“Ignoranza” di Peter Burke: la conoscenza è ciclica?

Il capitolo 1 della Parte Prima del saggio storico di Ignoranza di Peter Burke, eminente storico di Cambridge, s’intitola Che cos’è l’ignoranza.

Ignoranza di Peter Burke
Ignoranza di Peter Burke

Una storia globale è il sottotitolo del libro Ignoranza “che, in genere, s’ignora abbastanza” è una mia aggiunta, ed è basata su un antico detto: un saggio greco che (s’ignora, però, se sia davvero così) mai scrisse fu attribuita una frase: So di non sapere. Io mi fregio dell’onore d’aver conosciuto un saggio toscano di nome Padre Aldo Bergamaschi che riuscì a trasformare il sottoscritto da ateo atarassico in ignorante di dio, o di Dio, ancora non ho deciso, poiché ancora ignoro la verità, o la Verità.

Un altro saggio, stavolta danese, disse Enten-Eller, Aut-Aut: la cui traduzione è: certo, ma ti devi decidere! – così almeno cantavano Los Merinos nel 1988, stavo ignorando che fossero passati tanti anni, 35! cioè: non ci pensavo! Sì, quadra coi miei ricordi, più o meno.

La meccanica quantistica, si dice comunemente che è forse, dav-vero (vero ha un etimo che è incerto, avendo quel casuale forse a che fare col reale o con la fede in esso), quasi (come se fosse, cioè) necessariamente, casualmente, indeterminata: di una particella non si può conoscere, per caso e necessità, come direbbe Jacques Monod, contemporaneamente, la posizione e la quantità di moto, e questo lo dice (in un certo senso sancisce) il principio di Heisenberg.

Albert Einstein, nella sua diatriba (che continua tutt’oggi) con Niels Bohr, dice che Dio non gioca a dadi col cosmo. Al che quel danese ogni volta resplica (questo tutti i dì da quasi un secolo) che nessuno, nemmeno quel tedesco-svizzero-yankee-ebreo (gli appellativi sono miei: servono per giustificare il fatto che la stessa nazionalità è per lo più indeterminata: se si fanno gli esami del DNA di un norvegese si trovano dei caratteri malgasci, o viceversa), risponde Niels, che nemmeno lui, che è Albert Einstein, può dire quel che faccia abitualmente Dio, che sono mirabilie sue! Ora è però arrivato il Pierino della situazione (uno dei fisici più simpatici in assoluto), John Stewart Bell, che dice che Dio gioca sì a carte, ma bara.

Questi non sono dei riporti esatti, ma una mia interpretazione degli stessi, come mi capita allorché cerco di trasmettere una conoscenza altrui con parole soprattutto ma non soltanto mie.

Pare che uno stratosferico industrialotto di nome Henry Ford predicasse l’ignoranza, essendo di grande utilità nella vendita della sua merce. Per cui l’autore si chiede: “Utilità per chi?”. Ho detto industrialotto, ma ho mentito: Henry Ford è stato uno degli industriali più notevoli di tutti i tempi. Una volta ho avuto in regalo (essendo altrimenti destinata allo sfascio) una Ford Fiesta pluritamponata, che mio figlio Michelangelo, in età pre-scolare, chiamava Fefina (da Fefo, ché così mi chiamava). A questo punto dico che non ignoro che dovrei scrivere di un saggio, ma capita che a volte mi s-cordo che lo sto facendo: lo di-mentico, anzi. Non lo rimembro, talvolta. Capita.

Jiddu Krishnamurti predicava di andare Al di là del conosciuto, nella misura in cui esso poteva far sbandare la nostra osservazione del mondo. Questa è tutt’un’altra interpretazione.

“Un obiettivo importante del libro è quello di mostrare connessioni fra questa rete di concetti e i fenomeni a cui si riferiscono.”io speriamo che mi ci aggancio.

