“Marta. Il delitto della Sapienza” docufilm di Simone Manetti: un’inchiesta piena di contraddizioni
“La mattina del 9 maggio, a Legge, ho visto arrivare Scattone alle 12.15 nella stanza del catalogo… gli ho chiesto per l’esame del 16… Scattone mi ha risposto con uno schema di domanda di logica su un biglietto. Quel foglietto, restato in una tasca dei miei pantaloni, è finito in lavatrice. Ma sopra si leggono ancora alcune parole.” – Un testimone, fonte Wikipedia
Era la tarda mattinata del 9 maggio 1997 quando Marta Russo, studentessa presso la facoltà di giurisprudenza a La Sapienza di Roma, veniva colpita alla testa da un proiettile calibro 22.
Inconsapevole di ciò che le sarebbe accaduto, la giovane, di ventidue anni soltanto, passeggiava tranquillamente in compagnia di un’amica nel cortile dell’università.
Dal momento in cui scivolò a terra, fra lo sguardo inorridito della sua compagna, per lei non ci fu più nulla da fare: dopo cinque giorni di ricovero ospedaliero si spegneva per sempre il sorriso di Marta.
Della triste vicenda e dell’indagine che ne è seguita per identificare le responsabilità di un atto assurdo quanto terribile ne dà conto il docufilm Marta. Il delitto della Sapienza, realizzato dal regista Simone Manetti nel 2021. Ed è grazie a un racconto fedele quanto capillare, che il film scandaglia i fatti in cui la giovane perse la vita inspiegabilmente e soprattutto in modo inconcepibile.
Marta si separava per sempre da questo mondo, lasciandosi dietro infiniti interrogativi e un’inchiesta piena di contraddizioni. Lacerati da un dolore difficile da contenere e intrappolati in una spirale di disperazione, i suoi familiari, non riusciranno mai a spiegarsi le motivazioni per cui all’interno dell’università qualcuno detenesse un’arma. Mostrandosi persone coraggiose e determinate affinché fosse fatta piena luce sui fatti.
Ma non soltanto i familiari rimasero particolarmente colpiti dall’episodio ma, come ben si evince dal docufilm tutta l’opinione pubblica, comprese le amiche di Marta a cui aveva regalato tempo e affetto. Anche perché la giovane vittima si rivelò, agli occhi di coloro che non la conoscevano, con qualità proprie di persona straordinaria.
Inevitabilmente il gravissimo fatto fu oggetto di grande attenzione mediatica, che sollevò più di un’ipotesi, al fine di trovare il movente per spiegare il drammatico evento.
Si parlò di terrorismo, di una nuova ondata di strategia della tensione e anche di un probabile scambio di persona. Ma al termine dell’inchiesta non emerse nulla di tutto ciò.
“Neppure la Alletto ha visto sparare… Potrebbe sovrapporre immagini, scambiando un giorno per un altro. Potrebbe leggere come omicidio un comportamento per lei indecifrabile. Non dimentichiamo che tutti parlano di questa storia con il senno di poi. Sanno che è morta una ragazza, leggono i giornali dal 9 maggio al 14 giugno, giorno in cui Alletto incastra gli assistenti… Nessuno dice li ho visti sparare. Nemmeno lei.” – Un testimone, fonte Wikipedia
Ma, veniamo alla ricostruzione dell’episodio, così come è stato puntualmente riportato nel docufilm. Che, raccontato in maniera oggettiva non cede a un’esposizione melodrammatica, che sarebbe stata comprensibile nel contesto narrativo, ma è invece un’importante testimonianza del grave fatto di cronaca nera.
Molti furono gli attori entrati in scena in questa vicenda, senza apportare, almeno in un primo momento, alcun contributo utile per sbrogliare l’intricata matassa in cui si era consumato il fatto.
Come già detto, in compagnia dell’amica di sempre, Marta camminava per i cortili dell’università aspettando l’inizio delle lezioni, quando è stata raggiunta alla testa da un proiettile vagante. Accasciatasi al suolo, veniva soccorsa e trasportata all’ospedale dove i medici dichiaravano il suo stato di coma.
A quel punto, la vita di Marta era appesa a un filo tanto labile quanto disperato che dopo 5 giorni si declinava in una sentenza senza appello: Marta non ce l’avrebbe fatta a superare il confine che divide la vita dalla morte. In preda a una disperazione senza fine i familiari facevano una scelta coraggiosa, seguendo un’ambizione manifestata in precedenza dalla giovane donavano i suoi organi, affinché altre persone potessero godere al posto suo di quel bene prezioso che è la vita.
Fin da subito, come ben mostrato nel docufilm, partiva un’indagine capillare ma irta di difficoltà, che si traduceva poi in un complesso caso giudiziario, anche a causa della reticenza delle persone presenti in facoltà al momento dello sparo.
