“Il mondo del sesso” di Henry Miller: i ricordi si rincorrono l’un altro

Prima ed essenziale domanda: perché mi ostino ad affermare, per iscritto e oralmente, che Henry Miller sia per me il più amato, anche se non il più grande scrittore di sempre? Risposta: non lo so proprio.

Il mondo del sesso di Henry Miller
Il mondo del sesso di Henry Miller

Seconda domanda, meno cogente: perché aggiungo sempre quell’odioso: non il più grande scrittore? Perché sento che non può esserlo, anche se mi è chiaro che non si può giungere a una determinazione scientifica della grandezza di un artista. O di un’amicizia.

Terza, ma non so se ultima domanda: perché è il più amato? Dentro di me qualcosa sta ruggendo, ma sopisco quel grido e posticipo la risposta all’anno dei tre giovedì.

Lessi Tropico del cancro nel 1976, ma ne interruppi per un po’ la lettura a causa delle Olimpiadi di Montreal. Poi la ripresi e ne rimasi per sempre incantato. Non dico che mi piacque, ma che mi fece andare in una sorta di catalessi. Leggendo il successivo Tropico del capricorno, che era parte del medesimo volume, capii quel che significava odiare uno scrittore, pur ammirandolo. Avrei voluto prenderlo a botte per le cose che diceva, anche a proposito della disgrazia che colpì un ragazzo, di cui lui, pur essendo corresponsabile, non ricordava granché. La mia educazione tutta casa e chiesa (spesso bidonata, nel senso che uscivo di casa dicendo che andavo a messa e poi scorrazzavo da qualche altra parte) mi inibiva. Non ero un santarellino, ma non intendevo certamente avvallare tanto cinismo. Ma ne ero affascinato.

Tutte ‘ste fisime le persi nel prosieguo in successive letture di vari autori, tra cui Henry. Il sentimento d’amore nei suoi confronti era già presente, ma era caduco innamoramento, che però non finì mai per cadere del tutto, come capita talvolta agli umani.

Il titolo di questo breve tomo (Il mondo del sesso) è parzialmente fuorviante, come molti dei titoli milleriani: oltre ai due Tropici (ambientati in città metropolitane), ricordo quelli di Primavera nera, Come il colibrì, Nexus, Plexus, ma non di Sexus, in cui si parla effettivamente di quel Federico Zeri definiva una funzione. Che a volte funziona e a volte no. Come vorrei portare Henry a Sesso, che dista cinque chilometri dal centro; e, subito dopo, a Bagno, altra milleriana e funzionale frazione di Reggio Emilia!

Dopo tanto autobiografismo, ora mi decido di parlare di quest’ennesima opera autobiografica del Nostro Mitico Eroe Letterario. Quest’opera tratta un unico oggetto: il Tutto.

“D’altra parte m’accorgo che, indipendentemente dalle reazioni più o meno violente che un lettore può avere di fronte ai miei scritti, quando ci si incontra a faccia a faccia, di solito il mio lettore non tarda a buttarmi le braccia al collo.”

Lo scrittore belga Pascal Vrebos ce la fece, a incontrarlo e ad abbracciarlo. Io ora posso soltanto sognare.

Henry mio, una sera avevo intravisto in Tivù la tua ghigna, che subito sparì e allora, nel giugno 1980, non c’era zio Google che avverte l’utente anche mentre il personaggio pubblico sta tirando gli ultimi. Il giorno dopo, durante il mio giro quale postino trimestrale a Cella (altra frazione emblematica di Reggio, indicativa della detenzione anti-marcusiana a cui ero stato condannato all’ergastolo, in quanto poi avrei lavorato, in diversi impieghi, per quasi 42 anni) dopo aver consegnato la corrispondenza al giornalaio, chiesi la cortesia di consultare un attimo il Resto del carlino, dove lessi della tua amena scomparsa, avendo tu una bella età, 89 anni.

Per me saresti dovuto restare in eterno e perciò non avevo fretta d’incontrarti: la tragedia divenne perciò più mia che tua.

“… cade qualsiasi disparità tra l’uomo e lo scrittore…”anche perché chiunque ti legga, magari inconsciamente, sogna di diventare un tuo collega, collegandosi a te, impigliandosi alla tua anima, restandone entangled.

“Ed è anche il fine implicito di ogni ricerca religiosa: l’unificazione, la sintesi.” – è il motivo per cui a un’udienza papale preferirei una puntata a un bistrot parigino con te, dove potremmo parlare della solita (termine tecnico che si utilizza a Reggio per l’organo sessuale femminile), nonché di diversi autori, letterari e non.

Secondo la tua interpretazione del dramma interno balzacchiano, “l’artista è ossessionato dal pensiero di ricreare il mondo per restaurare l’innocenza dell’uomo…” – inseguendo il proprio sogno di libertà.

“Libertà in questo senso significa morte dell’automa.” – mi chiedo quanto tu, Henry, conoscessi e apprezzassi il pensiero di Herbert (Marcuse).

Definisci “lardellato di sesso” il primo Tropico, ma mirato al “problema dell’autoliberazione”, mentre nel secondo “l’uso dell’osceno è più studiato e deliberato”. Il primo era più spontaneo, il secondo più da sbruffone.