“… c’erano due tipi di scettico, lo scettico ‘dogmatico’, sicuro che nulla possa essere conosciuto, e lo scettico ‘riflessivo’, che non è sicuro neppure di questo.”io sono lo scettico che se non capisce lo dice soprattutto a se stesso, ma anche agli altri: mica c’è da vergognarsene. Io non so se quel Dio biblico esista, sono un po’ scettico, ma… sono divinità sue, così la pensava, mi pare, Epicuro.

[È finalmente planata! Una scala sta scendendo verso il suolo. Ora si è aperto lo sportello, anch’esso smisurato. Ed ecco che esce un individuo. Oh! ma è bassino! Ma… quello io… lo riconosco! È lui, è Biglino! E che ci fa lì?! Biglino scende qualche gradino e poi si gira verso il velivolo. Accidenti! E che è questo energumeno qua?! Un essere, alto almeno sei o sette metri (più di una giraffa), dal fisico possente (più di un gorilla) e dagli occhi terribilmente scuri, è apparso! Chi sei!? Tu non puoi essere il Dio di Abramo! Tu non puoi essere un Dio! Tu sei un animale esattamente come me! Anche tu fai parte della materia mater di cui cianciava Vito! Vito! Dove sei ora?! Una voce stentorea come mai fu data sentire ruggisce: “Chi… chi di voi… sta mettendo in dubbio la mia natura divina?!” Bene, mi dico, è forse anche telepate, ma non onnisciente! È ignorante anche Lui! Nel dubbio, però, immediatamente m’inginocchio…]

Qualora questa scena, che è soltanto immaginata, oppure una equivalente, non accada mai, non ci crederò troppo o forse quasi nulla. Perché io ci creda almeno un po’ occorre che il primo papa che passa, o addirittura il prelato Gianfranco Ravasi, mi spieghi il vero senso del peccato originale, non avendola finora capito. A quando risale: all’età del bronzo, del ferro o della pietra? O ai progenitori delle attuali amebe? O delle felci? O della kriptonite rossa? Ma quante sono le cose che ignoro?!

Il capitolo 4 di Ignoranza intende Studiare l’ignoranza. Piange il cuore a scoprire quanta discriminazione l’uomo ha fatto coi suoi simili, con le donne in particolare, con chi egli, dall’alto della sua supponenza, giudicava inferiori.

“I giovani tacciano di ignoranza gli anziani e viceversa. La borghesia ritiene ignoranti i lavoratori e le ‘masse’. I cristiani e i mussulmani ascrivono l’ignoranza agli infedeli…” – lasciamo perdere… Io mi reputo un infedele a 359 gradi e mezzo, anche se ho letto la Bibbia, la traduzione del Corano, Il libro di Mormon, il Baghavat Gita, il Libro tibetano dei morti, I ching, il Tao te ching etc etc… – e, assai probabilmente, se non sicuramente, mi sono sovraccaricato di nozioni: e ora sono in overflow di dati. Non ho mai capito se è peggio fare qualcosa (mangiare, bere, istruirsi) troppo o troppo poco. Meglio essere affetti da ipercolesterolemia o da anoressia cronica? Il troppo stroppia, quando non anche storpia. Per non dire del troppo poco, che inebetisce…

L’ignoranza è fatta (anche) di supponenza. Ma è infarcita di conoscenze enormi, in carenza di saggezza. Una volta qualcuno disse all’astrofisico Arthur Eddington, che, nel 1919, in occasione di una totale eclissi di sole, parve comprovare alcuni aspetti della teoria relativistica, che pare ci fossero al massimo tre persone al mondo in grado di capire realmente tale teoria. Al che lui finse di schermirsi dicendo che non sapeva chi potesse essere il terzo (a parte lui e chi l’aveva concepita). Io ipotizzerei il nome del fisico Mileva Máric, prima moglie di Einstein, che fu assai bistratta da quel marito tanto geniale quanto fedifrago. Fra moglie e marito, si dice, non metter il dito, però… di certo almeno uno dei due componenti di quella coppia si comportò assai male nei confronti dell’altro. E questo fa ipotizzare una drammatica verità: è nell’interazione con l’Altro che si riesce a dare il peggio, e a volte, ma raramente, il meglio di sé. E, nel farlo, si inizia a scoprire il lato oscuro di sé: compiendo il male (forse più che il bene) s’inizia ad abbassare il livello d’ignoranza di sé. Entrambi gli eventi hanno conseguenze cinetiche.