Vittime di un’omertà che si consumava in un’alternanza di affermazioni poi, in parte poi ritrattate. Per ricomporre la dinamica dei fatti furono impiegati mezzi davvero innovativi per l’epoca. Che, grazie all’utilizzo di una videocamera laser ricostruirono virtualmente il cortile dell’università, lì dove si erano consumati i diversi passaggi che avevano portato Marta a cadere vittima di un colpo, forse, sparato accidentalmente.
Si trattò di una perizia definita un modello di tecnologia, alfine di ricostruire la traiettoria compiuta dal proiettile mortale, probabilmente partito da una stanza dell’istituto di filosofia del diritto, dalla cui finestra erano state rinvenute tracce di polvere da sparo.
E fu con un lavoro certosino, coadiuvato da testimonianze, più o meno reticenti, che gli inquirenti individuavano in due giovani assistenti del mondo accademico, presenti in facoltà in quel tragico momento, i responsabili dell’omicidio.
Se non fosse stato che fin dai primi istanti i due si dichiarano estranei ai fatti, affermando di essere stati assenti durante la mattinata di quel tragico 9 maggio 1997.
A seguire, il processo fu lungo e laborioso durante il quale, dopo la sfilata di numerosi testimoni, durante il dibattimento i due chiedevano di spiegare le loro ragioni.
Presentandosi alla corte con noncuranza, se non arroganza e assoluta mancanza di empatia, i giovani assistenti cercarono in ogni modo di discolparsi dalla grave imputazione che veniva loro addebitata. Ovvero, aver sparato, forse per futili motivi, in direzione della studentessa.
Dopo di che, la sentenza emessa dal giudice a fine processo li dichiarava responsabili della morte di Marta assegnandogli l’imputazione di omicidio colposo aggravato.
Anche se la condanna inflitta loro era assolutamente iniqua in relazione alla gravità del reato commesso: cinque anni a Giovanni Scattone, e quattro anni a Salvatore Ferraro, accusato di favoreggiamento nei confronti del suo collega.
Mentre gli altri imputati venivano prosciolti con svariate motivazioni. Però, la condanna inferta loro, grazie a una giurisprudenza che quasi mai tutela le vittime veniva eseguita solo in parte. Con un periodo di detenzione in carcere più breve del previsto, il resto della pena veniva trasformato in arresti domiciliari, seguiti poi da una pena da assolvere presso i servizi sociali.
“Scattone aveva in mano una pistola nera, ho visto un bagliore e ho sentito un “tonfo”. Ferraro si è messo le mani nei capelli, dentro c’era pure Liparota… Scattone, invece, con la mano sinistra spostava le doghe della tenda e con la destra ritraeva la pistola. Non hanno detto nulla, poi è entrata la Lipari… Era un’arma nera, lunga venticinque – trenta centimetri. Scattone l’ha messa nella borsa che era sulla scrivania ed è uscito bisbigliando qualcosa, forse un saluto, alla Lipari che era appena entrata. Ferraro ha preso la borsa e l’ha portata via uscendo insieme con Liparota.” – Un testimone, fonte Wikipedia
Realizzato con la testimonianza sia dei parenti stretti di Marta, genitori e sorella in primis, che quella degli inquirenti che si sono adoperati per svolgere un’indagine, ostica fin dai primi momenti, basata su tecniche investigative moderne, si può definire il film di alta qualità documentale.
“In un biglietto il pm Lasperanza indicò le persone nell’aula 6 di Filosofia del diritto quando fu ferita a morte Marta Russo. Erano lì posizionati: mia cognata Gabriella, Francesco Liparota, Chiara Lipari e Salvatore Ferraro. Ho passato quel biglietto a mia cognata ma lei negò, disse: io non ci stavo.” – Un testimone, fonte Wikipedia
Docufilm eccellente, Marta. Il delitto della Sapienza, che con dovizia di dettagli e senza mai cadere in una sorta di lacrimevole afflizione, mostra, con un ineccepibile lavoro di regia, la devastazione emotiva dei familiari, e non ultima la loro rabbia di fronte a una morte rubata.
Ma soprattutto senza un qualsiasi tipo di movente a spiegare la dipartita di una persona che in vita si è manifesta come una persona speciale.
Perché Marta così era, nell’accezione più vera del termine, una persona altruista, votata al bene comune e dotata di una precisa progettualità volta al benessere collettivo.
Ed è stato con un gesto ignobile che i sogni di Marta sono stati spazzati via per mano di due balordi, che null’altro avevano da fare se non ‘giocare’ con un’arma all’interno del polo universitario.
“In questo caso il garantismo è fuori luogo.” – Dacia Maraini, fonte Wikipedia
Written by Carolina Colombi