“L’incontro: e se la storia di Cappuccetto Rosso ne nascondesse altre?” di Emma Fenu: i simboli della fiaba
Il termine fiaba evoca l’infanzia, proietta l’immagine di genitori e nonni che cullano il bambino mentre narrano storie di principesse salvate, di streghe malvagie e fate madrine.
![L'incontro: e se la storia di Cappuccetto Rosso L'incontro e se la storia di Cappuccetto Rosso ne nascondesse altre di Emma Fenu](https://oubliettemagazine.com/wp-content/uploads/Lincontro-e-se-la-storia-di-Cappuccetto-Rosso-ne-nascondesse-altre-di-Emma-Fenu-300x212.jpg)
D’altra parte la fiaba, espressione primigenia dell’inconscio collettivo, affonda le radici nell’infanzia dell’umanità e ne accompagna la crescita. Nell’alveo della fiaba sedimentano gli archetipi, le immagini primordiali innate nella psiche umana; dunque la funzione di questo genere narrativo non è esclusivamente quella dell’intrattenimento.
Secondo Jung le fiabe contribuiscono al processo di costruzione del Sé, la totalità psichica; nella fiaba l’uomo si specchia, si guarda, si riconosce e arriva così all’individuazione di sé stesso.
“C’era una volta”, dunque; l’incipit di ogni fiaba che si rispetti, ma anche della storia individuale e collettiva dell’umanità.
Uno dei racconti più diffusi parla di una giovane dalla mantellina rossa che attraversa il bosco per raggiungere la casa della nonna; parla di un lupo famelico e suadente; parla dell’incontro tra l’innocente fanciulla e l’astuto predatore. Una fiaba narrata alle bambine per insegnare loro il valore dell’obbedienza e della prudenza; eppure Cappuccetto Rosso esisteva già prima che esistesse Cappuccetto Rosso.
Emma Fenu, appassionata e instancabile studiosa di Storia delle donne, prolifica scrittrice e molto altro, ha analizzato il sostrato antropologico ed etnografico di tale fiaba. L’incontro: e se la storia di Cappuccetto Rosso ne nascondesse altre? (Literary Romance Edizioni, 2023, pp. 63) è un saggio che nella sua brevità riesce a condensare i significati, i simboli, i miti che dalle origini si celano tra le righe di quella fiaba, lungo il sentiero che Cappuccetto percorre, dentro la casa della nonna. Il saggio è introdotto dalla prefazione della psicoterapeuta Tatiana Pagano; inoltre è corredato dalle preziose tavole di Francesca Fiorentino, la cui atmosfera onirica di sapore simbolista evoca immagini ancestrali.
La storia di Cappuccetto risale alla notte dei tempi. La si narrava prima della versione di Perrault e Grimm, fino ad arrivare al culto della Grande Dea, ai sacrifici tributati ad essa, ai riti di cannibalismo rituale, ai riti di iniziazione con morte apparente, tramite i quali rinascere adulti. In particolare, questa è una storia che svela l’archetipo femminile; la protagonista dalla mantellina vermiglia rappresenta, infatti, la fanciulla dopo il menarca; la madre la donna matura e ancora fertile; la nonna la vecchia in menopausa e, se aggiungiamo il tema dell’amplesso, la perdita della verginità, la rottura dell’imene, il concepimento e infine il parto, allora possiamo dire che questa è una “storia di sangue”.
Nella fiaba si ravvisa anche il progressivo affermarsi del patriarcato, la “legittima” violenza maschile sulle sprovvedute, la ribellione e l’affermazione del sano istinto selvaggio, il conflitto generazionale e la scoperta del sesso. E soprattutto, l’incontro con l’Altro sé e da sé che è tutto ciò che sfugge alla comfort zone.
L’incontro comprende la versione di Cappuccetto Rosso nata dalla penna di Emma; una versione che gioca sulle coppie immaginazione e desiderio, odio e amore; in mezzo, la realtà. Cappuccetto e il lupo sono speculari: entrambi immaginano, desiderano; entrambi odiano e amano. Essi desiderano ciò che immaginano, lo odiano perché lo amano; lo amano, certo, ma finché non escono dal proprio perimetro per scoprire, per conoscere, l’oggetto dell’amore fluttua nel cielo dell’odio. Poi la rottura dell’equilibrio, la decisione, l’incontro; e la realtà supera la loro immaginazione.
“Cappuccetto Rosso nel confronto con il lupo ripropone i concetti occidentali di ombra e luce, maschio e femmina, casa e limen, consentito e proibito, raccomandato ed evitato, buono e cattivo.”
