“La doppia vista” di Roberto Pazzi: chi è più di Dio?

Chissà perché…?!

La doppia vista di Roberto Pazzi
La doppia vista di Roberto Pazzi

Si ha talvolta, nella vita – ed è vivendo che leggo ‘sto romanzo La doppia vista di Roberto Pazzi; ed è la mia vita stessa un suo capitolo – l’impietosa sensazione che, qualora Dio esistesse, esisterebbe come un datore di lavoro (fin troppo) coscienzioso e inappuntabile, che mai accetterebbe una polemica puntualizzazione da un suo dipendente, né concederebbe dei rinnovi contrattuali o, che so, delle riduzioni di orario: 24 ore furono, ab initio temporum, e tali rimarranno in æternum.

Perdo il filo, talvolta, e a volte non è un bene, a volte sì. Quando leggo e quando scrivo ho due viste diverse, che finiscono per incrociarsi. Che sia questa la doppia vista?

Se io fossi un angelo… (cantava Lucio Dalla), per l’homunculus sentirei un misto di com-passione e di-f-fidenza e mi chiederei: cos’ha quello più e cosa meno di me?

Una suora dell’asilo m’aveva un giorno illuso. Diceva che quando saremmo morti bastava chiudere gli occhi… e in un attimo si sarebbe a Milano, senza prendere il treno! Non voglio andare in Afghanistan, come s’augurava Dalla, ma a Fiesole forse sì. E invece, tapino, me ne sto qua, seduto sul divano a scribacchiar.

“Creature prive di ali, incline a guerre fratricide, pronte a tradire…” – beh, anch’io feci, non vere guerre e tradimenti, ma i cavoletti miei, e non quelli di dio, o di Dio, a dir si voglia. Da ragazzo lo chiamavo Dione, ma quando compii i miei (primi) quattordici anni, lo spedii in quiescenza… ove ora sta godendosi i migliori anni della noooostra vita… – come gorgheggiava l’azzerato cantante!

La Prima parte de La doppia vista è La frivolezza dei moribondi. Allegra e positiva (pensa positivo perché sei vivo perché sei vivo!, o finché?, e qui emulo in peggio quel Jovanotto!) la doppia considerazione: “Vivere stanca. Ma non sei morto.” – mia madre, solita filosofa contadina e cristiana, diceva che alla morte si arriva vivi!, e del doman non c’è certezza, urlava quel Magnifico e, tramando ora io, spietato ignorante di dio.

“La vacanza finita sarebbe la vita?” – se fosse una banale questione di ferie non sarebbe poi male, ché ogni anno ce ne sarebbero di nuove. Se è una fatale quiescenza, il discorso diventa più truce.

“E ora dove si va?” – ne parliamo, dai, abbiamo un’intera morte davanti…

Perciò ti do del tu all’istante, io narrante Roberto de’ Pazzi! Come lo darei all’io di Dissipatio H.G. di Guido Morselli, che senz’altro conosci. Era un tipo così distratto che, sceso in strada, non scorse più alcun consimile. Forse, rispetto a noi umani, egli (o l’Altro) stava assumendo diverse sembianze.

“Certo mi garbava quel posto.” – contentati, dai…

“E quel grassone dai capelli sale e pepe, con la bocca semi sdentata, sarei io?” – anch’io resto sbigottito nel vedermi ritratto in una foto, ancor più che di fronte a un illusorio vetro riflettente.

“Come in una fuga infinita di specchi, uno di fronte all’altro, potrei perdermi in un’altra storia ancora e rinviare il ritorno a casa.” – anch’io lo sto rimandando, il ritorno all’altro libro che sto leggendo e che sta ora ronfando su una mensola a casa di una consanguinea. Ehi, aspettami, che fra poco ci sentiamo e vediamo!

“Le mie storie temono l’abbandono, come le amanti dal seduttore stanco, che già sogna nuove conquiste.”partire è un po’ vivere, ed è una rinuncia, che non sempre vale la pena di esercitarla.

Anche il Don Chisciotte di Cervantes finì per credersi un cavaliere antico a furia di divorare romanzi cavallereschi.” – io credevo d’essere, a momenti alterni, Don Quixote e Sancho Panza.

