“Processi. Su Franz Kafka” di Elias Canetti: il sogno di essere un autore minore
Esistono autori ed esistono Autori. Ecco una frase che io intendo accettare con un’accetta. Tipo: ci sono uomini e ci sono Uomini. Oppure: ci sono guerre e ci sono Guerre. Un mio amico, che abusò di stupefacenti e che poi morì, soleva dire che c’è droga e Droga.
Franz Kafka ed Elias Canetti sono due fra i più immensi, pur circoscrivibili, autori. La loro grandezza non si misura a pagina, badando alla massa, bensì al loro peso specifico. Rappresentano l’osmiuro di iridio della Letteratura. Punto. Se vuoi, anche virgola.
Processi. Su Franz Kafka è un Processo continuo di Elias Canetti a proprio carico. Un unico grado di giudizio, che mai conoscerà esito. Non si prevedono ricorsi, né sentenze. Né giudizi di parte. Solo testimonianze, non sempre attendibili. Si tratta di una lunga requisitoria da parte di vari soggetti che si alternano nelle deposizioni. Il colpevole è sempre e solo lui: l’homo definito sapiens, ma in realtà titubans, che batte, balbettante come un barbaro, con frenesia il terreno: dal greco typ, percuoto col piede, come ebbro.
A pagina 25 de Processi. Su Franz Kafka prendo coscienza di quale sarà il mio compito: rinunciare alla maggior parte dei riporti, diversamente sarò condannato perfino da me stesso.
“Il caos in Kafka è bandito dietro una superficie di ordine, in Dostoevskij il caos è la superficie stessa.” – entropia e ordine, chi dei due solidali antagonisti per primo pareggerà il conto? Si giungerà a un’inevitabile conciliazione? Certo! Ma lo scotto sarà forse mortale!
Una frase che rimando al mittente: “Davanti a Kafka qualsiasi scrittore è modesto. Curioso pensare davanti a chi si sentisse modesto lui.” – non è che sia un insensato pensiero, ma non serve che a gemere.
“Anche per me scrivere è pregare, l’unica preghiera che conosco.” – e a me un dio che sia un docente da temere fa schifo (anche solo l’idea).
“Da quando ha compiuto i sessant’anni, egli non sa nulla ed evita persino la parola ‘vita’.” – Elias è un egli narrante, auguri!
“K Talvolta preferisco l’imprecisione, con il passar del tempo la si percepisce diversa, più strana, più inaspettata. La precisione è un taglio netto e uccide la crescita.” – quel K è un omaggio inutile, fastidioso, essenziale, salvifico; e rinforza il cuoio capelluto. Bisogna saperlo adattare alla propria esistenza. Facile da dire, difficile da compiere. K vado avanti. Voi… K, deciderete per conto vostro. K. K è diventata un’interiezione. Forse era questa la condanna a cui era destinato. K!
“Qualsiasi cosa si possa dire di lui è comunque approssimativa, ma non sbagliata.” – indeterminata e quantistica! Sto però fallendo il mio proponimento. Taglia! K!
Ma come si fa?! Elias sta parlando di Franz, non è un qualsiasi autore che discorre su un autore a caso! Ecco che sto contraddicendomi… Esistono Uomini e uomini? E topi? E Topi? – “Kafka racconta negli spazi chiusi, io nelle voci.” – … di Marrakech? Il tomo è qui vicino, sul tavolino, ogni tanto getto un occhio alla copertina.
Sono riuscito a ignorare la sottolineatura di pagina 53 de Processi. Su Franz Kafka! K! Evviva! Anche le scelte letterarie indicate a pagina 61. Lo stesso Franz aveva i suoi gusti, come tutti. In fondo K era così umano… nonché scarafaggesco…
“Da Dostoevskij in poi non c’è stato miglior accusatore di lui.” – a Reggio Emilia, città ignobile che tale ha reso me, si dice che ogni coglione ha la sua passione. Anche Franz, anche Fëdor. Anche loro sono ignobili. È una questione di flussi sanguigni, secondo me, e secondo te, Elias. Di emottisi.
