“Se i gatti scomparissero dal mondo” di Genki Kawamura: l’ottica del Sacrificio
Ero già un uomo quasi fatto quando mi venne l’idea di iscrivermi a un corso di Judo. In quei due anni di duro allenamento imparai soprattutto a cadere e a sacrificare parte del mio equilibrio per riuscire a ridurre quello del judoka antagonista.

Ogni confronto prevede una perdita d’energia, al fine di produrre il miglior effetto relazionale. L’esistenza, da che Kósmos è Kósmos, non re-gala mai nulla. Non è un Atto Dovuto, e tu non sei un Rex. È un puro e semplice donare, un dare all’Altro una dose di sé. Quella mia avventura sportiva ebbe termine allorché feci cadere l’avversario sopra il mio gomito, che si lussò. Non avevo assimilato perfettamente le istruzioni ricevute dal Sensei, mi sa.
Come fui anch’io per nove mesi dopo la naja, l’io narrante del presente romanzo Se i gatti scomparissero dal mondo di Genki Kawamura, che solo a un certo punto scopro essere una lunga e complessa lettera indirizzata al padre lontano, è un postino.
Egli scrive, quasi subito ne Se i gatti scomparissero dal mondo: “Ah, dimenticavo: tra non molto morirò.” – e questo dopo aver scoperto che la sua persistenza emicrania è un sintomo di un brutto male che lo sta condannando a una dipartita anticipata. È ancora giovanissimo, il poveretto: “In fondo avevo solo trent’anni…” – tre di più rispetto a tanti morti celebri, di cui ne cita soltanto due, ma sono un’infinità! – “… ma sentivo di avere ancora tante cose da fare.” – da parte mia ho oltre 3.000 libri da leggere che, mentre me li vo divorando, hanno la stramba tendenza a crescere di numero. Ho scoperto negli anni che è più immediato l’atto di acquistare opere scritte che leggerle, per poi eventualmente commentarle.
“All’improvviso ho sentito una voce melodiosa.” – chi diavolo potrà mai essere? … Se non Lui, la creatura maleficamente luminosa, il fornitore cosmico di luce: il Diavolo.
Quell’angelo alternativo spiega all’io, ne Se i gatti scomparissero dal mondo, come gira il mondo: “Per ottenere qualcosa bisogna sacrificarne un’altra.” – quella cosa di cui dicevo poc’anzi: rinunciare a un lembo del mondo al fine di appropriarsi di un altro. Occhio alle cadute improvvise, però! Ogni storia ha di bello che ognuno la narra con parole sue. La lingua è un mezzo di comunicazione che ognuno adatta a sé.
Dice quell’Alato Disperso che fu lui a proporre al Buon Dio di “offrire loro la mela” – cioè a quei due umani esordienti, “Adamo ed Eva” – che finora si erano limitati a cazzeggiare in quell’Eden. Tanto racconta il Libro Sacro. Questa mia reazione è opima di termini in corsivo.
“Cosí io li ho indotti in tentazione e loro… se la sono pappata!” – la mela, rinunciando in tal modo a “una vita priva di vecchiaia e morte.” – e di necessità di lavoro e di Istituti Previdenziali!
Andando per sintesi: quel Nobile Decaduto promette un rimando della pena solo allorché lui lo autorizzi a togliere di mezzo alcuni pezzi di mondo (che sarà Quel Prepotente a indicare). Lo dico forse perché sono italiano: potrebbe pure occorre una salvifica prescrizione di termini giuridici. Noi Ipotetici Cristiani, più di tanti altri identifichiamo il Fisico Decesso come l’Incerto Inizio di una Procedura Processuale, il cui termine è ipotetico e indeterminato, nell’augurio di una Dorata Eternità.
“Forse è proprio perché sono destinati a finire che l’amore e la vita sono meravigliosi.” – tôt à fîn, questo m’ha insegnato mia mamma.
“La morte e la vita hanno lo stesso peso…” – è un valore che si trasferisce da un capo all’altro dell’Imperscrutabile Filo, secondo la nota equazione relativistica che mo’ mi scoccia di riportare – “… Ma la mia bilancia sta cominciando a pendere un po’ troppo verso la prima.”
