“Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo” di Lilli Gruber: stranieri in casa propria

“Rosa ha il cuore pesante. Seduta nel salone della sua grande casa, fissa le pareti rivestite di legno. La catastrofe infine è accaduta. Con la schiena dritta nel vestito grigio a collo alto, apre sullo scrittoio il diario rivestito di pelle marrone a cui confida i suoi pensieri. Prende una penna e la intinge nell’inchiostro nero…”

Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo
Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo

È un viaggio nella memoria quello compiuto dalla giornalista Lilli Gruber nel suo libro Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo, edito da Rizzoli in una prima edizione del 2012.

Testo nel quale l’autrice riferisce di una pagina di storia nazionale che s’intreccia a fatti strettamente privati, e realizzato attraverso testimonianze di parenti e amici, oltre che di documenti custoditi negli archivi del suo territorio d’origine. Il tutto a formare un carteggio di rilevante valore testimoniale, da cui l’autrice ha attinto per narrare di coloro che l’hanno preceduta e di cui conserva un ricordo importante.

Ma, fondamentale ai fini narrativi è il diario di Rosa Tiefenthaler, bisnonna della Gruber, elemento che si fa strumento per scandagliare una realtà che fa del libro un oggetto di storica attestazione documentale.

Nonostante l’autrice, nelle pagine iniziali, dichiari che la sua fatica letteraria non vuole essere un testo storico, semmai un recupero dell’identità appartenuta alla propria famiglia d’origine. Oltre che un gesto di sicura memoria.

Le vicende narrate si aprono su di uno scenario di grandi tensioni sociali e politiche, come quello degli inizi del Novecento, per approdare poi alla vigilia della Seconda guerra mondiale.

“Rosa chiude il diario e ascolta il silenzio della notte. Con la fine dei combattimenti è tornata la calma a Pinzon. Gli ufficiali austriaci hanno lasciato la casa, i soldati hanno smantellato gli accampamenti. Presto arriveranno i Welschen (gli italiani). I lavori di costruzione della ferrovia si sono interrotti”.

Gli eventi di cui il lettore viene a conoscenza, collocati in un ambiente di indiscutibile fascino, un contesto idilliaco come quello che abbraccia il Sudtirolo, si contrappone all’argomento trattato: le vicissitudini che vedono la gente di quella zona di confine subire le conseguenze della Grande guerra. Quelle che ogni conflitto porta con sé.

Le descrizioni di un paesaggio abitato da una natura incontaminata, e perciò motivo di benessere interiore e non solo fisico, sono un valore aggiunto ad un testo che dà la misura degli sconvolgimenti che sono seguiti alla Prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo poi.

“Nel teatro europeo si scontrano sempre più forti rivalità antiche, e nelle grandi capitali come Vienna, Berlino, Mosca i dibattiti sulla stabilità dei vecchi imperi si fanno più accesi”.

Attraverso il diario, cui Rosa ha confidato i momenti più salienti della sua vita, l’autrice ricostruisce episodi pubblici e privati che si sono consumati nel territorio che un tempo era parte dell’Impero austroungarico. Ma, all’indomani della fine della guerra l’Impero austroungarico non esiste più, adesso, a sostituirsi ad esso è l’Italia. E ciò è motivo di grande sconforto e desolazione per Rosa.

Ed è forse per vincere quel senso di smarrimento che l’attanaglia, nonostante la sua tempra di donna forte e combattiva, che al diario affida i suoi umori, portatori di un grande malessere emotivo.

Rosa Tiefenthaler
Rosa Tiefenthaler

Il suo matrimonio con Jacob, l’uomo che fin da giovanissima le ha rubato il cuore. La nascita dei suoi figli, le piccole e grandi gioie della vita, i legami familiari che ne hanno fatto inizialmente una donna serena.

Frammenti di quotidianità inseriti in un ambiente domestico, che per Rosa rappresentava un   microcosmo da preservare e salvare dalle brutture di ciò che accadeva all’esterno di Pinzol, paese d’origine di Rosa e della stessa Gruber.

Ed è per superare il suo disagio che Rosa affida i suoi sentimenti, amari, e motivati dall’avversione per tutto ciò che è italiano, al diario. Che si rivelerà una fonte preziosa per documentare la stagione storica e familiare in cui i fatti raccontati dalla Gruber sono collocati. E, al contempo, offrire al lettore un quadro d’insieme quanto mai fedele di quei giorni lontani.

Ma, ciò che soprattutto emerge dalle pagine del diario, riportate in parte nel testo, è la lacerazione di Rosa per dover sottostare a dettami e tradizioni di una nazione con cui non ha alcuna affinità.

“Madre e figlia sono giunte nei pressi dei Portici, la strada lungo la quale si allineano i negozi e le boutique di moda. Rosa si sofferma a un’edicola: i giornali e le riviste in italiano fanno bella mostra di sé accanto a quelli in tedesco”.

La Prima guerra mondiale è appena terminata e una formula, trascritta in poche righe, decreta il Sudtirolo quale territorio italiano. Un trattato di pace a testimoniare che nulla sarebbe stato più come prima.

Perché gli abitanti di quel territorio non hanno affatto quel senso di partecipazione che li lega a un paese pressoché sconosciuto. In loro è vivo più che mai il concetto di Heimat[1], così radicato in essi fin dai tempi più remoti: Rosa, e con lei i suoi conterranei, si sentono tedeschi. Sentimento questo che da sempre anima i loro cuori.

