Poesia classica latina #3: Accio, il tragediografo più prolifico
“Così gran mole scorre
Mugghiando dal mare aperto con fragore e soffio immensi.” – da “Medea”

I latini, per indicare la poesia, utilizzavano il termine “carmen” di etimologia molto antica connessa al verbo “cano” con il significato di “cantare”. Al plurale, “carmina”, la parola raggruppava non solo le poesie ma una grande quantità di tipologie di testi come le leggi, gli incantamenti, le formule di giuramento, le preghiere, i precetti, gli oracoli.
Dunque, sia una preghiera al dio Mercurio sia una legge delle Dodici Tavole erano un canto, dei carmina. Dalla poesia alle leggi, i latini utilizzavano “carmen” per qualsiasi testo che non fosse di uso colloquiale e quotidiano, testi che dovevano preservarsi nella memoria e perdurare nel tempo.
Se vogliamo poi concretizzare questo assunto bisogna prender per vero che l’essere umano per poter “inventare” una legge o una poesia necessita dell’ascolto del canto che ode durante l’atto del pensiero.
È l’Io che crea o piuttosto l’Io sa ascoltare il canto dell’Anima?
Lucio Accio nacque a Pesaro nel 170 a.C. da genitori liberti ed esordì, come autore, in una gara contro Pacuvio nel 140 a.C.
Fu molto attivo tanto da guadagnarsi la nomina di tragediografo più prolifico, infatti scrisse un numero imprecisato di tragedie che riguardavano la mitologia del mondo greco (cothurnatae, che prende il nome dai saldali a suola alta utilizzati dagli attori greci) ed anche alcune tragedie di ambientazione romana (praetextae, che prende il nome dall’abito color porpora tipico dei romani).
Oltre alla stesura delle tragedie si dedicò alla poesia ed alla filologia. La data della morte non è certa, gli esperti sostengono sia avvenuta nel 84/85 a.C. a Roma e, per avvalorare questa tesi, utilizzano la testimonianza di Cicerone (106 a.C. – 43 a.C.) che lo incontrò durante una sua lezione all’inizio degli anni Ottanta.
“Innanzi a sé avvolge le onde, suscita vortici violenti:
corre precipitando, solleva spruzzi sul mare, lo respinge.” – da “Medea”
Purtroppo, della vasta produzione di Accio ci restano solamente 750 versi e 45 titoli di cothurnatae anche se fu molto famoso tanto da chiedere una statua enorme nella sede del collegium poetarum.
Fu provvisto di una grande brama di potere e si inimicò il poeta satirico Caio Lucilio, ma c’è anche da ricordare che era abbastanza facile entrare nella lunga lista di persone che Caio Lucilio dileggiava con i suoi versi.
“Mi odino, purché mi temano” – da “Atreus”
Secondo ciò che racconta Aulo Gellio (125 – 180), attorno al 135 a.C., Accio si recò a Taranto dal morente Pacuvio per leggere la sua opera “Atreus” e per averne giudizio. Pacuvio la considerò acerba ed Accio ne fu ben lieto perché si paragonò al frutto che ancora deve mostrare colore e gusto.
“Narrano che Pacuvio affermasse che i versi di Accio erano nobili e sonanti, ma che gli sembravano un poco duri e aspri. Al che Accio: «È proprio come tu dici, ma non mi dispiace; spero però che saranno migliori i versi che ancora scriverò. Infatti, accade ai talenti come ai frutti: quelli che nascono duri e aspri, poi divengono teneri e saporiti, ma quelli che nascono già teneri, molli e fin dal principio succulenti, non maturano poi, ma imputridiscono. Mi par dunque che per i prodotti dell’ingegno si debba lasciare che il tempo e l’età li facciano maturare.»»” – da “Noctes Atticae” di Aulo Gellio

Della tragedia “Medea” ci sono stati tramandati svariati versi e quelli proposti appartengono ad un passaggio nel quale un pastore vede per la prima volta una nave.
Non si tratta di una nave qualunque ma della prima imbarcazione costruita: Argo, costruita dal carpentiere Argo di Tespi e protetta dalla dea Era. Argo fu la barca con la quale Giasone e gli Argonauti s’avventurarono alla conquista del vello d’oro.
“Così ora crederesti che un nembo staccato rotoli giù,
ora che una roccia sia trascinata in alto mossa dai venti
o dalle procelle o che turbini vorticosi
si sollevino spinti dall’urto delle onde;
a meno che non sia il mare a portar disastri alla terra,
o forse è Tritone che, scalzando col tridente le grotte
fin sotto le radici in mezzo al mare ondoso,
scaglia dal profondo verso il cielo una massa rocciosa.” – da “Medea”
Written by Alessia Mocci
Info
In foto: particolare del dipinto “Il poeta Tibullo” del pittore Lawrence Alma-Tadema, del 1866. Ed in luogo dell’immagine di Accio si è pensato di inserire un dettaglio del quadro di Lorenzo Costa dal titolo “La nave Argo con l’equipaggio”.
Rubrica Poesia classica latina