Intervista di Alessia Mocci a Giovanna Fracassi: vi presentiamo il libro “Lettere a Sofia”

“Tutte le mie riflessioni si sostanziano del mio percorso culturale e umano e delle mie esperienze vissute con il potente filtro dell’essere donna. Una specificità che colora in modo indelebile ogni mia opinione, ogni mia presa di posizione, ogni mia attività sociale e famigliare. Una specificità che ritengo una grande ricchezza e che ritrovo in ogni scrittrice, in ogni artista, in ogni intellettuale, in ogni scienziata.” – Giovanna Fracassi

Giovanna Fracassi intervista
Giovanna Fracassi intervista

Le precedenti pubblicazioni di Giovanna Fracassi sono un intervallarsi di poesia e racconto (racconto lungo, breve, novella, favola), in “Lettere a Sofia” (Tomarchio Editore, 2022), invece, l’autrice compie una rivoluzione inserendo un epistolario nella sua produzione letteraria.

Il saggio presenta la necessità di scrivere i pensieri che affollano la psiche dell’autrice. Pensieri definiti “semi-seri” per quella propensione umana che porta a non prendersi troppo sul serio, cioè a non ritenere che ciò che si pensa sia la verità assoluta perché ogni pensiero è una opinione e come tale va preso, con serietà ma anche con un pizzico di ilarità, così da poter lasciare libero il flusso della mente verso nuove esplorazioni di senso per ciò che si chiama “vita” o semplicemente comunità inteso come “insieme di persone”.

Giovanna Fracassi ha esordito con la casa editrice Rupe Mutevole nel 2012 con la raccolta poetica “Arabesques”, segue nel 2013 “Opalescenze”, nel 2014 “La cenere del tempo”, nel 2015 “Emma alle porte della solitudine”, nel 2017 “Nella clessidra del cuore”, nel 2018 “L’albero delle filastrocche”. Nel 2016 ha pubblicato con Kimerik la raccolta “In esilio da me”, nel 2018 con Kubera Edizioni “Il respiro del tempo” e nel 2021 con Rupe Mutevole una raccolta poetica dal titolo “La brace dei ricordi” ed un fortunato libro di favole e filastrocche intitolato “Nel magico mondo di Nonna Amelia”. Nel 2021 è diventata autrice della Tomarchio Editore con una raccolta poetica intitolata Il canto della memoria nell’antologia “Conversazioni poetiche”.

 

A.M.: Ciao Giovanna, ti ringrazio per aver accettato questa intervista per presentare ai lettori la tua nuova pubblicazione: “Lettere a Sofia”, un libro diverso dagli altri che sino ad ora hai pubblicato (raccolte di poesie, di filastrocche, di favole). Ricordi la genesi dell’idea che ti ha portato a scrivere un epistolario?

Giovanna Fracassi: Grazie a te Alessia per questo graditissimo invito a parlare di me e della mia attività di scrittrice. In effetti nelle pagine di questa mia ultima pubblicazione che sono sostanzialmente un dialogo molto intimo con Sofia scorrono, poesie, racconti, aneddoti, impressioni di viaggio, vi sfilano personaggi e paesaggi, vi si dipanano riflessioni, vi sono appuntati suggestioni e descrizioni, ricordi, consigli, vi sono confidate, quasi sussurrate, sul far della sera o al risveglio, emozioni e sensazioni. È, come hai anticipato tu, un libro composito, molto diverso da tutti i miei precedenti lavori e il fil rouge di questa narrazione è la ricerca di senso.

Ho scelto di scrivere sotto forma di epistole perché tali erano, anche se la forma poteva essere di volta in volta una e-mail, un messaggio al cellulare, una mia pagina di diario. Ho sentito la necessità di raccogliere tutto questo materiale e dargli una struttura organica per renderlo più significativo e intellegibile. Il mio destinatario è una donna immaginaria che ho deciso di chiamare Sofia e che racchiude in sé tutte le persone a cui erano dirette queste mie riflessioni. Sofia perché è un nome che deriva dal greco “sophía” e significa saggezza, conoscenza, e la ‘mia Sofia’ si aggira in un labirinto inteso come simbolo della sfida che ogni uomo deve raccogliere cercando di dare una risposta alle domande esistenziali che da sempre si pone. Ma questa ricerca sembra non approdare mai ad alcuna conclusione, non v’è alcuna certezza su cui alla fine riposare, nessuna “uscita” dal domandare, perché ad ogni svolta del percorso, si aprono altre possibilità, altre vie da esplorare e si intuisce che ogni “passo”, ogni “verità” sono sempre relativi a qualcos’altro, ad un’altra interpretazione, ad un altro punto di vista, ad un altro pensiero o contesto.

