“Via col vento” di Margaret Mitchell: un’entropia che rende quasi immortali

Inizio una tormentosa reazione scritta alla conclusione della Parte Prima di questo romanzo epocale Via col vento”. Perché tormentosa? Perché Margaret Mitchell è una specie di Rossella O’ Hara, oppure il contrario, che è la stessa cosa alla fine.

Via col vento di Margaret Mitchell
Via col vento di Margaret Mitchell

“Rossella O’ Hara non era una bellezza, ma raramente gli uomini se ne accorgevano…”una simulatrice, o dissimulatrice, una specie di Catilina? Quest’ultimo fu uno dei personaggi più fraintesi e malvisti dalle cronache storiche.

Anni fa guardai in televisione il lungo film di Victor Fleming e del personaggio Rossella ho un ricordo ambiguo, come di donna egoista e passionevole al contempo, non certo limpido, ma nemmeno disonesto più di altri, con un suo carattere deciso e combattivo, ma non distruttivo. 

“Malgrado la castità dell’amplissima gonna, la semplicità con cui i capelli erano intrecciati e raccolti in un nodo, la compostezza dellle bianche mani congiunte nel grembo, la sua vera personalità non riusciva a celarsi” – ecco comprovata la contraddizione: un malgrado che non ce la fa a dissimulare un carattere ex-agerato, che esce dagli argini, talvolta rovinando i raccolti, talvolta favorendoli. E siamo appena alla prima pagina!

Brent dice al gemello Stuart: “… Quando Rossella si irrita, se ne accorgono tutti. Non si comporta come le altre ragazze.” – in tali casi, lei è schietta, ma sempre prodigiosamente bella. Nessuno si esime dal criticarla, magari sottovoce, ma tutti ne restano incantati. Lei è qualcosa, ma sempre qualcos’altro. Contiene in sé una complementare dicotomia.

“Ella era costituzionalmente incapace di sopportare che un uomo – chiunque fosse – si innamorasse di una donna che non era lei; e la vista di Lydia Wilkes che discorreva con Stuart era stata intollerabile per il suo carattere predace.”

L’averla minore è un grazioso passeraceo che si nutre di insetti, ma che non disdegna la carne di vertebrati, anche piccoli pennuti, parendo l’immenso rapace che non è, anzi, che è soltanto relativamente a loro. Rossella avrebbe voluto divorare tutti, ma con quella grazia che l’aveva resa così amata e rispettata in società. Non era cattiva, ma desiderava primeggiare su tutto e tutti, uomini e animali compresi.

“Con Lydia si sapeva sempre a che punto si era, con Rossella non lo si sapeva mai. Questo poteva portare un uomo alla demenza, ma aveva il suo fascino.” Rossella viveva di certezze, spesso infrante dallo sbattere contro i fatti reali: “No, Ashley non poteva essere innamorato di Melania, perché – oh, in questo non s’ingannava! – perché era innamorato di lei. Lei, Rossella, era la sola amata: lo sapeva!” – questo, per lei, era un dogma.

“Mammy era negra, ma il suo codice di condotta e il suo senso di orgoglio erano tanto alti quanto quelli dei suoi proprietari, se non di più…” – una serva hegeliana, che dominava, in modo celato, mirando tutti, ad eccezione di Elena, la madre di Rossella, dal basso, mentre svolgeva le sue mansioni di governante.

“Mammy ben castigava chi ben amava. E siccome il suo amore per Rossella e il suo orgoglio di lei erano enormi, i castighi erano quasi continui.” – mirati alla sua crescita, come accadeva al mio maestro Enrico Paoli che, dopo aver battuto con la riga sulla nostra mano tenuta a pigna, esigeva un grazie. Lo faceva unicamente per il nostro bene e, quando lo meritevamo, ci colmava di regali. Dura lex, sed lex!

Ogni tanto, al momento giusto, Rossella ama disobbedirle e ordinarle qualcosa di disdicevole. Ora Mammy le dice di rientare, che fa freddino, e lei: “No, ho voglia di stare qui a contemplare il tramonto. È così bello. Vai a prendermi lo scialle, ti prego, Mammy: starò qui finché papà torna a casa.” – e poi le ordina, gentilmente, di andare a prendere lo scialle. E lei tramette il comando a una “fannulona di una negra!” – un’incolpevole e indifferente schiavetta di nome Rosa.

Rossella sa stringere i denti, quando è necessario: “Sospirava perché le scarpine erano allacciate troppo strette per consentirle di correre, ma camminava più rapidamente che poteva.”a thing of tightness is an ache for ever, ma basta stringere un po’ i denti. E si può procedere.

“… da quel giorno, due anni prima, quando Ashley, tornato dal suo viaggio di tre anni in Europa, era venuto a far visita ai suoi genitori, lo aveva mato. Una cosa semplicissima.”nel destino di Rossella, il semplice diventa ogni volta complesso, e viceversa.

“Lo aveva desiderato in quel primo momento, desiderato semplicemente e irragionevolmente, come si desidera il cibo per nutrirsi, un cavallo per cavalcare e un morbido letto per dormire.”

Due esseri diversi come raramente si può essere, nemmeno complementari, forse: “Oh, perché era così graziosamente biondo, così follemente noioso con i suoi discorsi sull’Europa e sui libri e la musca e la poesia, e tante cose che non la interessavano per nulla… eppure così desiderabile?” Ella “lo amava, lo desiderava e non lo comprendeva.” – era un alieno per lei, un sogno irreale. Eppure “ella non aveva mai dubitato che un giorno o l’altro Ashely si sarebbe dichiarato; era troppo giovine e viziata per aver mai saputo cosa fosse una sconfitta.” – e il destino era là fuori, sogghignante e sempre in agguato.

