua immaginazione.
“‘L’hai descritto come avrebbe potuto essere. Mi sta bene.’ mi dirà.”
Ancora: “I suoi ricordi non sono chiari come nel mio racconto. Sono frammenti…” – che tu raccogli ed elabori, rendendoli luccicanti come perle. Di tante cose, che non sto a elencare, lei ammette che “non ricorda nulla” – ma grazie a te può ora riviverle, attimo per attimo.
“Il silenzio che regna fra noi è ormai il silenzio dell’amicizia…” – la meno torbida delle passioni, anche se pure lei deriva, come amore, da quel noto e sanscrito kam’a – “… confortevole ma anche triste.”
Ora “La Zia le chiede se le va la salsiccia e quando lei annuisce, gliene dà il doppio che agli altri. Poi c’è un dolce, una rarità, preparato in suo onore.” – cosa c’è di bello in questo che non so se è vero o inventato? Il dolce, ovviamente! In un indimenticabile punto (non ricordo più dove) Lien fu punita perché di nascosto si era pappata una zolletta di zucchero. E mi ricordo che talvolta scorsi mia nonna, nata nel 1881, che aveva conosciuto la fame da ragazza, prelevare di nascosto quei succulenti cubetti.
“Ma so anche che si tratta di un’illusione, il tipo di illusione che solo le storie generano. Com’è possibile che uno come me, cresciuto in un mondo di benessere e stabilità, comprenda l’esperienza vissuta da una bambina nella Seconda guerra mondiale?” – ti chiedi, tu, che quel canceroso conflitto umano l’hai visto (come me) soltanto in televisione…
Certe “immagini del passato…” – scrivi a pagina 199 de La ragazza cancellata – “mi bersagliano come pugni in testa.”
Finalmente, a pagina 218, scorgo l’immagine intera di Lien… Che bella che è! Che penosa tenerezza! Che tenera pena che fa!
Una scena che sta accadendo ora, e circa mezzo secolo fa: “A quel punto, Marianne entra saltellando e ordina di scendere a far colazione. ‘Vi dovete alzare! Vi dovete alzare!’ cantilena, un saltello per ogni parola.”
E noi due stiamo ora saltellando insieme a lei…

L’arte è foriera del più gioioso rimbambimento!
Molta della tua storia deriva da un documento dattiloscritto di Lien, intitolato “Storia concreta dei miei rapporti con la famiglia van Es” – tutto il resto è ugualmente, fantasiosamente, vero.
Scopri, alla fine, il motivo della diatriba che ha causato da un lato l’allontanamento della ragazza dalla vita dei tuoi famigliari, dall’altro alla tua scrittura.
Lo sintetizzo con queste tue due parole: “È banale…”.
Questo non lo è, invece, né potrà mai esserlo: “… guardando da vicino si nota che sui tubi d’acciaio sono incisi nome ed età. Sono i nomi dei bambini assassinati, quattrocento in tutto.”
La fine del tuo romanzo è così bella che la vorrei sottacere. Ma non ce la faccio.
Riporto le ultime tre parole, che rappresentano un augurio per tutti, non solo per Lien, la quale, ora: “Si sente completa.”
I tuoi Ringraziamenti sono assai succinti: appena 4 o 5 pagine. A essi ci aggiungo i miei.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Bart Van Es, La ragazza cancellata, Guanda, 2018