“… è consueto vedere i periodi storici precedenti come l’età dell’ignoranza.” – una volta si ascoltava il dotto parere del nonnino, poi i loro figli venivano a chiedere consiglio a te che hai studiato… Sic transit ignorantia mundi.

Tanto ho letto? Ma che dico?! A pagina 62 l’autore cita i due maggiori romanzi di George Eliot, “alias Mary Anne Evans” e ce li ho, qui in sala, e quelli ora mi stanno puntando addosso i loro occhietti smorfiosi, perché bramano d’essere letti… Giuro che compierò il mio dovere nei loro confronti entro 3 o 4 mesi! Per fortuna ho già fatto mio (quasi corporalmente) La tazza d’oro di Henry James, che è un altro titolo citato dall’autore. Pare che siano tutti e tre importanti al fine di capire cosa significa ignorare l’Altro. Quando ignoro qualcosa io non faccio mai mancare un quasi, per insaporire la mia penosa carenza di cultura.

Negli anni Novanta “fu coniata l’espressione ‘epistemologia dell’ignoranza”. – e l’autore lo dice come se si fosse scoperto il vaccino contro di essa. C’è poi anche un nuovo termine:agnoiology – che è “lo studio dell’ignoranza in generale” – mentre “lo studio del modo con cui l’ignoranza viene prodotta o mantenuta” è detta agnotology”. Io non lo sapevo mica, lo ignoravo, e tu?

L’ignoranza è un aspetto notevole dell’istituzione democratica, poiché vale per (serva a) tutti (o quasi?) gli ordinamenti… anche se o forse tanto che: “Perfino gli stessi scienziati si ritrovano ignoranti al di fuori del campo particolare in cui operano.” – ed essa non deve difettare anche nei cosiddetti uomini di lettera, essendo essenziale al fatto che continuino a leggere. Ho letto un paio di migliaia di tomi, tomini e tomoni, ma in casa ne ho più di tremila ancora da sorbire, da subire, da sopportare, da supportare, come tanti asprigni caffè, e intanto li ho divisi in importanti, notevoli, essenziali, urgenti, cogenti e qui, sul tavolino, ce ne sono 17, anzi, 19 che porta meno sfortuna, per cui ci ho posato ora i due tomuncoli di Middlemarch della Eliot, che definisco immediati. Si fa per dire, alcuni vi restano inerti, per tre/sei mesi. È una faccenda kafkianamente peggiore di una pratica amministrativa al tempo del covid. Io ignoro in gran parte tutto quello che non ho ancora letto e ho scordato gran parte di quel che lessi, specie da giovane. Un tale, oggi 82enne, da alcuni decenni mi suggerisce di rileggere. Oh, my god… quando finirà ‘sto supplizio di Sisifo?

“Negli USA, la National Geographic Society si è a lungo interessata a quella che chiama la ‘lotta contro l’analfabetismo geografico’.” – e pensare che i miei figli girano per le vie del centro grazie a Google Maps… Lessi qualche settimana fa, in Il corpo artificiale di Simone Rossi e Domenico Prattichizzo, che il nostro cervello è un tipo indolente che tende a dimenticare quel che non serve. Google maps è una specie di autista-maggiordomo e lo sto usando anch’io, anche ieri l’ho fatto. Mio padre non ha mai toccato un computer ma aveva un naturale senso dell’orientamento. Beato lui, Ovunque egli si sia diretto.