“Ma in Pascal c’imbattiamo in un caso fortunato: la scrittura per frammenti, dove le singole frasi traggono la loro forza dai vuoti fra l’una e l’altra, dove vuoto e pericolo sono ovunque in agguato, dove la suprema nobiltà resta abbandonata…” – aspetta un attimo… il vuoto non esiste, è illusorio, è affollato da brulicanti particelle virtuali che danno origine a quelle reali. Se ti do una sberla su una guancia, tu la senti schioccare per via dell’interazione elettromagnetica. Lo scrittore è colui che ti rende palese un’assurdità: nulla è mai quel che appare, ma Parigi val bene una finzione, o una funzione religiosa.
A pagina 83 de Processi. Su Franz Kafka te drōv al marâs, adoperi l’accetta col manico corto, per stroncare una serie di racconti, incensandone altri, per creare una differenza di valore, di esistenza. Se a te va bene così, continua pure. Io mi dissocio ma sono disposto a osservarti. Sei tu il dicitore, ora: “… un testo debolissimo…”, “… quasi tutti buoni, alcuni meravigliosi…”, “… questo risulta banale…”, “… che Kafka lo abbia incluso nel volume è pressoché incomprensibile…”, “… Bello il passo sull’…” – e chi più ne ha più ne metta (se ci tiene).
“… importantissimo, bisogna rifletterci su!” – dopo colazione, magari.
“C’è qualcosa di semplicistico nel tuo approccio…” – ora ti dai del tu.
“Niente, niente, niente, di Kafka non ho saputo dire niente…” – e quel niente mi sta sommergendo.
Questa va riportata tutta in quanto è essenziale: “… 200.000 bianchi si arrogano il dominio assoluto su 4 milioni di neri. Qui 50 milioni di bianchi hanno paura di un milione di individui di colore. La sproporzione è grottesca, eppure è esattamente la stessa in entrambi i casi.” – si tratta della Rhodesia e della Gran Bretagna, e l’anno è il 1968. Posso levarmi in piedi ad applaudirti? No, mi accascio per terra dalle risate e batto freneticamente i piedi!
“… devo sfogarmi, altrimenti soffoco.” – fai bene!
“Avrei talmente tanto da dire che non riesco a dire niente, e non so nemmeno se riuscirò mai a dire qualcosa.” – secondo me non risultano rischi in tal senso.
“… di Broch, non esiste un solo pensiero originale.” – ho deciso che lo leggerò! Il più sarà rinvenirlo nelle bancarelle.
“Quando penso a Kafka mi vedo come un monello…” – hai una sessantina di primavere, ricordi?
“Adesso posso addirittura annoverarmi fra gli individui felici. Ho ancora qualche diritto sulla mia vita?” – secondo me sì.
La vita intesa come merce, presa in “prestito” – oppure: “frutto d’una rapina” – qualsiasi ente lo è. Maya e trasmigrazione. L’importante è essere solo un po’ onesti. E tu lo sei quasi troppo.
“Vorrei scomparire in Kafka…” – io no, nemmeno in te, nemmeno in me.
“In fondo invidi Kafka per la sua infelicità.” – stai passando al tu?
“Che in tutta la mia rozzezza io mi debba ancora esaminare, questa è la mia unica speranza.” – e tu sei il mio attuale, unico amico: in questo preciso attimo. Poi ogni cosa cambierà.
“… l’uomo in ponte…” – bella la metafora. In amalfitano stare ‘n ponte significa essere sospesi. In spicajòun, diciamo a Rèş, in attesa, pericolanti. Friedrich Nietzsche diceva che la vita è un ponte fra due nulla. Chissà se è davvero così? Quel turpe omaccione lo citi almeno sei volte… qualcosa avete in comune: non solo i baffetti. Siete dinamitardi.
“… dopo la sua pacatezza l’empatia delle mie frasi mi nausea.” – un po’ anche me.
“Anche il meno colpevole degli uomini è colpevole e paga con la morte.” – Elias Canetti, scrittore.
A la môrt ‘s rîva vîv – alla morte si arriva vivi, Rosalinda Borghi, mamma.
“Ho letto il saggio di Adorno su Kafka nella raccolta Prismi. Un’abborracciatura davvero disgustosa…” – un vago adornare qua e là. M’hai fatto venir voglia di leggerlo.
“Kafka era un esseno, Karl Kruas un sadduceo…” – dopo di cui ti viene da dire che “Adorno sarebbe un fariseo…” – Rosalinda e şio Mario l’ēren ‘d Gavâsa, şio Abele ‘d Cadelbòsch.