 

A.M.: Nella tua biografia scrivi a proposito di tuo nonno paterno: professore di Lettere è stato un Irredentista e ha scritto numerosi saggi storico e politici”. È stato per te un esempio letterario oppure sei distante dalle sue opere?

Giovanna Fracassi: Purtroppo io non ho potuto conoscere mio nonno Egidio Fracassi (Trento 3 febbraio 1880 – Vicenza, 24 aprile 1950). È mancato parecchi anni prima che io nascessi. Fervente patriota e convinto interventista, si batté con discorsi, con scritti e fondando associazioni per l’aggregazione all’Italia di Trento e Trieste. Dopo la guerra prestò la sua opera per il rimpatrio e un dignitoso reinserimento dei profughi trentini. Impegnato nel lavoro con la massima dedizione, fu insegnante ed educatore dalla spiccata passione civica, espressa con entusiasmo anche nel periodo fascista. Fu autore di articoli e saggi, per lo più di argomento patriottico.

Il mio rapporto con lui si è sviluppato su due piani: i racconti delle sue gesta, essendo stato appunto un irredentista molto attivo a Trento e Rovereto (è stato volontario nella guerra mondiale 1915-18 concludendola come capitano di artiglieria. Fonda nel 1913 il Comitato pro Romania e, dopo la guerra, il Comitato profughi trentini e altoatesini italiani rimpatriati dai campi di concentramento austro-ungarici) fatto che lo ha costretto a spostarsi con la famiglia dapprima a Verona e poi a Vicenza, e i libri di carattere storico che ha scritto e che sono sempre stati gelosamente custoditi nella biblioteca di famiglia. Desidero ricordare alcuni titoli: Dalla storia alla leggenda: discorso pronunciato nell’aula maggiore della R.a Scuola Tecnica di Pergola il giorno 11 novembre 1906 genetliaco di S. M. Vittorio Emanuele 3.° / prof. Egidio Fracassi Pergola (PS): Gasperini (tip.), 1906; Fra Rovereto e Vicenza: corrispondenza letteraria nella prima metà del secolo 18.: precedono brevi cenni storici intorno alle relazioni fra le due città nel Medioevo / E. Fracassi; Girolamo Tartarotti: vita e opere: illustrate da documenti inediti / E. Fracassi; Feltre (BL): Castaldi (tip.), 1906; Giuseppe Garibaldi nella leggenda: discorso commemorativo pronunciato il giorno 4 luglio 1907 nel teatro Angel Dalfoco di Pergola / prof. Egidio Fracassi; Perché l’opera sia compiuta: le nuove provincie d’Italia ed alcuni problemi dell’annessione / Egidio Fracassi (Copie di questi libri si trovano custodite nell’archivio storico della Biblioteca civica di Rovereto (TN)).

Oltre a questo ha ricoperto varie cariche Presidente del Circolo trentino di Vicenza Membro del Comitato pro emigranti Consigliere della «Dante Alighieri», partecipazione a gruppi di ricerca e istituzioni scientifiche e culturali Membro fondatore dell’Associazione nazionale Trento-Trieste 1903, Socio fondatore del Comitato studenti universitari pro patria irredenta Socio dell’Accademia di scienze e lettere veneto-trentino-istriana di Padova Membro fondatore della Società per gli studi trentini (oggi Società di studi trentini di scienze storiche) 1919 Collaborazioni con giornali e riviste «Bollettino della Trento-Trieste», «Il giornale del soldato», «Grande Italia», «La squilla» (direttore), «La Voce della patria». Onorificenze e riconoscimenti Medaglia d’argento per il prestito nazionale 1918 Encomio solenne della Civica rappresentanza di Rovereto 1920 Diploma di benemerenza dello Stato di Fiume con autografo di Gabriele d’Annunzio 1920 Cittadino onorario di Castelnuovo in Valsugana per benemerenze speciali 1922 Cavaliere della Corona d’Italia 1923 Diploma di speciale benemerenza del segretario del Partito fascista Starace per la cultura fascista nella scuola.