Quel DioneMi lasciava dirimere certe discussioni fra noi angeli, primi sintomi della competizione che ci portava a contendere il posto più ambito vicino al Creatore fino a sfidarne il primato.” – a me basterebbe un posto da boaro, manco da capoboaro! Certo che quel tuo dio assomiglia più ad Achille Maramotti che ad Adriano Olivetti!

“Chi è più di Dio?” – Pierino o Paperino? O zio Paperone? E chi è il Diavolo, Rockerduck?

A pagina 26, quando “Michele Arcangelo” t’impone “un duello”, mi fate pensare a uno dei (da me) favoleggiati crossover tra Superman e Silver Surfer, oppure (ma questo c’è stato davvero) fra un giovane Tex Willer e un ormai brizzolato Za-gor-te-nay. Ogni volta mi auguro che, nell’insolito confronto, pareggi il migliore, il primus inter pares!

Ma il Signore non è superabile, come tu sogni, essendo protetto da quella di cricca di Hollywood!

La mia casa è la Storia umana.” – e la mia storia è la Casa umana – da quando ce ne siamo costruita una che, senza di lei, ci sentiremmo a spasso, liberi e infreddoliti. Abbiamo l’età… che ci vuoi fa’…

“Il mondo è sempre stato troppo piccolo per le ambizioni di due soli potenti.” – a meno che non siano di stampo gianico, con simmetrica faccia… Lo sai che, dicono, eh, non so se c’è da fidarsi, che, in ambito locale, gravitazione ed entropia collaborino per far rimane il Kósmos nello statu quo? Come? Non c’entra nel tuo discorso? Che discorsi! Perciò ce l’ho infilato!

Qualcuno che la sa lunga disse:La verità di questo mondo è la morte, bisogna, morire o mentire.” – ho scelto: Partirò! Con o senza il Bocelli…

“La morte si sconta vivendo.” – questa l’ho già sentita, fa sempre schifo ma ha il pregio che è vera.

“… insieme all’ambizione di primeggiare, di essere il più bello, come quel povero Lucifero.” – e perciò la Natura m’ha fatto brutto, per proteggermi dall’altrui invidia.

“… non sono certo neanche di essere Francesco, come dubito di essere re Ludwig o Lucifero.” – infatti tu sei solo, si fa per dire, un io dubitante.

“Appare mio padre nel corridoio d’ingresso.” – e qui non so se invidiarti, forse no. Rolando a me mi manca! Ma sai cosa gli direi, e a sua moglie e mamma mia Rosalinda, qualora li incontrassi: ehm, sappiate che ho letto il Bardo Trödöl, ergo, cioè, quindi, senz’offesa, se magari potete tornare domani o dopodomani, quando avrò la mente più sgombraè che sono appena arrivato Qui, avete capito, e non ho ancora le idee chiare

“Amabile funzionario della banca cittadina più antica…” – e Rolando era un inclìto funzionario delle OMI Reggiane, la piccola Fiat arşâna, dopo aver cominciato la sua carriera come scaldachiodi nel 1930, fresco quattordicenne. L’unico a faticare in famiglia.

“… ero geloso di lui…” – io no, avendo letto Eros e Civiltà di Herbert Marcuse. Era già in pensione 3 anni, quando mi trovò un lavoro idiota per cui non mi usciva affatto l’ernia, nelle stesse OMI, e io durai da venerdì a lunedì, dopo di cui mi dimisi. Papà per mesi non andò alla bocciofila del quartiere, per la vergogna che pativa.

“Liquidava la vita e la morte con due monosillabici avverbi di luogo: qui e là.” – papà mi diceva: Stefano, sii un ragazzino normale, non saltellare qui e là. Leggere aiuta, ma tu sei esagerato… Ex-agerato, tracimato dagli argini.

Il suo ragionamento era dettato dall’esigenza di seguire un certo ordine: sei qui, quando non sei (al lavoro). Qui lui aveva letto L’idiota, Martin Eden e L’uomo che ride – ma io preferivo Henry Miller al lavoro… poi, quasi piangendo, mi convinse a leggere di quel principe Myškin, che mutò la mia vita. A tutt’oggi non ho ancora trovato uno più idiota di me. Da allora io e Myškin ci facciamo compagnia, anche con quel Martin e quel ragazzetto sfregiato. Lo ammetto: ho faticato per oltre quarant’anni… Basta! Che diamine!