“In Kafka il potere attiene finalmente al corpo…” – detto da te, (quasi quasi) ci credo.
A pagina 129 parli de “Il processo”: “Già la cornice non mi piace…”, “Non mi piace l’oscurità del duomo…”, “Non mi piace la…”, “né mi piacciono le…” – non sei facile da accontentare.
“… mi sembra kitsch…” – forse non spiacerebbe a Umberto Eco… Poi aggiungi che: “Sarà necessario rileggere ‘Nel duomo’ e riflettervi più attentamente.” – okay, quando farà gioco.
“Mal scelto il nome dell’avvocato, Huld…” – questo è un problema… anagrafico!
“Un fratricidio: non vale nulla, è un aborto.” – spontaneo?
“Che tempo sarà mai quello in cui non pronuncerò il nome di Kafka né penserò a lui?” – quando lo incontrerai in quel ceruleo bistrot? Prenota il tavolo, intanto… Tanta gente c’è ogni mattina…
“È cattiva letteratura, letteratura poco accurata, e lui lo sa.” – e non so se augurarmi che tu legga questa mia stentata reazione alla tua stentata critica a quel suo stentato scritto.
“Di tutti i possibili futuri vale solo quello nero…” – niger est sed formosus.
“Oltre sette mesi fa avevo letto un racconto e ne ero rimasto molto deluso. Adesso l’ho riletto e la mia impressione è totalmente diversa.” – ti scongiuro di non rileggermi mai!
A pagina 152 parli di “Musil” e di “Proust” – non li invidio davvero! E di altri nella pagina che segue: poveretti!
“Il Dio di Kafka è ancora più malvagio del mio…” – adda passà ‘a nuttata!
Mi rabbrividisce ma mi trova d’accordo questa comunanza di termini: “Auschwitz e Hiroshima” – due omologhi esempi della degenerazione umana!
“Probabilmente Kafka è l’unico scrittore di quest’epoca che io stimi.” – per fortuna stanno finendo ‘sti Appunti a margine del lavoro sul saggio 1967-1968.
A seguire: Appunti 1969-1994 – speròm dai!
“… Quando lo scorso anno di lui lessi tutto, mi sentii…” – non dico come (è riportato a pagina 161)
Quel che scrivi a pagina 162 de Processi. Su Franz Kafka mi fa venire in mente il titolo di un romanzo di Maugham: Schiavo d’amore. Tu lo sei, forse pure io. Nessuno conosce nell’intimo il suo Fido Padrone. This is the problem!
“Credo che Musil mi freni. Vorrei farla finita con lui. Con Kafka non vorrei mai farla finita, non potrei nemmeno.” – sai come ne riderai quando sorseggerai un goccio di brandy insieme a entrambi gli amiconi in quel folle bistrot? Io farò lo stesso con un certo Guido.
“La sobrietà di Kafka, la vigorosa muscolatura intellettuale di Musil.” – esistono anche gli scrittori di taglia media, lo giuro!
“Finora non hai detto una sola frase che sia nuova e voglia significare qualcosa.” – l’hai però scritta.
“A Thomas Mann manca qualsiasi slancio lirico…” – forse usa la cetra, o l’arpa?
“Esiste una particolare generazione di scrittori, incapaci di finzione.” – e non vorrei che fosse un fake…
“Mi figuro come sarei, se vivessi ancor oggi a Rutschuk. Forse uno scrittore della grandezza di Kafka.” – con un altro codice fiscale, però.
Tralascio i tre lutti abbinati a tuoi vitali momenti, che enumeri a pagina 171 de Processi. Su Franz Kafka.
“Quella di Joyce invece è la lingua d’un pavone che allarga la ruota in parole e incessantemente vi si compiace…” – e altre inclìte fesserie, magari esatte… non mi pronuncio.
All’inizio di pagina 173 ti definisci “uomo felice” – e sembri spiaciuto di tanta fortuna. Mah… Chi dice mah cuor contento non ha: Rosalinda.
“E se ora, grazie a Kafka, la sua modestia fosse divenuta autentica?” – sua?
“In fondo sei impudente e ti figuri d’aver regalato qualcosa a Kafka…” – tu?