A ciò si deve aggiungere il fatto che avendo conseguito il Diploma di magistero in storia e geografia, Università degli studi, Padova 1904, il  Diploma di magistero in filologia, Università degli studi, Padova 1904, la  Laurea in lettere, Università degli studi, Padova 1904  ha insegnato in vari istituti sia di Verona che di Vicenza e forse questo mi ha spinto a diventare a mia volta docente, avendolo anche come modello di dedizione (collocato a riposo, infatti chiede e ottiene di poter rimanere in servizio e vi resta fino alla morte). Qualcosa di lui, e spero di me, si è trasmesso a mio figlio che ora, specializzatosi in Storia, ha scelto la nobile professione dell’insegnamento. Posso quindi affermare che ho percepito questa linea ideale che mi collega a lui sia nella scrittura che nella scelta degli studi, dato che mi sono laureata in filosofia all’università di Padova, e della professione. Non mi sono ancora cimentata in testi storici, ho scritto finora molto in poesia e in prosa. Un libro con addentellati storici è nei miei programmi futuri di cui magari parlerò più avanti.

 

A.M.:  Quali sono le tematiche che hai voluto affrontare in “Lettere a Sofia”?

Giovanna Fracassi: Le tematiche sono molte, ne cito alcune: l’amicizia, l’amore, il lutto, il dolore, l’assenza, l’angoscia esistenziale, il rapporto tra poesia e filosofia, l’importanza delle tradizioni che ancorano l’esistenza ad un continuum di valori, di significati condivisi e universali, ma anche i rapporti con i miei figli, con la mia professione di docente e di scrittrice, il mio sapermi stupire della bellezza che mi circonda e che mi infonde serenità, gioia e speranza. Tutte le mie riflessioni si sostanziano del mio percorso culturale e umano e delle mie esperienze vissute con il potente filtro dell’essere donna. Una specificità che colora in modo indelebile ogni mia opinione, ogni mia presa di posizione, ogni mia attività sociale e famigliare. Una specificità che ritengo una grande ricchezza e che ritrovo in ogni scrittrice, in ogni artista, in ogni intellettuale, in ogni scienziata. Ricchezza non sempre purtroppo riconosciuta, valorizzata e utilizzata. Ho scritto una lettera a Sofia sull’argomento che desidero qui riportare: Ritengo che la divisione dei ruoli e delle competenze vada tutelata. Per raggiungere vari scopi: una migliore gestione della vita famigliare, sociale, in tutti i suoi stadi, fino allo Stato, una più serena identità dell’uomo e della donna, con meno conflittualità interiore, più autostima e consapevolezza delle proprie capacità e attitudini, un’azione educativa e formativa più equilibrata ed efficace nei confronti delle nuove generazioni. Il femminismo ha mancato l’obiettivo. Si proponeva di cambiare una società fondata su valori prettamente maschili, per fondarne una più a dimensione umana, a patire dall’organizzazione del lavoro, della gestione dei figli, della casa, del pianeta. Invece la donna si è lasciata risucchiare dall’ingranaggio del dio denaro, del dio potere, del dio efficienza ad oltranza e dal delirio di un progresso tecnico-scientifico che ha perso ogni fondamento etico e rotola verso un’anarchia e un sovvertimento delle stesse leggi di natura. Proprio in questi giorni, sto leggendo alcune massime del filosofo Arthur Schopenhauer. Vi sono alcune sue idee e convincimenti che non condivido pienamente anche se concordo in parte con lui sul fatto che si stia, molto spesso, meglio da soli che con gli altri uomini. Egli sostiene che, per sviluppare il suo genio, per poter metterlo al servizio del pensiero, non può né lavorare né crearsi una famiglia perché tutte queste occupazioni lo distoglierebbero dalla sua missione. È vero che svolgere un lavoro e occuparsi di una famiglia riducono e talvolta annullano completamente il tempo libero che ciascuno di noi potrebbe, qualora lo desiderasse, dedicare alla riflessione, ma io credo che queste esperienze siano anche in grado di sostanziare, dare significato e contenuto a quegli stessi pensieri; insomma che aiutino nella riflessione attorno ai grandi temi come intorno ai quesiti più quotidiani. Ad ogni modo, se talvolta si può parlare di limitazione è doveroso fare alcune premesse: non tutti i lavori e non tutte le professioni sono ugualmente “totalizzanti” e così stressanti. Di certo non lo dovevano essere ai tempi del filosofo, considerando poi che lui si riferisce a quelle professioni tipiche e consone agli intellettuali del suo tempo, come per esempio, l’insegnamento. Inoltre il gravoso fardello della famiglia è da sempre più pesante e limitante per la donna