Si parla, mi pare, di Giorgio Bassani: “Papà, che non parlava mai di sé e della sua famiglia, ricevendolo osò una volta dirgli che aveva un figlio iscritto a lettere a Bologna, in procinto di laurearsi.” – io invece (e mi sento con te il secondo G. di Gaber) dissi in faccia a papà che era mia intenzione iscrivermi a Filosofia (in quella felsinea città), e lui per un’intera serata tentò di farmi mutare idea, ché, se m’iscrivevo a Economia e Commercio, m’avrebbe trovato lui un bel posticino (sempre colà, alle OMI). Nulla da fare! Quando poi egli comunicai che, con grande filosofia, evevo intenzione di fregarmene dell’Università, per un’intera, dolorosa, quanto inutile serata, cercò di drizzarmi le idee, quasi gemendo. Povero papà, chissà se ti ricordi ancora di me… Papà si vergognava di me perché mi amava. Secondo me anche il tuo, che era “tutto sconsolato” – da come me lo descrivi.

“Mi ritiro in camera mia, ma non riesco a chiudere occhio.” – ridici su, se ancora puoi, ché uno scrittore esercita il suo mestiere anche quando sta in dormiveglia e soprattutto quando poi, finalmente, dorme i suoi sogni. E quando finalmente legge. Sei d’accordo?

Potrò mai rivedere quelle pellicole notturne? Ci terrei così tanto! Dove sono ammucciate?

Il tuo “Padreterno” – poverello – “vaga ancora per Roma” – e, se incontra un prelato, è buono di chiedergli l’elemosina – “Con quel tremore di Parkinson che fa così preoccupare santi e angeli del cielo da far discendere il Figlio a sollecitarne più volte e invano il ritorno.” – come no… due mila anni appena so’ passati…

E povera “Magda”, mandorlacea migdale: Egli “l’aveva messa finalmente a riposo, ottenendo però l’ultima sua prestazione. Potrei essere l’ultimo che muore.” – no! Ricordi le parole di Rosalinda: a paghêr e a murîr‘s fa sèinper in tèinp… – con la n o con la m, ad libitum e ad nauseam

“Quando riprenderanno a scorrere sul binario della sacrosanta banalità quotidiana…” – che tanto ci manca quando abbiamo un mal di pancia o un’urgenza burrocratica – dallo spagnolo burro e dal greco krátos.

“I morti mi credono già uno di loro.” – muoiono dall’invidia nel vederci saltellare e agonizzare…

Condividevano l’amore per la città più bella del mondo…” – Roma? Per Rosalinda a gh êra Gavâsa (dove vide la sua prima luce nel ‘26) e po’ Parigi! Roma era la terza in classifica!

Un minuscolo refuso è a pagina 54 (capita): l’unico. Complimenti!

“… ogni bellezza ha un’anima…”bruta è la grettezza, anch’essa meritevole di un versetto, se ci pensi… A chi? Se non a Charles Baudelaire, a Paul Verlaine, al mio Arthur Rimbaud?

Penso che “il Vesuvio” abbia strinato “Pompei, Ercolano e Stabia” – solo per permettermi di gioire delle loro bellezze. Valle a vedere, quelle due villette romane di Castellamare, se ti danno una licenzia premio! Se vuoi, prenotiamo insieme gli eventi…

Ti ringrazio caro, perché senza di te non avrei forse conosciuto “Gemma Galvani” – in cambio, ti do una figurina di quella Fortunata di Evolo, detta Natuzza

“Ma io perché ti vedo allora? Tu hai raggiunto me o io ho raggiunto te?…”relativamente poco importa, direbbe Albertino Einstein. Lo sta dicendo hic et nunc, a te e a me.

Inizia la Seconda parte Il picchio parlante, con una domandina da un penny: “Ma che cosa siamo, Sandro?” – delle isole nell’oceano/della solitudine, secondo Scialpi.

“Non c’è eternità, dipinta da poeti sommi, che possa far dimenticare la dolcezza di vivere.” – sennò quelli non avrebbero tinteggiato le nostre umide pareti.