“Ella amava quella terra senza neanche sapere di amarla; l’amava come amava il volto di sua madre sotto la lampada all’ora della preghiera.” – Tara, la sua terra, ed Elena, la sua mamma, a me paiono concetti difficilmente indistinguibili. Rossella, però, aveva preso più dal padre Geraldo che, “sotto il suo aspetto collerico”, in realtà “aveva il cuore più tenero del mondo.” – di cui un po’ si vergognava e che cercava ogni volta di celare agli altrui occhi, specialmente alla servitù, che era più furba di lui. “Inoltre, Rossella e suo padre erano legati da un reciproco accordo per nascondere le loro marachelle” – che mai erano dettate dalla cattiveria, ma da dei conati di libertà. “Per quanto Rossella poteva ricordare, sua madre era stata sempre la stessa.”la dea della perfezione e dell’autocontrollo, e a me non va di ricordare il motivo per cui lei ora sia così e perché abbia sposato quell’uomo corto e non bellissimo, troppo più basso di lei, essendovi, sotto, un motivo doloroso, e il presente romanzo è un’assurda tragedia non leggerlo.

“Con l’infallibile istinto africano, i negri avevano tutti scoperto che Geraldo era un cane che abbaiava ma non mordeva, e ne approfittavano vergognosamente.”e mi domando quale termine tu, Margaret, abbia usato per negri. Poco importa: erano bestie da soma e da riproduzione. Era solo una curiosità che è però inferiore alla voglia di cercare una risposta su uncle Sam Google. “Così Elena, non più Robillard, volse le spalle a Savannah per non rivederla mai più e partì per Tara con un marito di mezz’età, la sua nutrice e venti ‘negri di casa’.”come fossero dei pet assunti a tempo totale e indeterminato.  

Rossella “non aveva mai avuto un’amica e non ne aveva mai sentito la mancanza. Per lei, tutte le donne, comprese le due sorelle, erano nemiche naturali che inseguivano la stessa preda: l’uomo.” – e qui mi viene da sorridere perché donna era lei, e donne erano le femministe, lesbiche e nere (orgogliosissime d’essere tutto ciò) Gloria E. Anzaldúa e Audre Lorde. Panta rei!

“Tutte le donne, eccetto sua madre.” – quella prodigiosa, autorevole seppure un po’ mesta Madonna! Che induce tutti a pregare, a prescindere dalla pelle (lei sovrasta ogni tipo di colore): “Come il fruscio di un dolce venticello si udiva il mormorio delle risposte delle gole bianche e di quelle nere.” Al che mi viene di citare il detto di mia mamma, arşâna ed Gavâsa: un nîgher a gh à al sângov ròss cme al nôster: il sangue rosso come il nostro.

“… Rossella, dato che la fanciulla ha solo due lati e non può far sedere più di un uomo per lato, aveva pensato bene di sedere in disparte in modo da riunire intorno a sé il maggior numero possibile di giovinotti.” – la pubblicità è l’anima del commercio. Non è affatto una meretrice, ma il prezzo che richiede per la sua prestazione (il matrimonio che, secondo G. B. Shaw non è che una prostituzione legalizzata) uno solo è in grado di pagarlo, ma non vuole o desidera farlo.

Ashley vuole, non si sa se desidera, sposare la cugina Melania, il cui viso era “dolce e timido, ma non bello; ed ella non aveva furberie femminili che facessero dimenticare agli osservatori la sua scarsa bellezza. Sembrava, ed era, semplice come la terra, buona come il pane, trasparente come acqua di fonte.” È tempo di guerra, ma il conflitto che martoria Rossella è quell’imminente matrimonio, che devasterà per decenni la sua anima. Rossella muove le sue truppe psicologiche alla conquista del cuore di Ashley, che è già suo, forse, ma che non riesce a gestire. Quel giovane non è uno schiavo d’amore, ma un libero pensatore. E della sua tenera disamina cito poche frasi significative, anche se tutte lo sono, nonché sincere, vane e ben dette.

“L’amore non basta per fare un matrimonio felice, quando due persone sono così diverse come noi” – lei vuole “tutto: il cuore, l’anima, i pensieri. E se non li avete sareste infelice. Ed io non potrei darvi tutto di me. Non posso dar tutto a nessuno.” – come lo capisco! Nemmeno ai miei figli lo darei, al massimo darei la vita per loro, ma non tutto il mio essere, e nemmeno tutto il mio esistere. “E non desidererei tutto il vostro cuore e la vostra anima. Voi ne sareste offesa e arrivereste a odiarmi… oh amaramente!” sic transit gloria passionis!

Via col vento - film
Via col vento – film

“… Rossella, Rossella! Come posso farvi capire che un matrimonio può essere sereno e felice soltanto fra due persone simili.” – e qui non dis-sento, ma sento il dovere (che mi cresce dal basso) di precisare: un rapporto diventa più significativo qualora le differenze s’integrino, senza spargere sangue e lacrime, con le relative affinità. La risposta di Rossella è negativa più di quel che uno possa immaginare: dopo aver percosso l’amato bene, nonché insultato a sangue un ameno (il quale sa sorridere come solo Clark Gable sa fare) Rhett Butler, il quale, ammucciato in disparte, aveva spiato il tutto, facendosi scoprire solo dopo l’uscita di scena di Ashley; ella decide di sposare un disprezzato giovanotto di pochi anni più vecchio che ha un unico merito: morire pochi mesi dopo, in un campo militare, di polmonite. Intanto però Rossella cova dentro di sé un loro figlio, Wade Hampton.

