“Ferite a morte. Dieci anni dopo” di Serena Dandini: la misura del fenomeno del femminicidio
“Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie, la tenera, la semplice, la vociona, l’orgogliosa, la felice? Tutte, tutte, dormono sulla collina.” ‒ Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River
Sono testimonianze dure e crude quelle raccolte da Serena Dandini nel suo testo Ferite a morte. Dieci anni dopo pubblicato nel 2024 da Rizzoli.
Testimonianze di vita vera che, soltanto leggendole, fanno accapponare la pelle per la corrispondenza alla realtà riportata dalla cronaca. La quale, dà la misura del fenomeno del femminicidio.
Entrato nel linguaggio comune, il termine femminicidio ricompare negli slogan delle femministe degli anni Settanta. Nel 2006 Marcela Lagarde, antropologa messicana, conia la parola per definire la “forma estrema della violenza di genere contro le donne, prodotta dalla violazione dei loro diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine.”
Riguarda dunque atti di violenza esercitati sul corpo di una donna il femminicidio, spesso unita da legami parentali al suo assassino, che agisce con il desiderio di annientarne la volontà fino a procurarne la morte.
Le donne sottoposte a gesti brutali sono spesso oggetto delle ‘attenzioni’ dei loro uomini, mariti o compagni che siano, che spesso vengono dichiarati ‘malati’. Ed è in nome di ciò, che l’autore del reato si sente legittimato a compiere gesti estremi e inconcepibili, adducendo svariate e insensate motivazioni.
Troppo facile però definire i responsabili di tali reati dei ‘malati’, speculazione su cui bisognerebbe dissertare a lungo, e difficile da espletare nel breve spazio del commento al libro Ferite a morte. Dieci anni dopo di Serena Dandini.
A dare inizio alla sequela delle testimonianze di cui si diceva poc’anzi è ‘casa dolce casa’. In cui una delle tante vittime racconta come e dove è stata uccisa, cercando di spiegarsene il perché.
“Nessun posto è bello come casa mia.” ‒ da Il mago di Oz
A seguire, altre testimonianze, tutte presentate a mo’ di monologo; che sono anche occasione per dare voce al tragico vissuto delle vittime, poi sancito dalla morte, che ha visto l’epilogo delle loro vite.
I monologhi, che danno forma al testo, sono nati sull’onda della rabbia e dello sdegno dell’autrice, quale rappresentazione plastica di un fenomeno che non è affatto in via di estinzione. Semmai è la prova inconfutabile dello scempio che si continua a compiere sul corpo di molte donne. Quelle portate alla luce dall’autrice sono storie che non solo raccontano la loro tragica fine, ma anche la loro quotidianità, fatta di sogni spezzati e di speranze ridotte a brandelli senza giustificazione alcuna.
Fenomeno globale e culturale, il femminicidio si manifesta il più delle volte con la violenza a livello fisico, ma che trova la sua linfa vitale anche nelle parole e nelle umiliazioni, volte a distruggere l’autostima della donna emarginandola e mettendone in discussione ogni tipo di libertà.
Spesso manipolate, oggi, le donne continuano a essere uccise per mano di uomini che avevano promesso loro di amarle e rispettarle. Promesse non mantenute, ovviamente. Perché è un dato di fatto che il fenomeno non conosce alcuna battuta d’arresto, in quanto sono molte a essere perseguitate dai loro compagni di vita. O quelli che tali si dichiaravano.
Nel 2020 la pandemia Covid-19 ha accentuato il diffondersi del fenomeno, in virtù dell’emergenza sanitaria che ha obbligato molte donne a rimanere tra le mura domestiche con i loro aguzzini. Che in molti casi non hanno esitato ad esercitare su di loro forme di violenza: nel migliore dei casi violenza psicologica, sottile strumento di persuasione, spesso usato con lo scopo di assoggettare le donne alla volontà maschile.
È dunque a tutt’oggi, un momento emergenziale quello che stiamo vivendo a proposito del fenomeno del femminicidio?
Pare di sì, così come si evince dal testo Ferite a morte.
Nonostante il legislatore nel 2023 si sia preoccupato di varare alcuni provvedimenti, il fenomeno insegue una deriva continuando a esercitare soprusi e vilipendio nei confronti di molte donne.
“Sono rosa e sembrano caramelle, invece sono pillole per le mucche, servono per far ingrassare il bestiame ma le danno anche a noi bambine per crescere in fretta e mettere su un po’ di carne, così alzano i prezzi e ci vendono meglio.”
In questa nuova edizione di Ferite a morte, la prima risale al 2013, a distanza di oltre 10 anni l’autrice riporta in modo dettagliato e puntuale, con nomi e date, l’attestazione dei fatti che hanno causato la morte di molte donne. Senza dimenticare di citare le ‘motivazioni’ dei loro assassini.
A fine libro, la presenza di riferimenti, anche in questo caso precisi e puntuali e nati sulla scorta di dati assolutamente certificati, sono dedicati alla condizione delle donne a livello planetario, e alla violenza di genere esercitata in molti paesi extraeuropei. Pakistan, Afghanistan, per esempio, con dati basati su dossier e studi di commissioni stesi per analizzare il drammatico fenomeno, si evince che le donne sono molestate o addirittura massacrate, se soltanto provano a ribellarsi al ruolo imposto loro dalla tradizione. Così come alcune realtà dell’America latina.
