“Le porte del mito” di Maria Grazia Ciani: il mondo greco come un romanzo

“Πολύτροπος, πολυμεχανός, Πτολίπορθος [1] […] sempre in guerra con gli altri e con sé stesso per quell’aggressività che è alla radice della natura umana […]” – Maria Grazia Ciani

Le porte del mito di Maria Grazia Ciani
Le porte del mito di Maria Grazia Ciani

“Le porte del mito” edito da Marsilio editori nella collana biblioteca, è un breve e piacevole saggio scritto dalla professoressa Maria Grazia Ciani, filologa, traduttrice dal greco e docente di letteratura greca presso l’Università di Padova.

Il libro si apre con una non troppo velata dichiarazione d’amore alla lingua greca antica: “lingua morta” come la definisce l’autrice, spesso ostica per il traduttore ma determinante per lo studio etimologico, per la filologia, per la comprensione della lingua e della civiltà occidentale.

A conferma del titolo, quest’opera può essere considerata una introduzione (o un ripasso) alla lingua greca, all’epica e alla mitologia, affrontate attraverso la raccolta e la riflessione su alcuni dei temi più noti della cultura greca.

Partendo dalla questione omerica (e quindi dal periodo arcaico della civiltà greca) e proseguendo attraverso le vicende di Achille e Odisseo, di Orfeo e di Euridice, degli dei e degli esseri umani, della vita stessa, la professoressa Ciani propone al lettore una chiave di lettura che si affaccia oltre la semplice narrazione del mito senza alcuna velleità accademica, bensì sotto forma di riflessioni personali sul tema.

“L’Odissea ci consegna alla fine un Πολύτροπος (Polytropos) che è soprattutto un distruttore e autore di stragi, Πτολίπορθο (Ptoliporthos), un uomo avido di ricchezza e potere […]”Maria Grazia Ciani

L’Iliade e l’Odissea sono strettamente interconnesse tra loro. Ma se nella narrazione dell’assedio di Ilio ci viene proposto un Odisseo la cui astuzia è stata immortalata nell’ideazione del cavallo, che lo mostra ragionatore e abile tessitore di inganni, nell’Odissea il personaggio non è più un guerriero.

Mediocre navigatore e scortato da compagni di viaggio scellerati che spesso gli son stati fonte di guai, capisce presto che non può fidarsi di nessuno, tanto meno dei compagni.

Nasconde spesso la verità su di sé presentandosi ad esempio come marinaio cretese a Polifemo (ricordiamo che all’epoca i cretesi erano considerati astuti e bugiardi). Dopo il naufragio sull’isola dei Feaci, Odisseo si rivela ancora un astuto mentitore fingendo di aver perduto la memoria.

Sarà l’aedo Demodoco a portare Odisseo al crollo emotivo e a rivelarsi nonostante la sua spiccata propensione a distorcere la verità:

“Cantava come scesero dal cavallo/ abbandonando la trappola cava/ e distrussero la città, devastarono/ l’alta rocca, e come Odisseo, simile ad Ares/ andò con Menelao alla dimora di Deifobo/ e qui sostenne una dura battaglia […]” – Omero

Mentre l’aedo canta Odisseo scoppia in un pianto disperato, scatenando la reazione di Alcinoo, che domanda l’identità dell’ospite e la causa di tanto dolore.

“Sono Odisseo, figlio di Laerte, noto fra gli uomini per la mia astuzia, la mia fama va fino al cielo […]” – Omero

Riaffermata la sua identità, Odisseo muta ancora volto divenendo uno straordinario aedo e narrando le sue avventure ai limiti della realtà: i Lotofagi, i Lestrigoni, i Ciclopi, Circe, la discesa nell’Ade, le Sirene, Scilla e Cariddi, Calipso.

Ulisse acceca Polifemo - Pellegrino Tibaldi (1527-1596)
Ulisse acceca Polifemo – Pellegrino Tibaldi (1527-1596)

Da guerriero in armi a re dell’avventura, dopo questa apoteosi comincia la vera narrazione del reduce di Ilio, cupa violenta e sofferta, in cui l’Odisseo astuto abile e ingegnoso dopo un viaggio dal buio del ventre del cavallo verso la luce di Itaca durato vent’anni, forse non è più lo stesso di quando lasciò l’isola.

E ancora, memore della profezia fattagli da Tiresia nella discesa all’Ade, dopo il ritorno a Itaca Odisseo si rimette in viaggio.

Scrive la professoressa Ciani:

“Odisseo è il contraltare degli eroi sublimati nell’Iliade e il prototipo dell’uomo tout-court sempre in guerra con gli altri e con se stesso per quell’aggressività che è alla radice della natura umana, il polemos eracliteo che è padre di ogni cosa al di fuori e all’interno dell’uomo […] Odisseo con i suoi pregi, difetti e misfatti è più che mai presente e ci segue ovunque, è con noi perché è dentro di noi.” – Maria Grazia Ciani

Due millenni dopo Omero, Kant affermava che “la guerra appare radicata nella natura umana” mentre il poeta Wystan Hug Auden (York, 21 febbraio 1907 – Vienna, 29 settembre 1973) nel poema Archeologia scrisse:

“I poeti ci hanno tramandato/ i loro miti, ma com’è che loro/ li intendevano?/ La conoscenza può mostrarsi utile,/ però è anche divertente fare ipotesi/ piuttosto che sapere”.

La domanda posta dal poeta viene ripresa dalla professoressa Ciani che riprende la storia di Palamede in contrapposizione alla figura di Odisseo. Questo personaggio viene abilmente occultato da Omero, ma su di esso si sono concentrati i poeti tragici.