che non per l’uomo. È sempre stata la donna a non potersi permettere l’indagine speculativa, ad eccezione di ben poche intellettuali, ed è comunque stata limitata, nel tempo e nelle energie, dal doppio lavoro, almeno per quanto riguarda il Novecento e il nostro secolo, svolto a casa e fuori casa. Questo è a mio avviso un grande problema che però non sembra particolarmente sentito o dibattuto nella nostra società. Le donne hanno ormai raggiunto posizioni elevate, anche se in casi tuttora limitati, in vari ambiti dove fino a poco tempo fa spadroneggiavano gli uomini. Per esempio ora sono nell’esercito. Mi sembra però che non dovrebbe essere questo lo scopo o almeno non solo questo: non vedo quale conquista ci sia nell’essere militare o altro se siamo quasi senza voce, per esempio, nel panorama della filosofia, della storiografia, della politica, della scienza ecc. Sembra quasi che le donne abbiano rinunciato a creare un loro modo di essere, un loro modo di interpretare il mondo, di inventare i loro ruoli o almeno di modificarli, per scegliere piuttosto uno sterile appiattimento sui modelli maschili. Invece di voler cambiare le regole del gioco, impresa senz’altro difficile e lunga, è sembrato più redditizio, veloce, copiare quello che fanno gli uomini, per poi sostenere di dimostrare di essere in tutto e per tutto uguali a loro. È questo il nostro scopo? Possiamo sentirci soddisfatte di andare in guerra come loro o di massacrarci di turni di lavoro o di sprecare tutte le nostre migliori energie in lavori e professioni che, come accade all’uomo, non ci lasciano più spazi per pensare, per curare una soddisfacente vita affettiva, relazionale, arrivando al punto di dover perfino scegliere tra carriera e figli? Insomma, Sofia, mi sembra che ci siamo lasciate intrappolare anche noi in una vita nella quale non ci sono più ritmi consoni all’uomo, dove regna incontrastato il bisogno di raggiungere il successo o la ricchezza, la notorietà, la bellezza. Per chi, come me, ha respirato gli ultimi echi del femminismo, questo presente è assai deludente. Sono state disattese tutte le aspirazioni e le speranze che il femminismo aveva individuato. Ci siamo accontentate di alcune leggi, quali quelle sul diritto di famiglia, il divorzio, l’aborto che, se da un lato ci hanno forse aiutate a renderci più consapevoli di noi stesse e hanno rafforzato la nostra capacità decisionale, dall’altro ci hanno anche frenate in un’ulteriore ricerca di cosa è meglio, non solo per noi ma anche per l’uomo stesso. Paghe di queste nuove libertà ci siamo poi fatte fagocitare dal sistema tutto maschile di vivere la vita e l’impegno nella società. Abbiamo arrestato il processo che era stato avviato. Soprattutto abbiamo rinunciato ad essere protagoniste nel pensiero, nella cultura, nella speculazione accontentandoci di ricoprire i ruoli assai redditizi delle “belle”, più o meno realmente svampite. Credo quindi che bisogna tornare a riflettere su ciò che è veramente importante per noi senza farci fuorviare dalle mode consumistiche, dalle allettanti offerte del mercato che ci lascia alla fine, ancora una volta, ai margini di quello che è invece il fare storia, il lasciare il nostro segno nei mutamenti da noi voluti e cercati per cambiare davvero il mondo e il modo di vivere. Inoltre, l’animo umano è sempre scisso tra l’Essere e il Dover Essere, forse più in noi donne che negli uomini. Siamo ricche di vari ruoli nella nostra vita: figlie, compagne, madri, professioniste e lavoratrici fuori e dentro le mura domestiche, siamo spesso impegnate nel sociale e a vario titolo anche nella cultura. Credo che spesso capiti di sentirsi divise, scisse e che si viva talvolta come delle funambole, in equilibrio fra tutti questi ruoli, nella ricerca di volere e dovere esserci per tutti e per tutto, vivendo quella tensione che ci porta a cercare di esserne all’altezza, di dare comunque il meglio di noi stesse, non di rado a scapito dei nostri spazi, delle nostre esigenze e dei nostri desideri. Ma c’è quella dimensione che è solo nostra, quel rifugio tutto interiore dove ci sappiamo ritrovare con noi stesse, c’è quel dialogo interiore che ci spinge ad essere sempre anche “Altro” e soprattutto, almeno per quanto mi riguarda, anche “Altrove” e “Oltre”. “Oltre” tutto questo che sono, “Oltre” tutto quello che appaio, “Oltre” il “qui ed ora” in quell’anelito all’Infinito che credo sia proprio di ciascuno di noi, soprattutto se donne, ma che solo un artista, che sia uno scrittore, un musicista o un pittore o altro, riesce a rappresentare nella sua ricerca individuale.

 

A.M.: Come hai anticipato in precedenza in “Lettere a Sofia” il lettore potrà trovare anche una serie di poesie inserite all’interno di alcune epistole. Ritieni che il verso possa toccare angoli del sentire umano “diversi” rispetto alla prosa?

Lettere a Sofia
Lettere a Sofia

Giovanna Fracassi: Anche per rispondere a questa domanda ricorro a quanto ho già scritto in Lettere a Sofia.

Cara amica, mi chiedi se sto scrivendo. Ti rispondo con questa citazione di John Keats: “Sento che scriverò sempre, semplicemente perché amo e desidero il bello, anche se dovessi ogni mattina bruciare le mie fatiche notturne, e nessuno dovesse mai neppure leggerle…” Aggiungo la mia personale riflessione: dopo tanto scrivere, ciò che resta è qualche petalo di carta bianca. Parole scritte, dette o non dette, affidate alla pietà del tempo. Per me la poesia ha questo potere: quando la si legge si deve poter scoprire sempre qualcosa di nuovo accanto al già conosciuto. È questo che rende immortali le liriche dei grandi poeti. Sofia, scrivere significa dare qualcosa di sé a chi legge, guardarsi dentro per capirsi, per calmarsi, per ritrovare la voglia di essere felice quando tutto questo sembra difficile. Scrivere è dimenticarsi della parte peggiore di se stessi, è ritrovare la propria energia, è riconciliarsi con il mondo intero, è relativizzare il dolore, è contestualizzare la propria esistenza. Scrivere non è solo lasciare un messaggio sulla carta, è regalare una propria emozione all’eternità (e forse non è necessario che qualcuno ci legga perché ogni parola rimane tracciata sulla mappa dell’Universo in cui tutto si genera, tutto ritorna, nulla va mai disperso). Il mio desiderio di scrivere nasce spesso dalla volontà di ridare luce e spessore al mio passato, ricco di ricordi di eventi, di persone, di luoghi e di atmosfere, di emozioni e di sentimenti provati. Ora sono giunta in quel periodo della vita in cui, riflettendo su me stessa, sul mio percorso esistenziale, ho deciso di filtrare tutto ciò e di rielaborarlo per creare delle brevi storie dove la fantasia “gioca” con le suggestioni che mi sorprendono sull’onda di un ricordo ma anche durante un viaggio o nel mentre osservo una scena di vita nel mio quotidiano. Davvero, talvolta mi basta poco: osservare una donna in autobus, entrare in una vecchia libreria, incantarmi davanti ad una vetrina di oggetti d’antiquariato o fare un giro per le bancarelle di un mercato delle pulci. Allora avviene un intrecciarsi, un rincorrersi fra il momento vissuto e un vago sentire che proviene dal mio passato o da una lettura fatta o ancora da una musica particolarmente amata. Tutto questo ha trovato finora come forma privilegiata di espressione la poesia, ma da qualche tempo sento il bisogno di sperimentare anche la prosa. Mi rendo conto che lo stile può probabilmente ricordare quello delle mie liriche perché i miei racconti sono brevi, sono quasi dei flash, quasi mai hanno una conclusione, le piccole storie narrate hanno un finale “aperto”, quasi fossero tanti incipit per un racconto più lungo, e chi legge può immaginarne la continuazione… 