Quante storie, quante balle, quanti fake, quanti bias… nella storia. Leggo a pagina 120 del “mito di Eldorado” – scoprendo alla mia non più tenera età che non è mai esistito, eppure… Eppure lessi che il mio Leonard Clark, in I fiumi scendevano a Oriente, garantiva al fido lettore di averne trovati, se non tutti, quasi, di villaggi ove esso era ammucciato alla vista di tutti. Da allora anch’io, leggendo quel libro, posso dirlo di esserci stato… Lo stesso dicasi del Milione di Marco Polo: il saggio dice che pare sia stata una messinscena! Non risultano fonti storiche in cui Marco sia stato citato quale funzionario del suo Khan imperatore. C’è addirittura chi pensa che non sia mai stato in Cina… E che il suo compagno di cella gli abbia fatto da ghost writer! Che dire? Con ‘ste immense amenità s’annega il pensier mio… mentre mi domando se sarei stato meno ignorante se avessi evitato di leggere tutte queste finzioni borgesiane – o se sia covata nella fiction l’unica forma di verità del Kósmos: la nostra voglia di usicre da noi stessi per cercare quel che non siamo ancora. Je est un autre, garantiva Arthur Rimbaud.

2, 4, 8, 16, 32, 64 se non più parole su questo autore. È “uno dei più autorevoli storici europei” – così è scritto in quarta di copertina, e “professore emerito…” a Cambridge, nonché “membro della British Academy”, e “i suoi studi” sono dei punti di riferimento “sui rapporti fra storia e cultura e fra storia e società.” – questo è il parere ufficiale. Il mio è che, leggendo le Note poste tra le pagine 319 e 374 (e che hanno svolto la funzione di mia personal decerebralization, al fine di depurarmi le sinapsi, mi viene da chiedermi se il buon Peter abbia mai letto, sintetizzato e reagito a ciascuna delle opere ivi indicate. Secondo me sì, poiché forse egli non è carburantemente normale, è super! Sono tanti e tali i suoi riferimenti, anche su Andreotti, su Trump e su quel despota brasiliano, di cui tendo a scordare almeno metà del cognome, che non può essere che così. Casomai c’incontrassimo in centro a Reggio, all’autore, non all’ex despota, gli consiglierei la lettura di Colpevoli di Sandra Bonsanti. E gli direi che Buscetta ha svelato tutti i suoi segreti soprattutto (forse non solo!) perché desiderava vendicarsi prima di morire… ma, di questo, Peter già sarà al corrente…

La Parte Seconda inizia male: Ignoranza in guerra. Per solidarietà col popolo ucraino, russo, palestinese, nonché ebreo, rinuncio a commentare alcunché. Dico soltanto che la guerra è una cancerogena e maligna partita a scacchi, che si differenzia da quel sublime gioco in quanto, come tutto le forme assunte dal male, è ricca d’imprevedibilità negativa. Leggendo alcuni passi del capitolo si scopre che un tuo errore tattico ti può portare a vincere una battaglia, perché l’altro non si aspetta i tuoi errori operativi. Se il computer giocasse alla guerra con l’uomo, senz’altro vincerebbe, ma senza la certezza che ormai, dopo la vittoria di Deep Blue II ai danni di Garry Kasparov, è prevista per il gioco degli scacchi. “Niente di nuovo sotto il sole”, recitava l’Ecclesiaste, però “di doman non c’è certezza”, garantiva Lorenzo il Magnifico. Di fatto ogni incontro fra umani, anche per le guerre, vince in genere chi sbaglia di meno, sfruttando e non subendo i vani errori del suo antagonista. Non è solo questione di diversa ignoranza, ma di somma algebrica di fortuna e sfortuna. Negli scacchi non credo sia così, essendo ivi limitato (per quanto immenso) il numero di mosse. L’idiozia umana è sia quasi infinita (forse più del Kósmos) che quasi illimitata (idem).