Menzionata nel libro è la realtà dello stato di Chihuahua, con Ciudad Juárez, considerata una delle città più violente del pianeta. Città-simbolo anche per l’attivismo di alcune donne del luogo, che dotate di ampio coraggio si sono fatte interpreti del malessere femminile, non esitando a denunciare la violenza consumata dai maschi sulle donne. Realtà documentata da Bordertown, film documentario che mostra una situazione che va raccontata con dati alla mano, che danno la misura della condizione femminile in quell’angolo di mondo.
A proposito del ‘mostro’ AIDS, l’autrice ha inserito riferimenti con dati allarmanti circa l’evolversi del grave fenomeno. Malattia che ha contagiato un’alta percentuale di donne e ragazze giovanissime, a causa spesso di abusi sessuali subiti che ne hanno aumentato il contagio. A essere maggiormente colpita è la zona dell’Africa subsahariana, dove la percentuale delle donne è maggiore di quella degli uomini.
A proposito di quella che viene definita la schiavitù moderna, sempre a fine libro, si riportano dati allarmanti con nomi e cognomi, che fanno rabbrividire per l’ampiezza del fenomeno. Presente in tutti i continenti, ad esserne colpite sono soprattutto Africa e Asia, il cui triste primato risiede in motivazioni di carattere sociali e culturale. Che certo non sono giustificazione della brutalità di tali fatti, che vanno sotto il nome di abusi esercitati sulle donne.
Infanzia rubata è il titolo di un altro capitolo dove si racconta della prostituzione di minorenni che affollano i bordelli legalizzati del Bangladesh. Costrette ad avere rapporti contro la loro volontà, e forzate a prendere pasticche per essere più appetibili sul mercato.
Il Giappone e la violenza domestica. Anche il Giappone, paese a basso tasso di omicidi, stupri e rapine, non è esente da forme di violenza applicate sulle donne. Nonostante le statistiche lo descrivano come uno dei paesi più sicuri al mondo, anche qui non mancano maltrattamenti, anche gravi, nei confronti del genere femminile.
‘Morte per dote’ si titola il capitolo in cui l’autrice racconta della cosiddetta morte di alcune donne per dote. Difficile da credere che oggi, una donna possa essere uccisa con tale motivazione; ma la realtà presente in alcuni paesi dell’Asia meridionale (India, Bangladesh, Nepal) è una piaga sociale del mondo femminile da aggiungere a quelle già raccontate.
A proposito della violenza esercitata nei territori palestinesi i dati parlano chiaro. La spinosissima questione va oltre la legge islamica, che prevede matrimoni combinati dai genitori.
La tratta di persone a scopo di sfruttamento sessuale, praticata con l’inganno, è un’altra questione documentata a fine libro, da cui si evince la gravità del fenomeno che coinvolge donne che accettano di partire e lasciare i loro paesi d’origine per avere una vita migliore.
Che dire poi delle mutilazioni genitali femminili?
Metodo di imbarbarimento ancora praticato sul corpo di ragazzine, che nulla possono fare per difendersi da un antico e inutile retaggio. Secondo i dati riportati dall’OMS e dall’UNICEF le mutilazioni avvengono dalla nascita e nell’adolescenza con procedure che portano spesso le giovani vittime a morire a causa di infezioni o di emorragie, in quanto pratiche assurde ma soprattutto esercitate in mancanza di alcuna tutela sanitaria.
Quindi, la condizione femminile nella federazione russa, e la violenza domestica. Con la depenalizzazione di alcune forme di violenza domestica, quelle che non causano ‘lesioni significative’, da parte del Parlamento.
Infine, l’infanticidio, sempre ovviamente rivolto al genere femminile. Con dati alla mano che denunciano una diminuzione drastica delle nascite femminili, da attribuirsi alla selezione sessuale esercitata da paesi soprattutto asiatici. Le cause vanno ricercate nella tradizionale preferenza per il figlio maschio e la discriminazione all’interno del sistema matrimoniale e nelle norme sull’eredità che in alcune società è riservata ai figli maschi.
Infine, per concludere, qualche buona notizia. Così è titolato il capitolo finale di Ferite a morte, dieci anni dopo. Dove si dà conto di una sintesi di leggi tese a raggiungere la parità fra uomini e donne e contro le discriminazioni.
Edizione aggiornata di Ferite a morte, quella qui commentata, proposta dalla scrittrice Serena Dandini, a cui in ultima battuta è stata aggiunta una voce maschile quale inno di speranza per un cambiamento e al contempo con l’auspicio, seppur simbolico, di partecipare al triste fenomeno che assolutamente da arginare, in quanto retaggio di una cultura obsoleta.
Testo già proposto 10 anni fa in una sua prima edizione, Ferite a morte suscitò allora un clamore che ancora oggi non si è spento.
Libro di denuncia fin dal suo esordio, con testimonianze che colpiscono come un pugno in pieno stomaco, si rivela come uno strumento importante per sottolineare l’importanza di un cambiamento.
Written by Carolina Colombi