E ancora, sempre da Lettere a Sofia: Riflettiamo sulla consapevolezza dell’ineludibilità della nostra morte, in questi giorni tristi per te e pure per me. So che, dopo tanti capovolgimenti, anche la mia clessidra, un giorno rimarrà ferma. Con me porterò le gioie e i dolori che hanno scosso la mia anima e affronterò quel passaggio che tanto angoscia e che conduce nel nulla e in quel silenzio dove ogni affanno tace. In questo senso lo definisco salvifico. Leggi questa mia poesia intitolata “Partirò”. Partirò alla fine con le increspature dell’anima mia sulle alte e basse maree della gioia e della tristezza con le mani sfregiate dall’angoscia con il cuore lambito dal freddo flutto del nulla nell’oceano infinito del silenzio salvifico lascerò una foglia rossa sul quaderno aperto dell’autunno a segnare il tempo azzurro della mia clessidra. Qualcosa di me resterà: una foglia, simbolo di caducità ma anche di vita, rossa, perché la vita è passione, posata sulla pagina aperta di quel quaderno sfogliato e scritto della mia esistenza, nella stagione dell’autunno perché è l’autunno della vita il periodo per me più fecondo, in cui la mia maturità di persona e di scrittrice ha avuto il suo più pieno compimento. Per me tutto questo avviene in un tempo che mi piace definire “azzurro” perché aperto all’infinito e soprattutto alla speranza, che mai abbandona in vita e che accompagna anche e forse ancor di più, nell’ultimo passo. Anch’io sento la finitezza insita nella brevità dell’esistenza e nell’ineluttabilità del passare dei giorni e delle stagioni della vita.

La poesia contiene sempre dei messaggi universali che trovano eco nell’anima e nel sentire di ciascun uomo, pertanto scrivere poesie significa anche immedesimarsi in altre vite, sentire come proprie emozioni, sentimenti, angosce, inquietudini altrui. E in queste sue caratteristiche è forse più immediata, sintetica e nello stesso tempo capace di espandersi su più piani di significato, toccando quelle corde “intime” di chi legge grazie alle metafore, alle similitudini, alle analogie, al ritmo stesso dei versi che, come note  ripetute di un  pianoforte,  risuonano di altri sentimenti, riecheggiano di altre emozioni, “dipingono” nell’anima altri paesaggi, altri volti rendendo così partecipe se non addirittura protagonista il lettore che vi si abbandona. Mi preme però ribadire lo stretto legame che rilevo tra la poesia e la filosofia, forse perché ritengo che siano, nella mia produzione, molto intrecciate, come ho illustrato in Lettere a Sofia: Ritengo che la filosofia e la poesia affrontino in modo diverso alcuni temi che hanno in comune quali l’origine e la fine dell’Universo, il destino dell’uomo, la felicità, il dolore, la morte. Sono però diverse le modalità che utilizzano. La poesia ci permette un contatto più immediato con la realtà perché ci fa entrare in comunicazione con le persone, ci permette di penetrare, con la nostra sensibilità e la nostra intelligenza, nelle situazioni più varie e ci consente un approccio alle cose che ci circondano e alla natura, molto profondo e pervasivo. Lo sguardo del poeta coglie, osserva, interpreta e ricompone tutto ciò che lo circonda. Si scrivono poesie su ogni argomento: il lavoro, l’impegno civile, la religione, l’arte, il mondo delle piccole cose, la propria casa, il giardino o ancora la vita dei campi o nella città, l’amore in tutte le sue declinazioni, l’amicizia, i sentimenti positivi come anche quelli negativi, la malattia. Nulla si sottrae all’osservazione acuta e piena di pathos e di vita del poeta. La filosofia si occupa dell’indagine razionale, sottopone ogni quesito, ogni problema all’indagine della ragione. La poesia vive della molteplicità, si sostanzia della varietà dell’essere e della vicenda umana in questo solo mondo conoscibile e interpretabile. E lo fa con tutta la sua forza immaginativa e creatrice arrivando a quell’immediatezza che coinvolge e comunica, laddove la filosofia necessita di lunghe e approfondite riflessioni e razionalizzazioni. Ma non c’è vera poesia senza filosofia perché l’oggetto dell’indagine, alla fine, è appunto lo stesso: l‘Uomo gettato in questa vita, in questo Universo. Quindi hanno pari valore, pari dignità nella loro specificità. Perché la libertà di pensiero è un dardo solitario lanciato al di là del limite.