10 – Ignoranza negli affari: ove si parla di “un vertiginoso aumento nel numero e nella varietà dei beni in commercio…” – al che mi vien da dire che, aumentando il numero nonché la complessità delle merci, la truffa è stata resa più necessaria e possibile: ergo, doverosa.

Ricordo uno sketch di Uccio De Sanctis, in cui un ortolano vendeva a peso d’oro i semi di mela, per cui aveva convinto uno stordito cliente che essi avrebbero prodotto dei giovamenti notevoli nella sua capacità di ragionamento; dopo di cui, in premio, gli regalò una mela in omaggio. Quando il cliente capì che bastava comprare a poco prezzo le mele, il venditore gli disse: Vedi che stai migliorando! Ne vuoi ancora, di semi? Questa è il fine della pubblicità, non solo di quella televisiva. Ora essa è diffusa in tutte le forme di comunicazione popolare, in primis nei nostri cellulari, gli oggetti da noi più trafficati quotidianamente, come ci insegna Lisa Iotti in 8 secondi; Viaggio nell’era della distrazione.

“Gli annunci pubblicitari, originariamente concepiti per informare l’acquirente, gradualmente si trasformarono in una forma di persuasione”.

Inquietante fu per me la lettura, avvenuta nei primi anni ‘70, de I persuasori occulti di Vance Packard, autore non citato da Peter. Che non l’abbia letto? É possibile? Se così fosse, gioirei, non per vanagloria, ma perché in tal modo avrei attestato che l’indeterminabile onda, divenuta poi particella Peter Burke, è andata finalmente a sbattere sul mio schermo.

Molta più ansia mi ha dato la massa di notizie farmacologiche che i nostri medici curanti, che non possono essere edotti su tutta la letteratura medica, difficilmente sanno più raccapezzarsi in tale guazzabuglio culturale, tanto da rischiare di finire “in balia di aziende farmaceutiche che possono offrire informazioni fuorvianti, compresi articoli accademici scritti sotto falso nome da dipendenti dell’azienda: così dice un certo B. Goldacre in Bad pharma, cit., pp. 278-282,292-298.”questo sicuramente Peter l’ha letto.

Ahio:Un discorso analogo può essere fatto per la finanza: per la contabilità e soprattutto per gli investimenti” – meno male che il mio conto corrente, piangendo, anzi, frignando, non mi consente di farne. Attenzione, però, che: “la contabilità non mente, mentre individui e aziende possono farlo e mentono nei bilanci. Il prezzo dell’analfabetismo contabile è l’incapacità di individuare queste bugie.”ergo, per ogni sorta di speculazione finanziaria, risulta necessaria “la presenza di numerosi ‘investitori inesperti’”. Per certi traffici commerciali è invece “necessaria la finta ignoranza, il ‘chiudere un occhio’ ufficiale, ‘una sistematica mancata applicazione della legge da parte della polizia e dei controllori affinché possano prosperare’” – e questo lo dice “Su La Salada, M. Dewey,…”, e poi, sempre nella nota 95 di pagina 354, segue un titolo così lungo che preferisco non riportarlo. Su La Salada? Chissà che significa? Nescio! Sarà una rivista, immagino…

11 – Ignoranza in politica:L’ignoranza delle persone comuni è una risorsa per i regimi autoritari e un motivo di ansie per le democrazie.” – intuizione piolesca: è forse per questo che tanta e ingenua brava gente sceglie la più rasserenante, mendace e spesso sorridente, quando non è ringhiosa, destra? Mi sa di aver con ciò scoperto l’acqua tiepida…

“Come il suo seguace, il presidente del Brasile Jaïr…” – che pensavo significasse giaguaro, così mi ricordavo dai tempi della sguizzante ala destra dell’Inter, invece no: ha tutto un altro etimo – “… Bolsonaro, Trump soffre di ignoranza nella sua forma acuta, quella di non sapere che non sa.”una variante che è priva di sintomi, per loro; ma non per noi, loro vittime destinate.