Chi era costui? La sua storia ci è giunta attraverso alcuni frammenti di Sofocle ed Euripide, una apologia di Gorgia di Leontini e attraverso l’Eroico di Filostrato.

Figlio di Nauplio (uno dei piloti della nave Argo che sostituì Tifi dopo la morte), la professoressa Ciani riassume la tradizione su Palamede come “un uomo di straordinaria intelligenza, di ingegno multiforme, abile inventore”.

A lui erano attribuite le invenzioni dei segni dell’alfabeto, dei numeri, della moneta, degli scacchi.

Secondo i poeti tragici fu Palamede a recarsi a Itaca per convincere Odisseo all’arruolamento, smascherando la finta follia di Odisseo (inventata per sottrarsi all’impegno in battaglia) e divenendo un rivale potente e pericoloso.

Filostrato descrive una autentica gara di astuzia fra i due personaggi sul suolo di Ilio, in cui Palamede riusciva sempre a prevalere umiliando Odisseo e alimentandone l’invidia e la meschinità sino a ordire una trappola: Odisseo fece in modo di far accusare Palamede di tradimento fornendo false prove che portarono lo sventurato – nobile di mente e di cuore – alla lapidazione.

L’intelligenza e la vera sapienza di Palamede contrapposte all’astuzia e alla menzogna di Odisseo portano a domandare: chi era veramente il figlio di Laerte? E perché Omero ha scelto Odisseo e non Palamede?

Alla prima domanda risponde Omero stesso per mezzo di Euriclea, la vecchia nutrice di Odisseo, che nel Libro XIX narra (nella versione del Romagnoli):

“La vecchia/ fattasi presso, a lavare si diede il signore. E conobbe/ subito la ferita, che un verro una volta gl’inferse/ col bianco dente, quando movea con Autòlico e i figli/ verso il Parnaso. Padre questi era d’Anticlea sua madre,/ per lo spergiuro e il furto famoso fra gli uomini tutti:/ doni d’Ermète entrambi: ché grati d’agnelli e capretti/ lombi l’eroe gli bruciava: benigno perciò gli era il Nume./ Ora, una volta al pingue suol d’Itaca Autòlico giunse,/ e della figlia il figlio trovò, che da poco era nato./ Sulle ginocchia allora la fida Euriclèa glie lo pose,/ appena ebbe l’eroe compiuto il suo pasto, e gli disse:/ «Autòlico, ora il nome tu trova che porre vorresti/ al caro figlio della tua figlia: ché molto tu l’ami»./ E le rispose queste parole Autòlico, e disse:/ «Genero mio. Figlia mia. Ponetegli il nome ch’io dico:/ poi ch’io son giunto qui crucciato dall’odio di molti,/ uomini e donne, sovressa la terra ferace di genti,/ d’Ulisse il nome a lui sia posto. “. – Omero

Autolico, figlio di Ermete, ottenne dal padre l’abilità nel furto e nell’inganno. Sua figlia Anticlea divenne la madre di Odisseo.

Maria Grazia Ciani - Ulisse e le sirene - Painting by John William Waterhouse
Maria Grazia Ciani – Ulisse e le sirene – Painting by John William Waterhouse

La versione presentata dalla professoressa Ciani è leggermente differente e riporta:

“[…] mettetegli il nome che dico: poiché io odio e sono odiato da molti, sia il suo nome Odisseo.”

Sul perché Omero abbia preferito portare in luce un personaggio che racchiude molti degli aspetti negativi dell’essere umano, trascinandolo in una serie di azioni e conseguenze forse non sempre ben ponderate, porta alla narrazione di una necessaria “caduta” sino all’Ade per poter poi mirare alla risalita verso la luce, verso le stelle, verso la conoscenza ed il conseguente ritorno a casa, ad Itaca.

Lasciato il tema omerico, vero corpo centrale del libro ed argomento di studio della professoressa Ciani, ci si inoltra nell’analisi dello Scudo di Achille e di miti più antichi, quale il mito di Arianna e la funzione di Dioniso, la funzione educativa del teatro al termine dell’età arcaica con l’evoluzione della πόλις attraverso nuove forme di narrazione del mito più adatte al pubblico dell’epoca.

Conclude la professoressa Ciani:

“Razionalizzare una favola è un esercizio filologico, utile in sé, ma che non toglie ne aggiunge nulla all’aura di leggenda. Eppure, quanto più il mito è famoso, tanto più numerosi sono gli interventi: per cogliere il messaggio che si cela in ogni mito, per poterlo dominare, umiliarne la potenzialità, ridurne le conseguenze.”

Secondo la tesi della professoressa Ciani il mito sopravvive nel tempo in quanto non offre spiegazioni, ma si presta a manipolazioni di ogni genere: filologiche, poetiche, metaforiche.

“Il passato, con i suoi occulti messaggi ribadisce il limite invalicabile della conoscenza umana, la ricerca fallisce sempre. La Verità sfugge o forse non esiste neppure. Forse tutto è davvero favola” – Maria Grazia Ciani

Note

[1] Polytropos, polymechanos e ptoliporthos: dalle molte facce, ingegnoso, saccheggiatore di città.

 

 

 

Un pensiero su ““Le porte del mito” di Maria Grazia Ciani: il mondo greco come un romanzo

  1. Il libro di Maria Grazia Ciani è ancora una volta un “capolavoro “
    Chapeau!
    Anche per la deliberata fuga dal marketing .
    A differenza della scrittrice che peraltro menziona.
    Grazie

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *