“Jones il violinista” poesia di Edgar Lee Masters tratta dall’Antologia di Spoon River
“La terra alimenta un fremito continuo/ nel tuo cuore, e quello sei tu.” ‒ “Jones il violinista”
La celebre Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters ci racconta di “Jones il violinista”, siamo nel Middle West americano e precisamente in un cimitero di villaggio nel quale i morti chiacchierano l’uno dell’altro, di se stessi e dei vicini ancora in vita.
In quel che si chiama aldilà ogni ipocrisia è caduta: i morti svelano alcuni segreti di cui hanno taciuto durante la vita. Edgar Lee Masters ci presenta le parole delle tombe scelte dai cari e smentite da epitaffi che raccontano seduzioni, amori colpevoli, odi repressi, inganni, invidie, rancori, illusioni, fallimenti e suicidi.
Una vera e propria tela di scandali di una comunità corrotta che, descrivendo gli effetti dell’industrializzazione in una cittadina americana, è pari ad un trattato sociologico in versi. La poetica di Masters è classica e moderna, provinciale e metropolitana, sofisticata ed arcaica.
La poesia “Jones il violinista” ha avuto molto successo in Italia perché ispiratrice della celebre canzone di Fabrizio De André “Il suonatore Jones”.
“Jones il violinista”
“La terra alimenta un fremito continuo
nel tuo cuore, e quello sei tu.
E se la gente scopre che sai suonare,
ebbene, suonare ti tocca per tutta la vita.
Che cosa vedi, un raccolto di trifoglio?
O un prato da attraversare per arrivare al fiume?
Il vento è nel granturco; tuti freghi le mani
per i buoi ora pronti per il mercato;
oppure senti il fruscio delle gonne.
Come le ragazze quando ballano nel Boschetto.
Per Cooney Potter una colonna di polvere
o un vortice di foglie significavano disastrosa siccità;
Per me somigliavano a Sammy Testarossa
che danzava al motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare i miei quaranta acri
per non parlare di acquistarne altri,
con una ridda di corni, fagotti e ottavini
agitata nella mia testa da corvi e pettirossi
e il cigolìo di un mulino a vento ‒ solo questo?
E io non iniziai mai ad arare in vita mia
senza che qualcuno si fermasse per strada
e mi portasse via per un ballo o un picnic.
Finii con quaranta acri;
finii con una viola rotta ‒
e una risata spezzata, e mille ricordi,
e nemmeno un rimpianto.
***
Edgar Lee Masters nasce a Garnett il 23 agosto del 1868 e muore a Melrose Park il 5 marzo del 1950. Poeta e scrittore lavorò come avvocato. Inequivocabilmente è noto soprattutto come autore dell’Antologia di Spoon River. Figlio di avvocato sposò la figlia di un altro avvocato, Helen M. Jenkins, dalla quale ebbe tre figli. Nel 1911 aprì uno studio legale in proprio e due dei suoi figli seguirono le sue orme, la figlia Marcia si dedicò alla poesia ed il figlio Hilary preferì la carriera da romanziere. Tra le sue opere scrisse assieme ad Hardin (il fratellastro) una interessante biografia del padre.
È ormai tradizione ritenere che le fonti d’ispirazione maggiori per l’Antologia di Spoon River siano l’Elegia scritta in un cimitero campestre di Thomas Gray e gli epigrammi greci dell’Antologia Palatina. Tra il 29 maggio 1914 e il 5 gennaio 1915 pubblicò con regolarità quasi tutti i componimenti dell’Antologia, a partire da “La Collina” ma fu solo nel 1916 che fu pubblicata la versione definitiva dell’opera in volume con il titolo che conosciamo.
L’Antologia di Spoon River riscosse sin da subito grande successo, soprattutto in USA e, più tardi, in Italia.
Masters fu uno scrittore prolifico in diversi campi sebbene non abbia mai più replicato il successo dell’Antologia di Spoon River e nel 1024 dopo lo scarso esito di The New Spoon River (1924), abbandonò comunque la professione di avvocato per dedicarsi alla scrittura. Negli ultimi anni le difficoltà economiche fattesi pressanti lo obbligarono a ricorrere all’aiuto di amici per poter sopravvivere. Il 5 marzo del 1950 morì in miseria e dimenticato, di polmonite; la sua grandezza sarà riconosciuta solo a partire dagli anni ’60.
Fu sepolto nel cimitero Oakland di Petersburg. Il suo epitaffio include la poesia To-morrow is My Birthday tratta dall’opera Toward the Gulf.
In lingua originale
“Flidder Jones”
“The earth keeps some vibration going
There in your heart, and that is you.
And if the people find you can fiddle,
Why, fiddle you must, for all your life.
What do you see, a harvest of clover?
Or a meadow to walk through to the river?
The wind’s in the corn; you rub your hands
For beeves hereafter ready for market;
Or else you hear the rustle of skirts
Like the girls when dancing at Little Grove.
To Cooney Potter a pillar of dust
Or whirling leaves meant ruinous drouth;
They looked to me like Red-Head Sammy
Stepping it off, to “Toor-a-Loor.”
How could I till my forty acres
Not to speak of getting more,
With a medley of horns, bassoons and piccolos
Stirred in my brain by crows and robins
And the creak of a wind-mill—only these?
And I never started to plow in my life
That some one did not stop in the road
And take me away to a dance or picnic.
I ended up with forty acres;
I ended up with a broken fiddle—
And a broken laugh, and a thousand memories,
And not a single regret.”
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