“Negazionismo significa non voler sapere o, più aggressivamente, voler non sapere.” – ricordo che un leader governativo, nel 2020, assicurava il popolo che il covid era un’influenza o poco più; ma poi cambiò idea quando si ammalò, positivizzandosi in tutti i sensi, grazie al virus. Mi pare due volte, se non ricordo male.

“Quando i governanti vengono da una cultura e i governati dall’altra, bisogna semplicemente aspettarsi che si verifichino errori dovuti all’ignoranza.” – bene. Adesso mi andrebbe di chiedere a Peter: quanto volontari? E al professor Luigi Iroso, domanderei non se ma quanti ne siano occorsi all’indomani dell’invasione sabauda del Regno dei Borboni.

Gli yankeeVinsero rapidamente la guerra contro Saddam Hussein, ma si può affermare che ‘persero la pace’ che seguì, lasciando dietro di sé caos e violenza invece della stabilità che avevano promesso agli iracheni.” – con tanto sangue orrendamente versato, ma a loro (agli yankee), interessava ben altro (e nero) liquido.

12 – Soprese e catastrofi: ove si si dice che “l’opposizione binaria fra ‘ciò che si sa di non sapere’ e ciò che non si sa di non sapere’ è troppo netta.” – e, per star sul sicuro, ego nescio si nescio si novi: non so se ignoro se sosoprattutto se il riferimento è diretto a Lui, a Dio. O a lui, a dio.

“Come recita uno studio sui rischi esistenziali: ‘Il nostro è un mondo di decisori carenti, che operano sulla base di informazioni straordinariamente incomplete, che governano tecnologie le quali minacciano l’intero futuro della specie.” Santo subito!, o quanto meno Premio Nobel per la pace all’istante! La nota è così complessa che non capisco se la frase (e il Nobel) spetti a “T. Ord” o a “B. Bostrom”.

Altra notizia: “… coloro che conoscono la situazione reale non hanno il potere necessario per agire, mentre quelli che detengono il potere non hanno le conoscenze necessarie per farlo.” – né alcun interesse a farlo, immagino. Il capitolo è davvero complesso e intrigante, ma lo sconsiglio ai deboli di stomaco, a chi è affetto da ipocondria e a chi teme di vedere la propria casa precipitata in un kaos tellurico oppure devastata da un’ex-agerata inondazione. Lo raccomando a chi ama ciarlare di tutto ciò su Facebook. Anche a chi vuol conoscere alcuni aspetti di ‘sta ironica fattucchiera: la Verità? Sì.

13 – Segreti e Bugie: dove si dice che “il giocatore che scopre le sue carte corre il rischio di perdere la partita.” – al che t’informo, caro il mio Peter quel che quasi certamente ignori: esistono tre tipi di giochi di briscola: coperta (ognuno vede solo le proprie e la carta scoperta che rappresenta la briscola, cioè la carta che piglia le altre (nonché le sue consanguinee con valore inferiore); quella scoperta: tutti vedono la briscola che è posta in basso, le proprie e le altrui carte, e null’altro, se non la carta che è posta in alto; copertissima: nessuno vede nulla, neanche le proprie, fatta eccezione della briscola finale (qualcuno però permette di fare vedere a entrambi i giocatori l’ultima carta raccolta dal mazzo, che poi bisogna tentar di ricordare). Solo la terza variante, senza l’ultima variazione descritta, è casuale al 100%. La seconda richiede molta arguzia (ché sono maggiori i dati a disposizione); per la seconda è necessaria una media abilità. La terza con variazione richiede soprattutto memoria. Certo che il mondo delle carte è terribilmente complicato… C’è poi la briscola con la scopa ma la inventai io da ragazzo e un bel dì chiederò il copyright alla SIAE.