La Parte Seconda del romanzo si svolge ad Atlanta, dove vive la famiglia dei parenti del marito defunto, tra cui la sorella Melania, che si maritò con Ashley, il giorno dopo il matrimonio di Rossella con Carlo. Anche Ashley è partito per quella guerra fratricida. Rossella amava quella città, che “era un misto di vecchio e di nuovo, in cui il vecchio veniva frequentemente a conflitto col nuovo vigoroso e volitivo, e ne aveva la peggio.” Nel Nord si viveva in un modo spregiudicato e moderno, mentre nel Sud vigevano abitudini inclite e vetuste. Chissà come finirà questo diabolico dissidio fra così divergenti civiltà?! “Il Nord poteva rivolgersi a tutto il mondo per approvvigionamenti e per soldati.”raggranellati in tutta Europa, assunti a suon di maledetti e sporchi dollari. “Il Sud non poteva contare che su se stesso.”

Il Sud era nobile e gridava: “Ce li leveremo dai piedi in un mese! I gentiluomini combattono sempre meglio della plebe. Un mese, macché… una battaglia!” – nella Storia il più povero perde sempre, ma lo si sa solo alla fine chi è dei due antagonisti. E, come diceva, scatenando l’ira generale, quel gaglioffo tutto sommato onesto (intellettualmente) di Rhett Butler “non vi è una fabbrica di cannoni al sud della linea Mason-Dixon…”. Il sud abbonda in cotone, sicumera e spirito eroico, basterà?

Perché il Sud Italia, più ricco del nord, fu sconfitto da un’armata di Mille miserabili capeggiati da un ambiguo avventuriero, un repubblicano che era al servizio di un re mediocre e illetterato? La Storia è un capolavoro di dicotomie. Se fosse composta da coerenze, forse, non ci sarebbero più le guerre.

Una candida donna com’è Melania arriva a dire che preferirebbe vedere morto il suo amato coniuge, piuttosto che vederlo ciondolare in casa, anziché rischiare la vita al fronte. Un evento bellico rende folli i savi e delinquenti gli stupidi. Alla fine tutti quanti, vinti e vincitori, diventeranno più stolti di quel che erano, oltre che più poveri. Intanto, sentendo “il ritmo irregolare di ‘Johnny Booker aiuta i negri!’” – quella scarsa patriota di “Rossella ebbe voglia di urlare. Desiderava ballare. Ne sentiva il bisogno. Guardò il pavimento e batté i piedi in cadenza; i suoi occhi ardevano di una fiamma verde.”

Quando Rhett Butler sa della “morte al campo” di Carlo dice: “… permettete a un estraneo di dirvi che morire per il proprio paese è vivere per sempre…” – parole commoventi, ma Rossella sa bene che egli aveva “fatto un’osservazione gentile, il complimento che qualunque gentiluomo avrebbe fatto in simili circostanze; ma certo senza pensarne neanche una parola”. Butler è come un mago nel saper individuare il momento in cui esibire una parata, così viene detta ad Amalfi l’ipocrita manfrina mirata a far apparire quel che non è, e quando essere, come si dice a Reggio, brót ma s-cètt, brutto ma schietto. Rossella inizia a conoscerlo e anche ad apprezzarlo, talvolta.

Quando Butler le parlò del “sutti indiano”, espressione che né lei né il sottoscritto conoscevano, quell’atroce condanna al rogo della vedova di un uomo il cui cadavere che sta per essere cremato, “arrossì della propria ignoranza. Detestava le persone che adoperavano delle parole che le erano sconosciute.” – io invece sono grato a chi mi sta educando (il dotto Butler, confermato da uncle Tom Wiki), il quale l’ha ben inquadrata e sa quanto è assente in lei lo spirito patriottico e ben più vivace la voglia di godere e divertirsi, essendo così giovane e desiderosa di gioia. Lei però mal sopporta tale disamina e reagisce nervosamente: “‘Siete detestabile’ – disse ella smarrita, abbassando gli occhi.”

Quando lui ode un tronfio oratore pronunciare con enfasi le sue elucubrazioni retoriche, non riesce a non dire: “Com’è vanitoso quel capretto, non è vero?” – al che Rossella resta “sbalordita e inorridita per questa mancanza di rispetto verso il più amato cittadino di Atlanta.” – ma anche lei, dentro di sé, lo vede come “una capra, con la barbetta grigia che si agitava ad ogni parola; per cui ella represse a stento una risata.” – quando un uomo incontra una donna e la fa ridere, questa è una donna che gli cadrà ai piedi, per poi rialzarsi, appena càpita. Lui sa come provocarla: “In occasione del nostro primo fausto incontro avevo supposto di avere finalmente trovato una ragazza che fosse non soltanto bella, ma anche coraggiosa. Ora vedo che siete soltanto bella.” Lui non lesina affatto qualsiasi argomento che posso farlo definire quel gaglioffo che non ha vergogna di essere, uno che approfitta della guerra per fare soldi, vendendo al Sud merci acquistate nel Nord (rischiando ogni volta la vita, però). Lei dentro di sé lo ammira, anche se non manca mai di attaccarlo: “Avete un modo detestabile di far sembrare stupida ogni virtù.” – rivelandone ogni volta il fondamento ipocrita.

Lei però ammette di non aver mai dato peso al giudizio delle “altre donne”. E questo fa si che Butler gli faccia i complimenti: “Brava! Ora cominciate a pensare con la vostra testa, invece di lasciare che gli altri pensino per voi. Questo è il principio della saggezza.” Intanto i due ballano fra loro appassionatamente, recando scandalo nel paesino. “La mattina dopo”, c’è sempre una mattina dopo un evento scandaloso, Rossella confida a Melania: “Sono stufa di rimanere in casa e non voglio rimanervi più. Se ieri si è sparlato di me, la mia reputazione è già rovinata; e allora non m’importa nulla di ciò che potranno dire ancora.” Rossella è una giovane donna arguta e intelligente, ma non dotata di ampia cultura: una che a sentir parlare dei Borgia, scoprendo che erano italiani, liquida l’argomento dicendo: “Stranieri.” Per quanto attiene le Termopili, non ha idea di che si stia parlando: “… cercò di ricordarsi che cosa volesse dire quella parola, ma non vi riuscì.” Legge di nascosto le lettere che Ashley ha spedito alla moglie, senza coglierne l’idealistico significato. A lei interessa soltanto sapere chi lui ami, ma quello sciocco non parla mai di quell’argomento, ma sa ciarlare solo di quella guerra che è stupida, infame, destinata a rovinare mezzo paese, a condurre, come già disse Butler, alla sconfitta del Sud.

“Rhett ebbe l’aria infastidita…”avendo sentito qualcuno ciarlare di eroismo e di patria. E, senza aver letto, immagino, Das Kapital, sa dire: “… checché dicano gli oratori agli idioti che vanno a farsi ammazzare, qualunque sia il nobile scopo che assegnano alla guerra, la ragione di questa è sempre una sola: il denaro.” – il resto, come scriveva Karletto, è solo brodaglia sovrastrutturale. Lo strutturalista che sonnecchia in me non la pensa così: molto conta anche la follia individuale, la brama di essere un superuomo, nonché la paura dell’Altro.

“La coscienza di Rossella si scosse mentre ella cercava di ricordare che cosa aveva scritto Ashley; ma la maggior parte di ciò che aveva letto le era uscita di mente. Quindi credeva che Melania avesse smarrito il cervello.” – che invece aveva inteso i ragionamenti dell’amato.

Alcuni esempi delle tipiche antifrasi di Rhett:

“Venale? No, sono soltanto lungimirante. Può darsi che questo sia semplicemente sinonimo di venale. Almeno così dice chi non è previdente”.

“A guerra finita sarò ricco, perché sono stato previdente… pardon, venale.”

“… i momenti buoni per guadagnare sono due: quando si costruisce un paese e quando lo si distrugge.”: e le antifrasi celano ogni volta delle assurde verità.

Egli comunica a Rossella uno dei suoi scopi attuali: “tentarvi con bei regali finché avrò distrutto i vostri ideali fanciulleschi e sarete alla mia mercé.” – una deflorazione psicologica, insomma.

Ignoro se l’ami, quando le dice: “Siete così bambina, Rossella, che mi sento stringere il cuore…”.

Intanto quei patrioti “attendevano la morte non la sconfitta.” tót i cajòun a gh’an la só pasiòun, ognuno ha la passione che si merita.

Dice ancora l’arguto magister vitae di Rossella: “… Le guerre vi sono state sempre perché gli uomini amano la guerra. Le donne no, ma gli uomini… sì, più di quanto non amino le donne.”

Avrei tanto da aggiungere e da estrapolare. Mi limito ad avvisare che Rossella è certa che Ashley, tornato a casa per un breve licenza, finisca per amarla. E che, per Melania, Rhett è davvero una gran brava persona: “Come siete buono!” – gli dice e anche: “Come fanno a dire tanto male di voi?”

Lo sapremo forse, nella Parte Terza, che si sta, con la lentezza tipica dei confederatati, appropinquando. Rhett Butler, era e sarà per sempre un uomo “fornito con i suoi soliti complimenti a doppio taglio…” – egli rappresenta l’unica certezza nel tuo racconto, Margaret, uno dei più ben scritti che abbia mai letto e non letto come merita, credo. “Mentre essi ripiegavano sulla vallata, un esercito di profughi ripiegava verso di loro: piantatori e indiani crackers, ricchi e poveri, bianchi e negri, donne e bambini, vecchi, moribondi, paralitici, feriti, donne incinte affollavano la strada che conduceva ad Atlanta sui treni, a piedi, a cavallo, in carrozze, carretti, furgoni, su cui si accatastavano  bauli e masserizie.” – e in quella congerie d’anime e cose, ricordati, lettore dell’altrui lettore, che la prossima volta potresti esserci tu, e io e i nostri cari e amati beni. E i nemici “avanzavano, senza tregua, come un serpente mostruoso che si snodava, colpiva velenosamente, ritraeva le sue spire ferite, ma colpiva di nuovo.” – uno dei tanti artigli di cui si serve il destino.

“Il cloroformio era così scarso che lo si adoperava soltanto per le amputazioni più gravi e l’oppio era una cosa preziosa che serviva ad alleviare le pene dei moribondi, non quelle dei viventi.” –  frase che desta in me un macabro sorriso. Con la sua solita, più che sferzante ironia, Rhett dice a una scoglionata (mi si perdoni il termine, che calza a pennello) Rossella: “Traditrice della nostra gloriosa Causa!”, al che lei replica da par suo: “Lo zoppo dà dello cionco allo sciancato! Aiutatemi. Non mi importa dove state andando. Ora dovete condurmi a fare una passeggiata.” – più cogente di qualsiasi atto vanamente etico ed eroico. Dopo la consueta provocazione, Rhett “accennò a un sogghigno, vedendo con la coda dell’occhio il seno di lei che ansimava di collera silenziosa.” – immagine magnifica che mostra come la donna sappia incavolarsi anche con la parte più morbida e materna di cui dispone.

Orrore su orrore: “Ecco quello che intendeva dire Ashley quando scriveva che la guerra non era che sudiciume e miseria.” – anche allorché è un’aulente necessità. Mentre assiste ai feriti, Rossella non manca di “versare acqua sui suoi spasimanti moribondi”, che fino a pochi giorni prima “le avevano fatta la corte e vedendola cercavano di sorridere.”. Solita profusione d’amore, di passione, di liquida e appassionata kam’a. Dice Rhett: “No, non vi amo. Ma mi piacete moltissimo, per l’elasticità della vostra coscienza, per l’egoismo che raramente vi curate di nascondere e per l’astuzia che dovete avere ereditato, temo, da qualche contadino irlandese, vostro avo non troppo remoto.” –  perché siete funzionale al mio ego perverso.

C’è un fatto che non interessa a quel ribaldo: sposarla: “Non vi ho già detto che sono uno di quelli che non si sposano?” – che non si posano da nessuna parte, sempre liberi di svolazzare dove lo porta il cuore e quant’altro gli penda: “… faccio un complimento alla vostra intelligenza chiedendovi di essere la mia amante senza avermi prima sedotto.” – diversamente sarebbe troppo facile, fin troppo onesto, per ‘sto Rhett. Egli apprezza la risposta immediata (non mediata da alcunché) di lei: “La vostra amante! E che cosa ci guadagnerei, se non qualche marmocchio!”

E lui: “… Siete la sola donna sincera che conosco, la sola che guarda il lato pratico delle cose, senza andare a scomodare il peccato e la morte…” – l’unica non banalmente religiosa, né re-ligans, che tiene avvinto, né re-ligens, che obblighi a scegliere, contentando entrambe le ipotesi etimologiche. Anche a lei quel Rhett non piace più di quel che serve: un non-amore reciproco.

Questo pensa quando decide di tornare a Tara: “Lo odiava, ma era un uomo forte e non aveva paura degli Yankees.” Il quale “percorse il viale col passo elastico di un selvaggio, ma col capo eretto come un principe pagano.” – entrambe le funzioni venivano ogni tanto utili. La offende, dicendole che la vede impaurita, mentre lui, a quanto pare, bada a ben altro che a tremare: “I pericoli della notte agivano su lui come qualcosa di inebriante.” – Lei dice di non avere paura, mentendo; esattamente come lui. Iniziano il loro cammino. arrivano a un certo punto, abbastanza vicino a Tara: in quel punto, Rhett se ne va, lasciandola sola con una negra di nome Prissy, il piccolo Wade, Melania e il suo neonato, dandole qualche consiglio, un cavallo, e dicendole che l’ama in quanto le somiglia: tutto quello che le serve per affrontare l’ultimo pezzo di strada. Altri impegni lo attendono. Ma prima la bacia: “Carlo non l’aveva mai baciata così.”

Via col vento - Clark Gable
Via col vento – Clark Gable

A Tara troverà la tomba della madre, un padre quasi del tutto svanito, due sorelle malmesse per il tifo, una serie infinita di disastri umani ed economici, che lei affronta da signora, da padrona: “Ormai era una donna e l’adolescenza era finita.”: tót à fîn!  “Non poteva abbandonare Tara; apparteneva a quella terra rossa come essa apparteneva a lei.” Un concetto che un giorno le servirà: “Domani… domani… La parola si agitava nel suo cervello come il battito di un orologio, sempre più lentamente; ma la chiarezza della visione persisteva.” Dice una vecchia: “È la prima volta che sento dire che uno yankee si è comportato come si deve.” – in quanto non aveva bruciato la casa di Tara, per rispetto alle due sorelle di Rossella ammalate. Per gli yankee tutto il Sud ormai è la loro casa, dove possono anche decidere, una tantum, d’essere magnanimi. Yankee go home è un’espressione che ormai ha cessato di aver senso. “La vecchia signora sembrava si rammaricasse di dovere riconoscere un sentimento umano negli invasori.” – fino a ieri, forse, credeva che mangiassero pane e bambini. Un consiglio da parte della nonna di Rossella: “Cerca che ti rimanga sempre qualcosa di cui temere… e cerca che ti rimanga qualcosa da amare…”; Dio: “vuole che le donne siano creature timide”. Per questo, si dice creò in un primo tempo gli uomini, riservando a un momento successivo la sua vera, sensazionale scoperta.

“Mammy e Prissy gettarono alte grida all’idea di lavorare nei campi. Ripetettero che erano negri domestici, non contadini.”il mansionismo è un valore che a volte diventa una disgrazia.

“Gli yankees brucerebbero tutto… tutto!” – e credo che sia qui corretto riportare l’antico pensiero che ogni barbaro è stato greco e viceversa, e questo vale per yankee, confederati, vietcong, latini, nazisti, nazareni, palestinesi, fascisti, etiopi, turchi, armeni, curdi, siriani, iracheni, iraniani, cinesi, russi, ceceni e ucraini, eccetera: tutti umani, e non chi più chi meno: tutte vittime e tutti assassini, a seconda del periodo storico. Lo stesso vale per i colori della pelle: bianco, giallo, rosa, rosso, nero.

“I negri erano irritanti qualche volta; stupidi e indolenti; ma la loro fedeltà era impagabile e anche la loro dedizione ai padroni bianchi, che li spingeva ad arrischiare la vita per procurare dei vivere per la loro tavola.” – a rubacchiare quel che si può, se non si è capito.

Ho iniziato a leggere il tuo capolavoro, Margaret (stavo per scrivere Rossella) consigliato da un amico che era stato a sua volta spinto dalla lettura di un saggio di Piero Dorfles: I cento libri che rendono più ricca la nostra vita. Così il celebre critico inizia il capitolo dedicato a Via col vento: “Poche righe per parlare di uno dei più voluminosi polpettoni sentimentali che siano mai stati scritti”. A parte che io amo i polpettoni ripieni, l’accezione riferita a un’opera letteraria è infamante. E qui mi verrebbe di alzarmi e di strepitare: Mi oppongo, Vostro Signore! Ma mi scoccia. Forse dirò alla fine quello che penso della reazione dorflesiana, se avrò ancora energia per farlo. Nella sua infinita bontà Dorfles definisce Ashley uno “che non combina niente nella vita”. A parte esistere, ben inteso. E pensare ed essere sincero. Bél ma s-cètt! Brutto ma schietto, dicono a Reggio per indicare chi non ha pelli sulla lingua, uno come Rhett Butler, per capirci. Ashley invece è grazioso ma sempre in lotta per trattenere la verità, che per ogni tanto le sfugge, come a pagina 539: “… ciò che è dinanzi a noi è peggio della guerra, peggio della prigione… e per me è peggio della morte… Sono punito perché ho paura.” – per il dramma di vivere in questo mondo violento.

Rhett simula di non averne, e riesce nel suo intento. Ashley invece non ce la fa, parendo quello che è: una vittima del destino collettivo. Egli, pur avendo ucciso in guerra, ha sempre avuto paura e se ne vergogna. Ognuno di noi è un vile, un coraggioso, un mentitore, una persona leale, a seconda della vicissitudine che si sta vivendo. Ashley è la persona a cui più sento di assomigliare, quello che mi manca è la sua bontà e il suo idealismo. E anche la sua bellezza, ma di ciò me ne infischio.

Davanti alle situazioni di pericolo, Rossella “non si affrettava più a pregare Dio perché la perdonasse; Dio non le faceva più paura.” – occhio però che, dietro il celebre angolo, si cela la Parte quarta.

Ora che il mondo è in mano a quei voraci e “negrofili” yankee, una nuova nube si addensa sopra Tara: l’incubo di una tassa governativa che Rossella sa di non poter pagare. Si reca ora con Mammy ad Atlanta in cerca dell’infido Messia Rhett Butler, l’unico che potrebbe aiutarla, o così crede lei. E Mammy mi fa sorridere quando urla a un birocciaio: “Tu, negro, sapere chi noi essere?” – dei (quasi ex) signori, perché, come talvolta, anzi, sempre capita: panta rei!

“I lunghi mesi di aspro lavoro a Tara le avevano reso le mani ruvide, sicché non erano presentabili. Beh, non c’era da fare altro che prendere il piccolo manicotto di lontra di zia Pitty: l’ultima pennellata di vera eleganza.”Rossella è una snob che si adatta a tutto, anche a lavorare nei campi e a guidare un carretto. È una caratteriale che sa dosare la dose della propria intemperanza. Un bel soggetto da film verrebbe da dire. Il secondo soggetto che vedrei bene in una pellicola è Rhett Butler, che per me è e resterà sempre Clark Gable, col suo sorriso trasversalmente ironico.

Rossella andò a trovarlo mentre era in prigione accusato di omicidio di un negro (di cui è effettivamente l’assassino) ed “egli l’afferrò per le spalle, esclamando: ‘La mia cara sorellina!’ e le sorrise come se volesse prenderla in giro per il fatto che non poteva ribellarsi alla sua carezza. Ella non poté fare a meno di ridere a sua volta, che insolente! Il carcere non l’aveva punto mutato.” Lei non è lì per carità cristiana ma perché cerca una sovvenzione. Ma lui le dice, mentendo, che non può aiutarla. Lei, un po’ adirata, se ne esce sbattendo la porta, lasciandolo in prigione ad ammuffire. Tanto, una come lei, qualcosa saprà trovare, per esempio un arricchito di nome Franco Kennedy, già pretendente di Sùsele, la sorella di Rossella, il quale, a questo punto, diventa la nuova preda di quest’ultima che, in quattro e quattr’otto, decide di maritarsi, senza che quel povero cristo quasi manco se ne accorga, a cui ha raccontato una menzogna dopo l’altra a carico di Sùsele, che rimane a questo punto fuori dal gioco/giogo matrimoniale. Se Rossella scorge che dei negri ridono di lei mentre la vedono passare, pensa che “le sarebbe piaciuto farli frustare a sangue. Erano dei veri demoni gli yankees: liberare coloro, permettere che si burlassero dei bianchi!” Anche la rude Mammy non è tenera con chi, per chissà quale destino infame, ha un colore della pelle simile al suo, per cui protesta con toni vivaci quando scopre che la sua padroncina è stata “sola in giro per questa città piena di miserabili negri liberati.” Alla fine, “Rossella sposò Franco Kennedy due settimane più tardi, dopo un corteggiamento vorticoso, che – ella gli disse arrossendo – le aveva tolto ogni possibilità di porre indugio al suo ardore.”

Frankie “prima di rendersene conto, si trovò ammogliato.” – Auguri! Quando Frankie si accorge che la ragazza è più intelligente di quel che credeva, ci rimane male, indignandosi non poco “per la duplicità delle donne, a cui si aggiungeva la delusione che ogni uomo prova quando scopre che una donna ha un cervello.” Un’altra cosa accomuna me a lui: Rossella “ricordava che del pollo gli piaceva il ventriglio…” – anche a me, anche se a Rèş, è al magòun lés in dàl brôd!

Mentre Frankie gusta tale prelibatezze, la mogliettina incontra un Butler testé uscito di prigione, grazie al provvidenziale intervento di un potente ricattabile, che le dice l’ennesima verità eterna: “È l’influenza che conta, Rossella, ricordatevelo quando sarete arrestata. Innocenza e reità sono semplici questioni accademiche.” Egli dà poi del povero Ashley una definizione che non sarà spiaciuta a Dorfles: “È una razza puramente decorativa. Ora lisciatevi le penne arruffate e non badate alle mie osservazioni sul conto del fiero e onorevole Ashley.” Rhett non pare affatto geloso per il secondo matrimonio della vispa e intraprendente ragazzetta. Giudica dell’amato (e altrui) bene, dice che assai lo diverte: la “vostra lotta interiore quando una questione di principio è posta contro una cosa tanto pratica quanto il denaro. In voi la praticità ha sempre la vittoria…” – ma sarà sempre così?, si chiede… Rossella ammette che non pensa ad altro che al denaro, in quanto esso serve a realizzare in parte i sogni:Ho scoperto che il denaro è la cosa più importante del mondo e Dio mi è testimone che non vorrò mai più esserne priva.” – se esso non da la felicità, figuriamoci la miseria…

Dice poi, la candida Rossella: “Me ne infischio, della reputazione!” Continua a disprezzare, sempre di più, i negri: “È gente che lavora un paio di giorni e poi si riposa finché ha speso quello che ha guadagnato.” – degli ex schiavi, ora aspiranti gaudenti, difesi da un’organizzazione rigidamente ambientalista: “l’Ufficio Emancipazione”, sempre pronto a intervenire qualora si osi maltrattarli.