“Gli ultimi ridicoli pensieri di un pessimo scrittore che ha scoperto o creato il più grande scrittore del suo tempo.” – di chi si tratta?
“… Lui che adesso ha il doppio dei suoi anni…” – comincio a credere di non credere nemmeno a me stesso. Lui comincia… tu… io… non ci capisco più nulla.
“Prima di morire devo togliermi di dosso Kafka, così come allora mi ero tolto di dosso Karl Kraus. Musil devo tenerlo, se sarò all’altezza.” – non c’è triste cavagno (cesta di vimini) che non venga utile una volta all’anno (t’ho risparmiato la forma dialettale).
Interessante è la distinzione che operi a pagina 185, fra scrittori “disordinati” e gli altri. Io ti metto fra i secondi, ma puoi sempre peggiorare.
Quindici passi dopo inizia L’altro processo – Le lettere di Kafka a Felice – 1968: chissà perché non di Franz a Felice? O di K a B?
Sai? Con gioia (ri)scopro che non ho sottolineato che una mezza cosa a pagina 201 (dove accenni a un “Kafka” che è “di tipo flaubertiano”), e ho un successivo riporto solo ventisette pagine dopo: “… scrivere significa aprirsi a dismisura…”: lo scrittore che scrive è un ente così aulente che non basta aprire in sbando la finestra. Ogni opera d’arte è un escremento, o un bebè fetente, dipende.
Fai una continua traduzione in canettiano di quelle kafkiane lettere. Ti ringrazio: mi fai venir voglia di falsificarti leggendo i testi originali.
“… per Kafka, il quale assai di rado si sentiva a suo agio nel parlare, l’amore nasce dalla parola scritta…” – che può manére, non solo volāre.
“Uno dei suoi temi centrali è l’umiliazione…” – che è la forma più discreta d’alterigia. O no?
“… la metamorfosi in ciò che è piccolo…” – e che favorisce l’ammucciamento, il celarsi dietro all’imponente mucchio paterno.
“Ogni vita è ridicola, purché la si conosca piuttosto bene.” – piangere fa tre e ridere fa tre (Rosalinda semper docet).
“In questo vietarsi la vittoria si esprime la caratteristica più vera di Kafka.” – che insegue il mai risolutivo calcio di rigore, dopo gli asfittici tempi supplementari, in una folle speranza d’eternità.
Meno male che finisce a pagina 301… il tuo saggio, intendo! Sono quasi esanime…
Fa seguito il triplice Proust-Kafka-Joyce – una tua conferenza a cui vorrei tanto assistere, c’è in rete che tu sappia? Nel 1948 c’era il cinema!
Discorri da maestro sulle tre questioni che attanagliano le umane tenaglie… vanno lette in ‘ste paginette e soltanto qui. Anche le questioni di quei tre (nani) giganti a proposito delle rispettive famiglie, così divergenti fra loro, my god!
Nulla dirò se non di quel “pianto di gioia” che prende Franz allorché scorge che il suo colossale paparino si affacciò “sulla soglia” – stando così “silenzioso”, egli cogita: “nel timore di disturbarmi…”
Quel che scrivi a pagina 321 de Processi. Su Franz Kafka mi fa venire in mente il Divin Marchese. Riuscirò mai a volergli un po’ di bene? Ha mai provato affetto per un nero corvo?
Sia tu che Franz ne sparate tante che almeno sette o otto vanno a segno… Goddam!
“… e fu solo una fortunata coincidenza se le sue opere non scomparvero con lui.” – capitò anche a quel mio Guido (Morselli). Sto pensando ora al romanzo scomparso di Bruno Schulz… Non darei un tallero per averne una copia. La mia vita sì.
A pagina 326, dici quel che ci accade quando scopriamo un termine fino a quel momento a noi sconosciuto: “Chiudiamo il dizionario e ci portiamo a casa la parola come una graziosa conchiglia, pienamente identificabile.” – e questa è la prova che tu e io siamo consanguinei.
Non ho sottolineato nulla di Hebel e Kafka, un tuo discorso del “10 maggio 1980”: ti rendi conto?
Ho estratto dal cilindro Le voci di Marrakech. E mi darò da fare seriamente per rinvenire Massa e potere. A presto?
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Elias Canetti, Processi. Su Franz Kafka, Adelphi, 2024