“Un modo per criticare i regimi autoritari è quello dello humour politico trasmesso attraverso il passaparola, come recita una barzelletta dei tempi di Stalin: ‘Non ci sono notizie nella Pravda né verità su Izvestija – essendo i nomi dei due quotidiani del regime comunista: Verità e Notizie. Non meno arguta la dissimulata acronimia ch’era dipinta sui muri durante il Risorgimento italiano: Viva Verdi!, Vittorio Emanuele re d’Italia. Il che significa che la prepotenza altrui può essere celatamente avversata, anche sfruttando il potere funambolico delle parole.

“La negazione fu anche la reazione del governo sovietico al disastro di Černobyl’, abbastanza ironicamente nell’era della glasnost’, della trasparenza ufficiale di Michail Gorbačëv.” – e questo negazionismo giunse nel mio condominio di via Gondar, allorché una vicina di casa, comunista verace, disse che erano tutte balle e che lei avrebbe continuato a bere latte e mangiato frutta e verdura. Al che mia madre, provocatoriamente, le diede il permesso di andare nel suo orto, e di prendere tutti i prodotti giunti a maturazione, e di pestare il terreno come le sarebbe parso meglio, tanto lei l’avrebbe rivangato e zappato l’anno dopo, salvo ulteriori disastri nucleari. La marxista-leninista (per altro ottima vicina di casa) non accolse l’invito e non ritornò più sull’argomento.

“La negazione (o il diniego) è un meccanismo di difesa…” – utilizzato per cancellare dei dati fastidiosi, che possono recare danno: e questo vale per “individui e istituzioni” – anche per bene, come quando un capo di partito, (in)solitamente onesto, negò che un avversario politico fosse stato preso a sberle dal custode della sede del suo partito: e questo nonostante l’abbondanza di fotografie che vidi su l’Espresso e che attestavano il contrario. Il negazionismo nega soprattutto la prova più evidente del fatto negato, secondo una ragione religiosa. Esso generalmente afferma negando: questo vale, per esempio, per il terrapiattismo, le cui argomentazione prescindono da ogni documentazione fotografica o scientifica.

14 – Futuri incerti: secondo il sociologo tedesco Ulrich Beck, autore de “La società a rischio”, “le modalità di calcolo del rischio, come sono state finora definite dalla scienza e dalle istituzioni legali, collassano…” – diventando cioé osservabili, come capita alle funzioni di quell’onda che appare, finalmente, come particella attestabile. Il collasso è un sentire che qualcosa non va come suo solito, che il pericolo è reale, che la particella, in questo caso negativa, è arrivata a compiere del tutto il suo imprevedibile tragitto. Dice il sociologo francese Edgar Morin – ancora vispo 102enne, con quel bel sorrisone che lo fa assomigliare a Mel Brooks: “Vivere significa annegare in un mare di incertezza.” – infatti egli non ci pensa nemmeno per scherzo di approdare Colà. Si è compresi tra “rischio, che è il regno delle previsioni, e incertezza…” – appunto – “… che è il dominio della futurologia.”

La differenza fra questi vari aspetti del problema del futuro è molto interessante e va letta e basta: il saggio è chiarissimo, nonché inquietante, come il detto del “consulente di gestione Peter Drucker”, secondo cui “il modo migliore per predire il futuro è quello di crearlo”.

Peter Burke citazioni
Peter Burke citazioni

15 – Ignorare il passato: m’atterrisce (si fa per dire) ma al contempo mi reca piacere pensare che sia quell’italiano pentito di Napoleone (in front line) che quell’austriaco pentito di Hitler (in smartworking) abbiano perso la grande (e fin troppo algida) scommessa di conquistare la Russia e mi fa ghignare la frase dell’ufficiale nazista che disse: “la vastità della Russia ci divora.” – lo spazio-tempo è immoto, gelido, sconfinato ed è sempre in grado di piegare le ginocchia dell’uomo che tenta di invaderlo con la sua brutalità. Fra questo tipo d’uomo e quel luogo, io parteggio per il secondo. Anche se ho la certezza che esso non ha bisogno del mio tifo per vincere contro l’irrispettoso homunculus.

