Fantascienza: Harlan Ellison e le visioni pericolose
C’è forse una data che certifica la nascita del genere fantascientifico: 24 aprile 1926.

In quel giorno viene pubblicato il primo numero di “Amazing Stories”, rivista fondata da Hugo Gernsback, un esule lussemburghese con la passione per i racconti di Jules Verne e H.G. Wells. Tre anni dopo, Gernback vende la rivista per crearne una nuova, “Science Wonder Story” e, per la prima volta, viene utilizzato il termine sci-fi, science fiction.
Da quel momento, anche grazie a personalità come John W. Campbell (direttore di un altro storico pulp magazine, “Astounding Science Fiction”, che invoglia gli autori a dare fondamento scientifico alle loro storie) il genere comincia ad acquisire una propria dignità letteraria. Nasce la cosiddetta “Età dell’oro della fantascienza”, con riviste come “Planet Stories”, “Fantastic Adventures”, “Thrilling Wonder Stories” e scrittori come Isaac Asimov, Ray Bradbury, Robert A. Heinlein e Alfred Elton van Vogt, che culmina nella prima Convention mondiale del 1939, a New York, con l’assegnazione degli ambiti premi “Hugo” alle migliori opere, destinata a diventare un appuntamento imperdibile per gli appassionati.
Se all’inizio degli anni Cinquanta prevale un approccio letterariamente più complesso, con interessanti commistioni con la psicologia e la sociologia (si parla per la prima volta di sci-fi sociale), gli anni Sessanta sono quelli del declino, una crisi di identità che dequalifica il genere a intrattenimento di basso livello.
Il vento è cambiato a metà del decennio precedente, quando Fredric Wertham, uno psichiatra tedesco allievo di Emil Krapelin, pubblica “The Seduction of the Innocents”, un saggio breve che teorizza i presunti effetti nefasti prodotti sugli adolescenti dai fumetti horror e noir. Lo scalpore suscitato nell’opinione pubblica dal pamphlet contribuisce alla nascita nel 1954 della Comics Code Authority, sorta di organo di censura preventiva. L’Authority, vietando qualsiasi raffigurazione di scene di violenza, sangue e sesso, di fatto relega il fumetto a un segmento di pubblico composto in prevalenza da bambini e ragazzi, provocando la crisi di quasi tutte le riviste di fantascienza. Il Codice domina per anni, durante i quali vengono pubblicate solo storie tranquillizzanti ed edulcorate.
È questo lo scenario che a metà degli anni Sessanta circonda Harlan Ellison, giovanissimo scrittore e futuro ideatore di episodi per serie tv di culto (“Ai confini della realtà”, “Star Treck” e “Babylon 5”).
Originario di Cleveland, nell’Ohio, dopo aver soggiornato a New York e a Chicago, a partire dal 1965 Ellison si stabilisce prima a Berkeley, poi a San Francisco, e nella capitale della controcultura concepisce un progetto che prefigura l’evoluzione dello sci-fi, trasformato da genere di intrattenimento ad avanguardia d’assalto sperimentale e antiborghese.
Lo chiama Visioni Pericolose, e mai definizione appare più appropriata, perché nell’effervescenza di quella stagione psichedelica, si comincia a pensare che i racconti ambientati in un futuro distopico possano costituire gran parte della letteratura a venire, in un’illazione di futuro a cui non è estranea l’influenza del cerchio magico che gravita intorno allo psicologo Timothy Leary, allo scrittore Aldous Huxley, al medico e poeta Walter Vogt e, soprattutto, al chimico Albert Hofmann, che per primo ha sintetizzato l’acido lisergico nei laboratori farmaceutici della Sandoz, nel 1938, per poi sperimentarne gli effetti nel 1943.
Visioni Pericolose raccoglie racconti di Fritz Leiber, John Brunner, Damon Knight, James G. Ballard, Norman Spinrad, Frederik Pohl, Roger Zelazny, Samuel R. Delany e dello stesso Ellison, insomma, quasi tutta l’avanguardia iconoclasta del tempo, compreso colui che da lì a poco sarà considerato uno dei più originali visionari del XX secolo: Philip K. Dick.
Anche l’establishment mainstream, da Gore Vidal a Thomas Pynchon, riconosce in questa “new thing” una feconda rivoluzione underground che, con apertura a tematiche legate al pacifismo e all’anti-imperialismo, non si limita a raccogliere una serie di racconti sci-fi, ma aspira a qualcosa di più ambizioso, definitivo, che sia al tempo stesso specchio delle nostre aspirazioni e analisi delle nostre inquietudini.
Citando le parole della prefazione all’antologia, scritta da Isaac Asimov, “nasce la seconda età dell’oro della fantascienza”. Decisamente più anarchica e sovversiva. Siamo nel 1967. L’anno prima, proprio un racconto di Ellison, “Pentiti, Arlecchino! disse l’uomo del Tic Tac”, ha vinto il premio “Hugo”, suscitando scalpore e consensi unanimi e rivelando una mente originalissima e potenzialmente sovversiva. Con un estratto del pamphlet “La Disobbedienza Civile” di Thoreau a far da premessa, il racconto, ambientato in un futuro distopico, descrive una realtà schiavizzata dalla tirannia del tempo, che necessita di scansioni sempre più certe e inderogabili, e nella quale arrivare in ritardo rappresenta un terribile reato. Una società priva di libertà, in cui non è più il tempo a servire l’uomo, ma l’uomo a servire il tempo. Arriva però il momento della ribellione. E giunge quando il protagonista, Everett Marm, travestito da Arlecchino, dopo alcuni tentativi di sabotaggio, decide di dare una svolta alla struttura sociale inducendo le persone a riappropriarsi del proprio tempo e a ribellarsi all’Uomo del Tic Tac, sorta di demiurgo malvagio e incarnazione del Principio d’Autorità. Sarà catturato, Everett Marm, gli verrà fatto il lavaggio del cervello ma, alla fine, come in una sorta di nemesi, sarà lo stesso Uomo del Tic Tac a ritrovarsi in ritardo di tre minuti. La prima falla del sistema è stata aperta…

È un mondo totalitario quello descritto da Ellison, nel quale l’urlo ribelle di Arlecchino esplode in una società cementata in un muro di perbenismo che lo scrittore prende a picconate. Sodale di Timothy Leary, egli stesso patito di allucinogeni, amico del controverso Vescovo della Chiesa Episcopale della California James Pike (colui che introduce la musica rock nelle funzioni religiose), irriducibile fan dei Grateful Dead (dei quali non perde un concerto), perfetto turbatore di coscienze sopite e in perenne stato di letargia, Ellison è un’anima tormentata in lotta col “sistema”, e il suo Arlecchino è il degno erede degli eroi riformatori citati da Thoreau in premessa al racconto, che, servendo lo Stato, vengono trattati come nemici.
Sì, servono “visioni pericolose”, e sembra di vederlo, Ellison, (scomparso nel 2017 nella sua Los Angeles), con in bocca la sua immancabile pipa, lo sguardo provocatorio e ammonitore.
Perché poi, ora come allora, in una società ammalata di distrazione dagli acceleratori delle nostre esistenze, in un gioco pericoloso in cui chi non corre perde, la domanda irrisolta è sempre quella: quanti, magari indossando un abito da Arlecchino, saranno capaci di scommettere sulla propria capacità di ribellione?
Written by Maurizio Fierro