Scrivere una poesia è un atto creativo che implica un’intenzionalità, quindi la messa a punto dei contenuti e dei messaggi che si vogliono trasmettere, il possesso di un quadro di riferimenti culturali, l’aver fatto propri valori e principi etici. Il verso non è solo una questione di eleganza e di metrica, quanto piuttosto l’espressione di un pensiero, di un’idea, di un’emozione, di un sentimento, di un’immagine o di un desiderio. Così la mia poesia è uno sguardo sul mondo che mi circonda, sia esso inteso come realtà naturale: i paesaggi, il cambio delle stagioni, le variazioni atmosferiche; sia come realtà umana: l’uomo con i suoi bisogni, le sue tristezze, i suoi sogni, la gamma infinita e poliedrica dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. Tutto ciò è da me visto, vissuto, fatto mio attraverso il filtro della mia sensibilità, delle mie stesse esperienze e della mia visione della vita. Ogni aspetto che attira la mia attenzione viene a rapportarsi con i temi della mia riflessione esistenziale, con la mia ricerca di senso e con il mio anelito a cogliere una dimensione spirituale che vada oltre la mera descrizione lirica di sentimenti ed emozioni. In questo senso la mia poesia è l’espressione del mio continuo essere in viaggio dentro me stessa e dentro l’universo umano. Per me, inoltre, la poesia è anche comunicazione, è un ponte che costruisco per raggiungere il lettore, in un tempo differito, in uno spazio dilatato, con l’intento di condividere ma soprattutto di sollecitare alla riflessione. Ed è proprio questa consapevolezza che mi spinge a cercare temi e forme sempre più chiari e coinvolgenti così che il pensare a chi mi leggerà sostanzia e precisa la mia stessa scrittura in una continua spirale creativa. L’atto dello scrivere diviene, in tal modo, l’unica modalità con la quale ritengo di poter, almeno parzialmente, superare la mia solitudine esistenziale. Quella stessa solitudine, ineludibile, che permea la vita di ogni uomo.

 

A.M.: Il libro termina con una parte a sé: “Lo scrigno dei racconti”. Ci anticipi la trama di uno dei racconti?

Giovanna Fracassi: Nello scrigno dei racconti sono presenti alcuni dei brani a cui faccio riferimento nelle epistole: Veliero, Amiche, In metropolitana, Un paese quasi fantasma, Il fiume, Lillo, Vienna, Un incontro, Alfred, La casa nel bosco. Ciascuno è il frutto di una mia esperienza che sia stata un incontro o un viaggio, una passeggiata, una notizia appresa o semplicemente un ricordo, come è ad esempio il racconto Amiche che mi è particolarmente caro. È quasi uno “squarcio temporale” di un periodo felice e spensierato quale è stato per me l’infanzia. Un’infanzia dorata in cui i momenti più attesi e più intensi erano i giorni trascorsi in vacanza in montagna, dove i miei genitori avevano una villetta che si affacciava su un prato immenso. Su quel prato scivolavano le mie stagioni fra le corse a perdifiato, tra i fiori primaverili, i salti fra i covoni di fieno, l’odore inconfondibile dell’autunno e le palle di neve d’inverno. Compagna prediletta di tutti questi miei giochi era la mia amica del cuore. Con lei condividevo assolutamente tutto e così è stato fino alla maturità, quando la vita ci ha inesorabilmente allontanate. Forse anche per questo il ricordo dei nostri voli di fantasia, come quando appunto ci sdraiavamo sull’erba a guardare le nuvole in cielo, hanno per me ora una tonalità di struggente nostalgia e di tenera felicità. L’amicizia fra due bambine, molto diverse sotto tanti punti di vista, ma entrambe ingenue, aperte con innocenza alla scoperta del mondo, di quel mondo dei grandi in cui è meglio avventurarsi insieme, è uno dei sentimenti più puri e nobili e chi ha la fortuna di averlo provato lo custodisce per sempre come un grande tesoro.