L’esperienza parigina ti aveva frastornato: “Non era rimasto più nulla dello scrittore che avevo sperato di diventare, c’era solo lo scrittore che dovevo essere.” – questo conato di libertà si stava trasformando: dovevi soltanto costruirti le catene su misura, che però sempre catene erano.

Dici che, già nel primo, “… il forte odore di sesso che ne promana è in realtà l’aroma della nascita; è sgradevole e rivoltante solo per chi non sa riconoscerne il significato.” – lo è per chiunque giudichi il sesso secondo i pregiudizi di certe religioni. Il secondo, tu dici, “rappresenta il passaggio a una fase più cosciente: dalla coscienza di sé alla coscienza del proprio scopo.” E il tutto “non deve mai essere ristretto a un solo mezzo, l’arte, diciamo, ma esteso ad ogni fase e momento della vita.” – e qui casca l’asino, il Pioli. Se ben ricordo, tu avevi un rapporto di reciproco ribrezzo con la madre, mentre del padre, e questo è significativo, ricordo poco o nulla. Qualcosa hai detto, però non molto rammentabile. Quando annunciai una domenica a tavola che avevo deciso di non lavorare un’ora della mia vita, mia madre ebbe qualcosa da obiettare, mentre mio padre (46 anni di impiego in un’industria) scosse malinconicamente la testa. Fu per pietà nei suoi confronti che rinunciai ben presto al mio sogno di coltivare il dolce far nulla. Non volevo farli soffrire. Che coglione ero, vero? Assolto il servizio militare obbligatorio, tornai a casa tutto pimpante per la ritrovata libertà, ma prima ancora di andare a desinare, mentre ancora mi stava abbracciando, papà mi avvisò che mi aveva trovato un impiego trimestrale alle poste. Poteva almeno farmi mangiare, prima! Il cibo quasi m’andò di traverso.

“Da questo momento in poi, il problema è di scrivere guardando al passato, e di agire avendo di mira l’avvenire.” – per me erano identici: l’alienazione della scuola e della naja prima, quella del lavoro poi.

“L’uomo di genio, sia nella sua opera che nell’esempio personale, pare sempre affermare questa verità: che ognuno di noi è norma a se stesso, e che la via della piena attuazione di sé passa attraverso la scoperta e la comprensione dell’unicità e irripetibilità di ciascuno di noi.” – sono d’accordo, ma ognuno ha la norma che si merita, che la vita gli ha donato. Più che Henry Miller e Herbert Marcuse, io amavo i miei genitori e mai li avrei voluto veder soffrire. Questo non toglie che, per cose minori, talvolta arrecai loro del male.

“L’uomo che è perfettamente desto a che ogni ‘avvenimento’ è imbottito di significato…” – e anche qui egli deve scegliere, chi uccidere e chi salvare. Riuscii a trovare una soluzione: ferire quasi a morte me stesso, cercando di sopravvivere fino al pensionamento. Dopo oltre quarant’anni di buona condotta, una congerie di imbecilli mi donò una, chissà se meritata, grazia.

Henry, tu sei un maudit orphelin, io no. Questa ha causato la nostra diversa fortuna.

“Mi accorgevo dell’esistenza di profonde e tenaci connessioni tra me e ogni altro essere umano con cui avevo avuto il destino – e il privilegio – di venire prima o poi a contatto.” – e di questo ti rendo merito: grazie a te, soprattutto alla lettura de I libri della mia vita e de Il tempo degli assassini, ho iniziato a collegarmi con chiunque, scrivendo, respira (unico dubbio che non ho voglia di sciogliere è Bruno Vespa; poi, in privato, ti spiego chi è), decidendo di reagire, recentemente anche per iscritto, a chiunque, respirando, scrive.

Il tuo modo di descrivere la donna meriterebbe il Premio Ignobel, non so se per la medicina o per la pace: “E come arrivavo alla presenza di lei, una tormentosa quiete mi invadeva. Era lì, la sua fica, sempre aperta, sempre in attesa di me. Pronta, come una pianta carnivora, a inghiottirmi intero.” – come se tu fossi un dittero, e magari lo eri anche. Chissà…

“Il conflitto tra quelle embrionali personalità imprigionate nel mio corpo sonnambulo assumeva proporzioni fantastiche”un mostro che non sarebbe spiaciuto a Goya o a Bosch,

E tu, gentiluomo d’antico stampo, osi dire che – “durante il coito mi sgorgavano fuori, come se svuotassi rifiuti in una fogna.” – un’immagine davvero icastica, complimenti! – “Ma appena riaprivo gli occhi mi erano già bell’e tornati dentro, a sciami, assordanti e insistenti come sempre.” – e che sia tutta un’illusione lo si scoprirà solo allorché sarà tardi. Il bello della rivoluzione femminista è che tra i due sessi tali penosi e pensosi destini sono ormai equamente condivisi.