Garantisce al morituro quel Gioioso Decaduto: “Guarda che finora non ho mai sbagliato un colpo quando allungavo la vita a qualcuno! Anche perché, al minimo sbaglio, Dio se la prenderebbe con me!” – per cui mi risulta problematico distinguere quei due Inesorabili Energumeni!
Per allungare il range esistenziale, quel disgraziato io accetta la richiesta di far sparire dal mondo prima i telefoni, poi i film e infine gli orologi.
Sarà poi il turno di qualcosa di vivo, a cui egli vuol bene. Prima che questo accada quel Cinico Furbastro dona la voce a “Cavolo” – il gatto di casa, che tanto amava la madre dell’io, che è purtroppo deceduta qualche anno prima, a seguito di brutta malattia. Solo l’io lo sente parlare, mentre per gli altri sta continuando a miagolare.
L’io è doppiamente orfano: la mamma è volata via, mentre col padre, che abita in un paese vicino, i rapporti paiono incrinati per sempre, a causa di alcune incomprensioni reciproche.
A un determinato punto della narrazione de Se i gatti scomparissero dal mondo, scopro che il tu a cui l’io si rivolge è quel genitore a cui ancora si può scrivere una lettera con la legittima speranza che arrivi a destinazione e che sia letta.
Nel frattempo l’io scopre di non aver capito granché dei gusti alimentari di Cavolo, che ora glieli spiega per bene, per cui l’umano si reca a comprar del tonno che pare pescato appositamente per lui.
“Pare che solo gli esseri umani abbiano elaborato il concetto di morte. I gatti non avevano paura o ansia nei confronti del sonno eterno.” – il dubbio che mi sta sorgendo è che ciò rientri nel novero delle incomprensioni che vi sono fra noi viventi (e diversamente gementi).
“Mentre riflettevo su quella e altre cose mi sono tornate in mente le parole che ripeteva sempre.” “Per ottenere qualcosa, bisogna sacrificarne un’altra.” – do ut des, dicevano i nostri avi.
Quel Malefico Tomo gli promette che, Se i gatti scomparissero dal mondo, egli potrebbe scampare ancora un bel po’.
Amo le narrazioni in cui il narratore procede avanti e indietro nel tempo, non a scatti, ma con tranquilla metodicità. Così è il tuo romanzo, caro Genki Kawamura.

Scrivi: “Le persone possono scegliere se essere felici o essere infelici. Dipende dalla prospettiva con cui osservano le cose.” – fino a che gli eventi dell’Ineffabile Kósmos glielo consentono.
Un gesto dell’io m’emoziona: “Avevo immerso la cartolina nell’acqua e l’avevo lasciata a bagno per tutta la notte cosí da poter staccare il francobollo e conservarlo nella collezione.” – e ora sono due le cose che ci rendono assai simili.
La terza è il sentimento che abbiamo provato per alcuni felini. Quella che più ho amato (per quasi vent’anni!) è stata una femmina dal pelo variegato, a cui avevamo attribuito un nome singolare: Gâta. I nomi dell’altro micio amato dall’io e dalla sua mamma fu “Cavolo”.
I due quadrupedi assai si somigliavano.
“… Siamo tutti destinati a morire, a prescindere dal fatto che siamo gatti o esseri umani. Basta accettarlo.” – ânch i catîv e mōren – diceva mamma – a prescindere dall’etica di ognuno.
Ora che quel demone chiede il sacrificio universali dei gatti, l’io dice Addio mondo (titolo dell’estremo capitolo).
Prima ha però un compito da svolgere. Il papà è sempre là, e chissà se lo sta aspettando.
“Comincio a pedalare, imbocco la discesa. E mentre aumento la velocità, la sua città si fa sempre più vicina.” – dai che è quasi fatta!
Morale della favola (perché è tale): è nel rendere sacro un singolo spazio-tempo che è covata la speranza dell’Umano di mischiarsi al Divino. Così si augurava il dotto Mircea Eliade. Provare (senza fretta) per credere.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Genki Kawamura, Se i gatti scomparissero dal mondo, Einaudi, 2023