L’incontro è la scoperta dell’Altro nel corpo e nell’anima, dove l’Altro non è soltanto l’altro sesso ma è il diverso, lo sconosciuto; non necessariamente un essere umano, esso può essere un’idea, una forma, una meta. Ma l’incontro è, soprattutto, con l’Altro sé stesso, con la propria parte sommersa; il ricongiungimento con il sé poco noto porta il soggetto alla consapevolezza della propria interezza: si accorge di essere un tutto. Il cappuccetto della protagonista è rosso, come il sangue; anzi, il titolo suona quasi ellittico. E il sangue non è solo ma soprattutto femminile; sangue che asseconda le fasi della Luna, a volte essa stessa di sangue. Sangue che sgorga nella stagione fertile della donna e si asciuga nell’avvizzimento della vecchiaia. Sangue che ha il potere di legare negli incantesimi e nei giuramenti.
Nel 1697 Charles Perrault intitola la propria versione della fiaba Le petite chaperon rouge, trascritta dai fratelli Grimm tra il 1812 e il 1815 in una variante piuttosto fedele. Ma i τόποι esistono già intorno al 1020 in area belga, concentrati nella raccolta di proverbi di Egbert von Luttich.
Chi è Cappuccetto Rosso nei racconti arcaici? È la vittima sacrificale immolata alla divinità della Foresta in cambio di protezione e prosperità; nei riti pagani indossava una veste rossa, attributo che la identificava con il sangue che avrebbe versato. Molti culti pagani indoeuropei prevedono l’offerta del pane e del vino, presenti anche nel cestino della fanciulla; essi sono un evidente riferimento all’Eucarestia.
Veniamo alle altre dramatis personae. La Dea dei riti arcaici è la nonna, cui Cappuccetto Rosso offre il proprio corpo e il proprio sangue; una divinità non sempre benevola, la quale ha un lato oscuro che è quello della Natura stessa, artefice di vita e morte. La madre raccomanda alla figlia di seguire il sentiero più sicuro in modo da mantenere il controllo e schivare i pericoli. È un tentativo di proteggerla o un sabotaggio per impedirle di evolvere? La madre è colei che ha già percorso quel sentiero ed è tornata a casa, perché entro quel sentiero si è mantenuta. Cappuccetto lascia la via maestra e si inoltra nel bosco. È consapevole di deviare dalla strada indicata dalla madre, anche nel senso di modello comportamentale; ma esercita la propria libertà di giudizio e autonomia di scelta.
Un denso simbolismo emana dalla casa della nonna; essa è buia, come un antro, come il ventre; sorge all’ombra di un nocciolo, simbolo del femminile. Entrare è faticoso; Cappuccetto Rosso deve tirare il saliscendi della porta, secondo l’indicazione dell’ava. Ancora una volta la fanciulla riceve un suggerimento da una donna adulta; adulta diventa lei stessa, dopo la morte simbolica dell’infanzia che si consuma in quelle buie viscere. E come adulta viene riconosciuta dalle lavandaie-levatrici che incontra al ritorno; ormai è una donna tra le donne.
Secondo una versione del sud della Francia, Cappuccetto entra, con i piedi in avanti, attraverso una gattaiola; un passaggio da uno stretto pertugio che evoca il parto, sia pure al contrario, e la proietta nel regno dei morti. Ella avverte il fascino della sessualità e dell’universo maschile; riconosce il lupo nelle vesti della nonna e di nuovo decide di decidere da sé, di seguire un sentiero divergente. Un sentiero che la porta ad assumere un’identità di genere; ha vissuto il ruolo femminile, si è affacciata a quel mondo omesso, taciuto, nascosto dagli adulti, rinasce nel segno di una sessualità emergente.
![Emma Fenu Emma Fenu](https://oubliettemagazine.com/wp-content/uploads/Emma-Fenu-10-300x204.jpg)
Tornando alle dramatis personae, il lupo rappresenta la personificazione delle divinità del Caos, la cui voracità deriva dal bisogno di riempire il vuoto cosmico che hanno in sé. Con la fiaba antica Cappuccetto Rosso condivide il tema del sacrificio e dello smembramento della divinità, legato all’altro del cannibalismo rituale. Cibandosi delle carni della nonna, la fanciulla ne eredita il potere generativo e diventa la nuova Grande Madre; la società patriarcale prevede una ciclicità per cui le giovani fertili devono spodestare le anziane, ormai improduttive.
Le versioni di Cappuccetto Rosso successive all’affermazione del patriarcato rispondono alla finalità pedagogica di formare giovani donne obbedienti e remissive; donne che devono vivere all’ombra e nell’ombra dell’uomo; donne che non devono oltrepassare il limen della propria casa, della propria famiglia, del ruolo che si impone loro. Esse devono soffocare i propri slanci vitalistici, pena il disonore. Non si tratta esclusivamente di reprimere la propria sessualità ma più ampiamente, la propria vivacità intellettuale, la curiosità, il diritto all’aberrazione, ovvero a decidere in modo autonomo, anche discostandosi dal pensiero dei più.
L’incontro invita a non avere paura di inoltrarsi nel bosco, di guardare il lupo negli occhi, di scorgervi un infinito ignoto. Tra le foglie, tra le ombre, in quello sguardo c’è la chiave per conoscere e per conoscersi.
Written by Tiziana Topa