Parli del “Palazzo dei Diamanti”. Com’è bello, così bugnoso! E così immaginifico con quei dipinti di Dosso, di Guercino, di Domenico Robusti, figlio di Jacopo.

Ti stanno attorno degli individui. Giuliano ti tranquillizza (si fa per dire): “Uno di loro è mio padre, Giulio Costanzo, fratellastro di Costantino” – non so, dovrei controllare in archivio i codici fiscali.

Il ramo non ha retto, ma quanto pesano le ombre.” – se sono figlie della luce, bosoniche, non pesano nulla ma, curve sulla nostra paura, come se non premono!

Se qualcuno che cade, e poi, rialzandosi, dice: “No, no, sto benissimo.” – vuol dire che qualcosa di fermionico è rimasto nel suo alveo.

“Le galline” – e forse anche i polli, i capponi e i galóster (gallione in italiese) – “Hanno la vista degli animali, non distinguono fra ombre e vive.” – perciò i cani abbaiano se scorgono lo spettro di Arthur Schopenhauer.

A pagina 77 m’era parso di scorgere un secondo refuso, ma poi mi dico no, “neanche parlarne”!

Qualche dubbio ho sulla correttezza dei calcoli dell’età della tua mamma, che fai a pagina 82.

A volte parli di “un bell’uccellino” – che è segno di augurio o di malaugurio, se ti caga in testa.

“Dov’è il punto di sutura fra la carme e l’ombra…” – prova a chiederlo a uno dei due protagonisti di La fine del mondo e il paese delle meraviglie di Haruki Murakami. Tanto siete dirimpettai, o no? Non ancora? Allora, ci vedremo tutti quanti non tanto allo zoo comunale, come canta da decenni Jannacci, ma (compreso lui) in quel ceruleo bistrot, che c’attende da un po’. Pensa che non ho ancora prenotato!

“Ah, lo chiedi a me? Lo mettete dovunque questo Dio, avrebbe un bel daffare…” – un siculo di nome Vincenzo così mi disse: voi reggiani mettete questo lavoro dappertutto: che bel lavoro, che brutto lavoro…! Ma non avete altro da fare nella vita? Io sì, leggere e scribacchiare.

Poco fa ti han sparato una minchiata (spero sia tale): “Era già tutto scelto, da quando sei nato, te l’ho detto, nessuno sceglie, neanche il male.” – e a lui, e al moraviano Agostino direi: il mio de-stinarmi da qui a , può essere in opposizione al de-stino di Chiunque Altro. Non credo nell’ineluttabile Fato, anzi, gh e spūd in cò, ci sputo in testa.

I tuoi dialoghi, tipo quello che inizia a pagina 96 e cessa quando termina la benzina… sono di tipo psicoanalitico. Comincia a temere la parcella finale, che sarà una consistente pars della tua esistenza.

“Invece di liberarmene, cercavo di attirare quell’uccellino maledetto presentandogli i vantaggi di venire a cantare proprio nel giardino di casa mia.” – e poi ti lamenterai di quell’assuefazione che non si farà attendere.

Tanto scrivi e tanto mi faresti scrivere. Mi do ora una calmata che sennò… ex-agero sempre di più.

Ora però i suoi occhi non hanno più la capacità di stupirsi di nulla, hanno già scorto l’intero film della vita.” – e chissà quale strazio nasconde quella smorta pellicola.

“… tornandosene da dove erano venuti, mi hanno lasciato ricadere in balia di questo sogno, che si fa sempre più perturbante.” – e non siamo che un’ondicina che turbina in quella turba.

“… quassù dicono che ho potuto arrivarci solo in portantina.” – capitò ad André René Roussimoff, detto the Giant. Ora ti stanno chiamando “vostra maestà” – hai fatto carriera?

“La determinazione delle mie parole l’ha ben colta. E forse anche i toni di un re, abituato sempre a comandare.”ma va’ a Fiesole!, appunto!, non so perché a Rèş diciamo così…

“Vero e falso ci confondono nella mia leggenda…” – per me ormai sono colate l’uno sull’altro – “… Con lo scambio fra certe povere verità, che contribuiscono a creare il mito, e qualche bassa menzogna della storia, che aiuta a capirla.” – e resterà sempre un bel misteroMŷthos = parola, narrazione, balla cosmica, fiction, come m’è parso di capire leggiucchiando Jorge Borges.