Con la venuta del fascismo le cose cambiano. Sicuramente in peggio.

Ed è sullo sfondo delle vicende private di Rosa che l’autrice riferisce, come il nuovo regime sia pronto a mostrare il suo vero volto. Attraverso rivendicazioni e soprusi di una dittatura pronta a soffocare l’identità di gente che non è di etnia italiana. Etnia che nulla a che fare con la legittimazione del trattato di pace, del quale gli abitanti del Sudtirolo non accettano e non condividono nulla.

Consapevoli di non voler rinunciare alla loro identità etnica, i familiari di Rosa e i suoi concittadini saranno perseguitati, oltre che mandati al confine.

Perché con l’arrivo di un pugno di uomini che con prepotenza spadroneggia su di un territorio di tradizioni tedesche, tutte le convinzioni in cui Rosa Tiefenthaler aveva riposto ogni suo sentire paiono naufragare.

La sua lacerazione è grande, a causa della piega presa dagli eventi, storici e personali, ma ancor più grande è la consapevolezza, che con la venuta del fascismo usi e costumi del Sudtirolo saranno stravolti.

E per difendere la loro identità, gli abitanti di quel piccolo universo che per loro rappresenta tutto, saranno arrestati e confinati, mentre Rosa è impotente di fronte all’affermarsi di dogmi e convinzioni che non le appartengono.

Nel frattempo, il vagheggiamento della Germania nazista si affaccia sullo scenario politico europeo e arriva a lambire le vite di tutti. In molti si sentono rappresentati da un’ideologia che li affascina, all’oscuro di quello che è il vero fine del Nazionalsocialismo, ovvero dominare su tutto e su tutti con ogni mezzo, lecito o illecito, poco importa.

E, vittima di una dottrina perversa sarà anche la figlia minore di Rosa, che si lascerà tentare dall’illusione di una grande Germania, per essere poi risucchiata nella spirale della follia nazista che non le darà scampo.

“Rosa ha portato con sé a Graz la lettera di Hella per Gusti. Le due sorelle si scrivono spesso, condividono la stessa fede politica. Gusti ha letto qualche passo a voce alta e Rosa si è sforzata di non commentare: di questi tempi le discussioni politiche con le figlie la stancano”.…

Come ricorda la Gruber, dare vita al testo è stato un parto lungo e laborioso, costato una fatica di oltre due anni.

Ed è attraverso il recupero del diario, elemento principe della narrazione ed espediente estremamente interessante, che pubblico e privato si intrecciano in una costruzione narrativa molto efficace e intrigante. Che si fa testimonianza, sottintesa, per mettere in luce la forza delle donne, nel caso specifico quella di Rosa Tiefenthaler, donna simbolo di un complesso periodo storico come quello che si è consumato dopo la Grande guerra.

Lilli Gruber - Photo by Maki Galimberti - iO Donna
Lilli Gruber – Photo by Maki Galimberti – iO Donna

La galleria di ritratti della sua famiglia d’origine, offerta della giornalista, fa del testo un documento autobiografico di enorme portata; ed è filo conduttore al fine di esplorare fatti ed eventi che hanno attraversato l’Italia del Novecento.

La scrittura scorrevole, e quindi coinvolgente, partecipa il lettore a circostanze storiche legate a un singolare contesto ambientale come quello dell’Alto Adige (così definito dallo Stato italiano) che non sono note a tutti.

E raccontate con un’egregia vena narrativa a cui, in un indovinato parallelismo, incorre una scrittura di stampo giornalistico. Tanto da farne un unicum eccellente. Sviluppate con un registro prossimo alla stesura di fatti di cronaca, però mai secco o  scarno, semmai corredato di un’espressività narrativa di forte impatto, tanto da farne un romanzo storico da fruire gradevolmente, il quale può sostituire una pagina di storia dei nostri tempi.

“Quella tempesta omicida voluta da Hitler ha segnato un punto di svolta nella storia dell’antisemitismo tedesco: da quel momento la caccia agli ebrei sarebbe proseguita alla luce del sole, senza alcuna misura o ritegno. Anzi, sarebbe diventata la politica ufficiale e conclamata dello Stato nazista”.

 

Written by Carolina Colombi

 

Note

[1] Heimat (pronuncia: [ˈhaɪmat]) è un vocabolo tedesco che non ha un corrispettivo nella lingua italiana. Viene spesso tradotto con “Casa”, “Piccola patria”, o “Luogo natio” e indica il territorio in cui ci si sente a casa propria perché vi si è nati, vi si è trascorsa l’infanzia, o vi si parla la lingua degli affetti. Differisce dal termine Vaterland perché esso si riferisce a una dimensione statale o culturale più grande, ad esempio l’Austria, la Baviera o qualsiasi altro Land tedesco viene etichettato dai propri abitanti come Heimatland. Il vocabolo “Heimat” non ha un corrispettivo in lingue come l’inglese o le lingue neolatine. Esiste, invece, un corrispettivo in alcune lingue slave: “dòmovina” in sloveno, croato e serbo e “domov” nella lingua ceca e in lingua greca: “πατρίς, πατρίδος” (greco moderno “πατρίδα”). Fonte Wikipedia.

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