A Franco “mancava completamente l’aggressività resa necessaria dai nuovi tempi. Invece lei ne era dotata e intendeva servirsene piacesse o non piacesse a suo marito.”

Un nuovo classismo: “Migliaia di negri domestici – la casta più alta tra gli schiavi – erano rimasti coi loro padroni bianchi, e si dedicavano a lavori manuali che una volta che in altri tempi avevano considerato indegni di loro…”e poco oltre, Margaret, vai giù pesante, quando giudichi i neri alleati dei nordisti, “improvvisamente elevati a posti importanti”, come delle “scimmie o bambini posti fra tesori che erano al di là della loro comprensione”, finendo per esercitare la loro violenza ai danni di talune ricchezze degli antichi padroni.

“Bambini negri abbandonati correvano per le strade come animali spaventati, finché qualche bianco di buon cuore non li raccoglieva nella sua cucina per allevarli…” – etc etc… Una distopia che dura tuttora, sia pure in altri, pur ameni, luoghi dell’emisfero. Sembra quasi che ti rallegri, Margaret, e che al contempo soffra di quel che vai narrando, che non hai di certo visto, per motivi anagrafici, ma che qualche avo ti avrà di certo raccontato. Lascio al tuo prossimo lettore la gioia e la pena di leggere queste orride pagine.

La gente continuava a pensare male di Rossella, che osava essere imprenditrice, e male del coniuge che glielo consentiva: “un marito inetto a mantenerla.” Le dice Rhett: “… il fatto che voi abbiate fatto prosperare il vostro piccolo stabilimento è un insulto per tutti gli uomini che non sono riusciti a far nulla.”mentre gli ex schiavi finivano spesso per ubriacarsi, i loro ex padroni non avevano a volte abbastanza denaro per imitarli.

Il tuo, Margaret, è uno dei primi e uno tra i maggiori romanzi femministi della storia. Non so se Dorfles se ne sia accorto. A entrambi vorrei dire la mia sul perché giudico le donne necessariamente più intelligenti degli uomini. Lo dissi una volta a un pacioso palermitano e a una catanisi con le corna tisi. All’aquila non serve granché l’intelligenza, perché le basta una vista acuta, con cui può avvedersi di un lontano battito d’ala di una sua futura preda. Le basta una taliata, uno sguardo, e un volo giù a capofitto, e ha fatto giornata. Una gallina, invece, per natura, è più dotata di cervello: razzolando nell’aia, scorge un quid semi sepolto nel terriccio, lo estrae, lo mette in bocca, lo giudica, poi lo getta o lo ingoia a seconda del caso. Prosegue, ne vede un altro, per cui compie le medesime operazioni e poi magari torna indietro a un oggetto precedente, che aveva dapprima scartato, lo riesamina ancora giudica, scegliendo, finalmente. Una gallina e una donna raccoglitrice passano la vita a fare questo: esaminare e giudicare, a individuare quello che è più adatto alle loro esigenze. L’aquila e l’uomo sono più frettolosi e a loro basta che il loro amato bene respiri. L ē brót ma l ē acsé: l’allegoria fa schifo ma rende l’idea.

La novità esistenziale di Rossella è che i suoi tempi di reazione e di scelta sono più rapidi di chiunque, quasi di chiunque: al momento, solo Rhett può batterla. Se giocassero a bigliardino in coppia sarebbero imbattibili: meglio Rossella in difesa e Rhett all’attacco. Ma anche viceversa, ogni tanto, per confondere le idee agli avversari.

Rossella, “sapendo di dover vedere Ashley fra un’ora, vi pensava molto. Si sentiva assai turbata di dovergli apparire dinanzi portando in seno il figlio di un altro.” – un complesso mica da ridere.    Un certo Alex le dice: “… devo prima chiedervi la vostra opinione su una faccenda. Ormai vi considero come il capo di casa.” – di due case, una ad Atlanta e l’altra a Tara. L’unico rivale a Tara, è Will, l’ex milite inserviente, ora futuro cognato, che sposerà Sùsele, in quanto la sua prima innamorata, la dolce Carolene, la più piccola delle sorelle O’ Hara, morto il povero papà, ha deciso di prendere i voti.

La nonna di Rossella fotografa Ashley: “bisognoso di aiuto come una tartaruga coricata sul dorso”, uno che è “nato per leggere dei libri e nient’altro” – come del resto Dorfles e il sottoscritto. La vegliarda poi fotografa la nostra eroina: “… sei scaltra per quel che riguarda dollari e centesimi. Questa è una scaltrezza maschile. Non hai abilità nel giudicare le persone.”

L’istinto materno di Rossella fa acqua da tutte le parti, non vedendo l’ora di perderle: “Se questo bimbo si sbrigasse a venire al mondo!” – dice fra sé e sé. La bimba nasce quando è ora, ma è un po’ bruttina: “un esserino calvo, brutto come uno scimmiotto pelato, e assurdamente somigliante a Franco.” Colgo nei miei sparuti appunti il modo tipico di sorridere, di sghignazzare cioè, di Rhett: “egli gettò indietro la testa e rise clamorosamente facendola arrossire di mortificazione.”