Terza parte: La casetta di Gallia Placidia: e del suo spogliato e ardito morosino… eh eh! Ma ne dirò poco, ché essa va letta e stop!

“… Gli uomini ci proveranno ancora, li strugge il sogno dell’immortalità della carne, lo sapete.”carne deriva dalla radice indeuropea ker, tagliare. Quando ti tagliano gli zebidei (o i cabasisi, o i didimi) – che dû maròun! – diciamo noi zotici della volgarissima Gallia boiense! Siamo dei veri contadinacci, fieri di esserlo!

“Non posso più tornare quel bambino che ero per ripetere tutto d’accapo e ritrovarti ancora, in una lontana domenica della mia infanzia.”perciò tu scrivi, Robertino de’ Pazzi, perciò scrivo io, perciò si scrive tutti: perché sia sempre la febbre del sabato sera!

“Ogni forma di vita è un dono di Dio, ma poi si consuma, e lui ne genera di nuove.”fêr e disfêr l ē tót un brighêr! – è inutile che traduca. E stramba è la battuta che per Iddu, “Siamo noi il suo riposo.” – il suo giorno festivo, in cui il Santo Vecchietto tira i remi in arca.

“Il presente, che simula l’eterno.” – una fiction delle più micidiali.

“Un uccellino dal ramo di una quercia me l’aveva detto, poco prima di incontrarti.” – pussa via, volatile del c…! ma no dai!… stai svolgendo con onore il tuo quotidiano, pur letale lavoro… Tu vivi… ogni volta… compreso… da svariate coppie… di tre puntini…

Grazie, Robby, di quel “cubia” di pagina 186, che ignoravo…

“Galla Placidia” dice: “Nessuno, nessuno, non voglio uccidere nessuno, ho solo perso il filo, inseguendo un’altra storia, perdonatemi.” – perdonata!

“Così sono uscito dalla mia vita per sfiorare la sua nella sua casetta a Ravenna.” – la gemellina di Ferrara. Quale delle due sia più bella è una questione che lascio a chi ha nulla da combinare.

“… non ricordo ancora il mio nome.” – mi pare sia Robertino de’ Pazzi.

“L’acqua si stancherà di essere violentata dagli uomini…” – di cui costituisce una percentuale mica da ridere (né da piangere). Ché anche le lacrime sono acquose…

“Francesco tace.” – chi era costui, secondo te, lettore dell’altrui lettore?

A pagina 194, mio io, ti fai delle domande che costano più delle risposte: che non possono essere che gratuite, come quell’atto di Gide.

“La tua parola è abituata a esondare.” – ne Il cappello scemo di Haim Baharier si dice che, in ebraico, teva significa arca, cosa e anche parola, quel che basta che tu lo dica perché ti rechi Altrove. Una parola, se anch’essa non ex-agera, non tracima, non è lei, ma un soffio, uno sternuto.

Roberto Pazzi citazioni
Roberto Pazzi citazioni

“E ora puoi credermi, se ti dico che è terminato anche il mio racconto.” – sempre Rosalinda diceva: l’ora l ē gnūda… è arrivata l’ora e… puntini e puntini…

“Entro finalmente dentro di lei.” – va’ piano, tranquillo, e soprattutto non spingere! Che non c’è pressia!

Lo sai, Robby, perché ho cercato il tuo libro? Perché, come già accadde a Guido Morselli col suo Dissipatio, anche tu, poco dopo aver illuminato il tavolo su cui l’hai scritto, sei trasvolato Colà. Dove, insieme ai tuoi lettori più affezionati, sarò ad aspettarti: perché Colà e Costì sono siti limitrofi o, meglio, entangled, correlati, in una dorata eternità. E che la mia teoria non sia falsificabile, quest’amena reazione, psicologica e letteraria, ne é la prova quasi tangibile.

Un’ultima richiesta, se puoi. Riesci Colà a trovare Il Messia? Non quello iscritto all’Albo dei Profeti, ché so dove rinvenirlo (nella mia libreria)… intendo quello di Bruno Schulz… – scusa se ne approfitto, ma sei l’unico a cui mi attento a chiederlo!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Roberto Pazzi, La doppia vista, La nave di Teseo, 2023

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