Amiche

I covoni spuntavano come tanti funghi gialli nel prato in declivio sul pendio della collina. Saltavamo i mucchi di fieno, all’insaputa dei contadini, sempre in gara, io e te, con tutti gli altri ragazzini. Ti ricordi? Stanche, rimaste per ultime, quando ormai tutti se ne erano tornati a casa, ci sdraiavamo sul prato, vicine. Fili di paglia fra i capelli e tra le labbra, a pancia in su, a guardare le nuvole, bianche e spumose, correre nel cielo terso d’estate. Io inventavo storie, tu ascoltavi e ridevi. Ti ricordi? Avevamo come colonna sonora i “cri cri” dei grilli e, più in là, le cicale gelose, alzavano più forte il loro richiamo. «Guarda, quelle sembrano elefanti in corsa!» «A me fanno pensare ad un mondo di panna montata; ma ci pensi se potessimo entrarci?» «Cadremmo giù!» «Ma no! Lassù ci sono le strade e i ponti e noi saremmo leggerissime! E potremmo mangiarci tutta la panna montata!» «Io voglio anche le amarene, soprattutto le amarene!» «Va bene, te ne mangi così tante che, un giorno, ti guardi allo specchio e vedi che sei diventata tutta rossa pure tu. Così, poiché ti vergogni, decidi di spostarti e vai sulla nuvola dei pellerossa. Qui, siccome sei bionda e con gli occhi azzurri, i guerrieri ti fanno regina e ti preparano un bellissimo tepee di panna montata, cioccolata e canditi, come la casetta di Hansel e Gretel.» «Bello, ma tu dove sei?» «Sono rimasta nel paese di Panna Montata.» 173 «Non voglio! Mi sento spaesata e poi non parlo la lingua dei pellerossa, devi venirci anche tu!» «Allora succede che, a forza di mangiare panna montata sono diventata così bianca che neppure mi si vede. Nessuno gioca più con me, mi sento sola e triste e, visto che non interesso a nessuno, decido di raggiungerti.» «Ecco, così va decisamente meglio. Restiamo a giocare fra le nuvole fino a… domani?» «Sììì!» Ti ricordi?

 

A.M.: Qual è il target di lettori adatti alla lettura del tuo libro?

Giovanna Fracassi - intervista
Giovanna Fracassi – intervista

Giovanna Fracassi: Lettere a Sofia è un libro che posso consigliare davvero a tutti perché affronta quei temi che interessano ogni uomo e ogni donna, pone delle domande e propone delle riflessioni che possono aiutare a comprendersi e a comprendere il mondo in cui viviamo e le persone con cui entriamo in contatto. Tuttavia essendo soprattutto la preadolescenza e l’adolescenza i periodi della vita in cui si affacciano le grandi domande esistenziali, credo che sarebbe particolarmente indicato per i lettori di questa fascia d’età, soprattutto se tale lettura fosse possibile condividerla per esempio, in ambito scolastico, con altri coetanei e sotto la guida di un insegnante capace di stimolarne la comprensione, sollecitare la riflessione su quanto letto proponendo dei confronti fra le diverse situazioni vissute dai ragazzi, fra le loro diverse posizioni riguardo determinati problemi, consigliandoli di approfondire con la lettura dei libri che vi sono citati o con quella di altri epistolari o altri ancora che siano ritenuti idonei. Vi sono vari percorsi didattici da proporre ai ragazzi: non solo appunto la lettura di testi collegati ma anche la scrittura di lettere, indirizzate a compagni, amici reali o immaginari, genitori o addirittura a se stessi oppure anche a me! Sarei davvero felice di rispondere a delle epistole riguardanti il libro e i suoi contenuti ma anche la mia stessa attività di insegnante e di scrittrice. Penso che sia importante la scrittura che consente di riflettere sul proprio percorso esistenziale, in uno scambio di esperienze, nella condivisione di dubbi, paure, angosce come pure di gioie, entusiasmi, progetti, obiettivi in un proficuo e continuo confronto con se stessi e con l’altro da sé.

 

A.M.: Hai in programma una novità editoriale? E se sì, puoi anticiparci se sarà scritta in versi oppure in prosa?

Giovanna Fracassi: Ho una pubblicazione in programma e spero davvero di riuscire a realizzarla entro il 2023. Posso anticipare che non si tratterà di una silloge ma sarà un testo dedicato ai lettori più giovani perché credo fermamente nell’importanza di coinvolgerli interessandoli al fantastico mondo letterario che tanto ha da trasmettere, da suggerire. Non si nasce lettori ma di certo lo si può diventare anche attraverso un’adeguata educazione alla lettura che deve iniziare al più presto nei modi e con i contenuti più idonei.

 

A.M.: Salutiamoci con una citazione…

Giovanna Fracassi:Se ciò che io dico risuona in te, è semplicemente perché siamo entrambi rami di uno stesso albero.” – William Butler Yeats

 

A.M.: Giovanna ti ringrazio per averci regalato questi momenti di riflessione e ti seguo riportando, come saluto, un’altra frase tratta dal grande poeta e mistico William Butler Yeats: “Una lingua rappresenta la memoria collettiva «naturale» di una popolazione: se questa, per impossessarsi di un nuovo strumento linguistico, perde il contatto con il suo mezzo d’espressione più antico, diviene del tutto incapace di riconoscersi nelle proprie tradizioni: come potrà, allora, affermare la propria identità?”

 

Written by Alessia Mocci

 

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