“Hitler sapeva quello che era successo all’esercito di Napoleone, ma certamente volle ignorarlo.” – e, in tal caso, la relatività storica, col suo variamente datato spazio-tempo, donò all’umanità la sconfitta di quell’ignorante e supponente tiranno. I russi furono sconfitti ne 1939 dai finlandesi, che erano capaci di combattere il nemico sciando. E sciando i russi batterono i tedeschi: a sbagliare, talvolta, non sempre, s’impara! Quando si dice la mortifera frase: “Stavolta sarà diverso” – si sappia che si corre il rischio di fare la figura del fesso, come capitò ai “britannici nel 1839”, ai “russi nel 1979” e agli “americani nel 2001 – i cui valorosi eserciti furono ridicolizzati dalla storia, nei loro goffi tentativi di conquistare l’“Afghanistan”.

Interessante è il ragionamento del saggissimo autore: “… insistere troppo sui parallelismi fra passato e presente nasconde delle insidie, come scegliere l’analogia sbagliata.” – il che vale sia in guerra che in pace, sia all’interno di uno stato che in un rapporto a tu per tu fra due individui (per esempio in un condominio).

Una delle Conclusioni del saggio più condividibili è che: “… l’umanità sa più di quanto sa più di quanto abbia mai saputo prima, ma individualmente non abbiamo più conoscenze dei nostri predecessori.” – chi sa costruire un impianto elettrico? Io no, ma un mio affine che è tuttora ricoverato in una struttura protetta sì. Ognuno, poco o tanto, sa solo del suo e non di quello che appartiene alla cultura globale della comunità.

Come si legge nel bel saggio Il corpo artificiale di Simone Rossi e Domenico Prattichizzo, il nostro cervello possiede una natura che oscilla fra l’indolenza e l’ipercinetismo, per cui deve scegliere a ogni istante, sempre sia lodato Enten-Eller, cosa abbandonare e cosa mantenere in auge, perché lo dovrà hic et nunc utilizzare. Questo è un fatto naturale, da cui non si può prescindere. Compito dell’umanità è di salvaguardarsi dalle future disgrazie, ricordando quel che accadde allora, badando a quel che sta accadendo ora, in attesa di quel che accadrà in futuro, usando la consapevolezza di un Jiddu Krishnamurti, il maestro per me imperituro (per la sua utilità pratica): senza farsi fuorviare da quel che è ingannevole. Non è affatto facile, però…

Come dicevano gli antichi, panta rhei, tutto scorre via nel vento, blowing in the wind, per cui alcune parole prima o poi spariranno dall’“Oxford Junior Dictionary”, rendendo ancora più problematica l’analisi del passato, e Martin Lutero dovrà rinunciare a tredici delle sue “quattordici colonne” in 63 anni (dal “1911” al “1974”) nell’edizione aggiornata “dell’Encyclopaedia Britannica”: perdere del tutto la conoscenza di quel che è accaduto nel passato significa capitombolare fatalmente in un caotico futuro.

Un’ultima considerazione: nel “Glossario” solo 16 termini su 58 non contengono il lemma “ignoranza”, e fra essi c’è “ignorare”.

Ignorando sempre di più, ora passerò a leggere il prossimo saggio, che dovrò tentare di sviscerare e poi ingurgitare, per cui, pur non ignorando che si può, al contempo, essere zotici e dotti, saggi e idioti, intendo augurare un Buon e savio appetito a tutti!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Peter Burke, Ignoranza, Raffaello Cortina Editore, 2023

 

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