Poi inizi a raccontare del tuo primo matrimonio, e della foresta nera che lei aveva casualmente all’incrocio delle cosce, ma è giusto lasciare all’eventuale tuo lettore la scoperta delle tue capacità di amare e di sparare millerate. A un certo miserabile punto avesti una penosa consapevolezza: “in quei momenti vissi un martirio completo.” – tu sarai sempre il mio mártys, il mio testimone.

Lascio perdere la differenza che fai tra l’american way di affrontare il problema e quella francese. Le tue opinioni sono datate. A prescindere del meridiano e del parallelo, ormai siamo tutti quanti immersi nella medesima zuppa.

“Sì, l’amore è il magnete che fa incontrare gli opposti. Che cosa li tenga insieme, neanche da chiedere. L’amore saprà badare a se stesso. E lo fa, morendo di morte naturale.”

La passione che lo determina, il kam’a, da cui derivava anche la tua passione amicale per Il colosso di Maroussi, è un magnete che funziona finché il cosmo gli conferirà l’energia necessaria, e poi, come tutto, tanta forza attrattiva degraderà nella più gelida entropia, se non si trasformerà in una fraterna (o filiale, o paterna) passione parentale, la più solida e duratura di tutte. Per me, almeno.

Henry Miller
Henry Miller

“L’amore è il dramma del completamento, dell’unificazione. Personale e illimitato, conduce alla liberazione dell’ego. Il sesso è impersonale, e lo si può far coincidere o no con l’amore. Il sesso può rafforzare e approfondire l’amore, o operare in forma distruttiva.”

L’amore può essere inteso come il voler offrire se stessi, in sacrificio a quel pervertito Dio. Il sesso richiede un atto reciproco, a meno che non sia di tipo masturbatorio. In tal caso, secondo la tesi professata da un Maestro di Onanismo di mia conoscenza, esso ri-diventa un atto d’amore: per lui una pugnetta non è degna del suo nome se non è idealmente dedicata a qualche signorina.

Una grande verità: “Ciò che sembra sgradevole, penoso, cattivo può diventare fonte di bellezza, di gioia e di forza se lo affrontiamo a mente aperta.”anche il Marchese Diabolico, talvolta lo è stato, ma anche lui talvolta ha fallito. Il gioco non è per nulla facile, ma meritevole d’essere esercitato.

“La morte trionfa solo al servizio della vita.” – tua frase, Henry; a la môrt a ‘s rîva vîv – frase di mia madre, a cui saresti stato simpatico, lo so.

“L’ordine temporale, che lega un fatto all’altro secondo uno svolgimento lineare, mi sembra una brutta copia del ritmo vero della vita.” – e questo lo imparai anche da Proust, che non ricordo tu abbia mai citato nei tuoi libri. Non lo amavi?

I ricordi si rincorrono l’un altro, facendosi talvolta lo sgambetto, allegoria mia che potrebbe essere tua,la loro assoluta imprevedibilità uccide ogni tentativo di speculazione.”

Un tuo pensiero non mi convince:per il poeta, l’estasi estrema non conduce all’abbagliante luce di Dio, ma giù, nelle notturne tenebre della passione.” – e che è tipica tua, quando parli di Dio e della fica come di due aspetti della medesima questione, in alternativa, come la gravitazione e l’entropia.

Caro amico mio, lo sai che pare che queste due antagonistiche forze in realtà cooperino insieme, nell’attesa dello scontro finale, e che chissà se poi davvero ci sarà… A proposito, ti sento ottimista quando scrivi: “Poco importa che la guerra attuale, calda o fredda che sia, finirà domani o fra cinquant’anni. Verranno altre guerre, e ognuna più terribile della precedente. Finché l’intero marcio edificio non sarà completamente demolito. Finché noi (homo sapiens) non ci saremo più.”

A Parigi dicono: l’argent est le nerf de la guerre. E qui interviene la mia materna filosofa: e gh in srà di sôld che n gh esròm gnân pió nuêter! – ce ne saranno dei soldi che non ci saremo più noi.

Com’è dimostrato in un film di Sordi, Finché c’è guerra c’è speranza (di guadagno da parte di chi traffica in armi). Questo però non c’entra col tuo libro. O forse sì?

Al di là di tutto, “c’è sempre e soltanto la lotta dell’individuo, il suo trionfo o la sua disfatta, la sua emancipazione o il suo asservimento, la sua liberazione o la sua liquidazione. Questa lotta, di natura cosmica, sfida ogni analisi, scientifica, metafisica, religiosa o storica.” Applaudo! E mi alzo in piedi! Poi poi sedermi di nuovo, poiché è l’ora dei saluti.

Altri miti dovrò ora inseguire.

“Breve o lungo sia il nostro passaggio su questa terra, le forze a cui attingere sono illimitate.” – non infinite, ma non utilizzabili tutte fino in fondo, perché il fondo non è mai esistito.

E = mc2, in uno scambio che non ha mai fine. Speriamo!

Essendo tu l’autore che più ho amato leggendoti, e letto amandoti, non ho mai finito né di leggerti, né d’amarti. Né di stringerti forte a me, talvolta, fino a strozzarti.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Henry Miller, Il mondo del sesso, Arnoldo Mondadori edizioni, 1992

 

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