In breve, Rossella, passando per un quartiere malfamato, viene assalita da due miserabili, un bianco e un nero, e si salva grazie a un suo gigantesco ex schiavo e, giunta a casa, denuncia l’accaduto. Il povero marito e il non meno incapace Ashley partecipa, insieme ad altri stimati soci del “Klan” a una spedizione punitiva, il primo lasciandoci le penne e il secondo rimanendo ferito, sia pure in maniera superficiale. I due assalitori vengono uccisi. La polizia interviene per arrestare i colpevoli ma, grazie alle bugie combinate di Rhett e di una mezzana d’altro brodo di Atlanta, gli adepti del “Ku Klux Klan vengono tutti scagionati e al contempo diffamati, in quanto presunti frequentatori del bordello: “inferociti per l’obbligo di gratitudine verso Rhett Butler, uno speculatore e un rinnegato: la più nota meretrice e l’uomo più odiato della città. E bisognava essere riconoscenti a loro!” – contenti però d’averla scampata!

“I suoi occhi brillavano beffardi…” – Rhett è il loro proprietario. Un uomo di cultura, che sa dire: “tutte le acque dell’oceano non detergeranno queste mie mani…” – dotta citazione che manca sia a Rossella che a me, e anche uncle Sam Google fa fatica a reperirla, pur ipotizzando un Macbeth

Margaret Mitchell - Photo by New Goergia Encyclopedia
Margaret Mitchell – Photo by New Goergia Encyclopedia

Dice a Rossella il drastico Rhett: “… eravate nata per tiranneggiare chi ve l’avesse consentito. I forti sono fatti per essere tiranni e i deboli per piegarsi.” Rhett le fa una proposta oscena: sposarla, ma “ella apparteneva ad Ashley, da sempre e per sempre…”. Lui le dice: “Vi è mai capitato, fra i romanzi che leggete…” – al che, lei risponde che non legge roba del genere (e in questo si differenzia da Dorfles e da me). Intanto la poverella aveva spiccicato un pur affranto “sì”. Lo avrebbe sposato, però lui avrebbe dovuto portarle da un suo viaggio in Inghilterra: “… un anello di brillanti, Rhett… molto grosso!”. Così fu, era: “così grosso che Rossella si sentiva imbarazzato a metterlo.” Ad Atlanta, “Rossella e Rhett avevano oltraggiato tutti i dettami di questo codice.”quello che intendeva mantenere le vecchie regole, sprezzando il carattere entropico del cosmo.

I due arguti piccioncini si sposarono e vissero per sempre felici e contenti. Ma no, aspettiamo ancora un paio di centinaia di pagine e… si vedrà! Tu, Margaret, grande inventrice di eventi, non rifuggi, come il tuo amato Rhett, le citazioni celebri: “Ci rivedremo a Filippi” – di plutarchiana memoria. Cioè ci recheremo nella Parte quinta, l’ultima. I rapporti fra i due epicurei-cinici non sono male. Rhett le disse che lei mangiava “sempre come se ogni pasto fosse l’ultimo” – e, poiché lui la minacciò di divorziare se s’ingrassava “come le donne cubane”, “ella gli mostrò la lingua e ordinò un altro giorno pieno di cioccolato e rivestito di meringa.”: un tranquillo e sempre acceso menage matrimoniale. Butler talvolta usa un verbo a lui congeniale: “… io m’infischio di quello che dice la gente.”. Si fanno la loro casetta, seguendo (come capita anche oggi, in Italia) le direttive guida sorte nel di lei muliebre cervello, tanto che le “sembrava che la sua fosse la casa più bella e più elegante che si potesse vedere; ma Rhett sosteneva che era un incubo. Comunque, se ciò la rendeva felice, egli ne era ben lieto.” – pareva “la vera casa di un profittatore”, al che lei “gli tirava scherzosamente un’orecchia”quasi fosse del tipo a sventola come quelle di Clark Gable. “Rhett non deviò mai dal suo modo di fare imperturbabile, anche nei momenti di maggiore intimità…” – e lei si sentiva osservata e sempre un po’ giudicata. Non bisogna scordare che, mentre veleggiava sui suoi 28 anni, lui era già sui 45.

“Egli le leggeva nel pensiero in modo sconcertante e la derideva sgarbatamente.” Un rapporto dialettico sconcertante: “Ella sapeva che Rhett non l’amava.” – e lui le disse una volta: “Ti ho sposato per averti come un giocattolo.”

L’imprenditrice della segheria di legnami, Rossella O’ Har,a va ora confrontando le rese del suo Ashley con quelle di Johnnie Gallagher, più avvezzo a schiavizzare i detenuti lavoratori, a cui lesina il cibo ma non le frustate, per cui rimbrotta l’amato, che lei ha assunto solo al fine di averlo appresso. Ma non c’è niente da fare, Ashley resterà per sempre un buono nell’animo e un cronico incapace (a tutto tranne che a leggere, ricordate?). Sempre carino, però. Nonché un malinconico che rimembra amaramente che i bei tempi sono per sempre passati: “Gli antichi tempi non erano eccitanti, ma in essi c’erano un fascino, una bellezza, uno splendore lento e tranquillo”: ideale per chi insegue il richiamo delle muse, più che delle gonnelle.

“Rossella vide che i suoi occhi erano grigi, di un grigio argenteo come il chiaro di luna su un’acqua tranquilla. La bellezza del pomeriggio di aprile era scomparsa anche dal suo cuore e la triste dolcezza dei ricordi era amara come il fiele”. Tutto questo ha il solito nome: entropia cosmica, che pare inevitabile, a quanto si dice.

Rhett la mette incinta. Nasce una femminuccia che così tanto assomiglia a entrambi: Diletta.

Il fenomeno entropico non sembra riguardare Rhett: “Per la prima volta in vita sua aveva trovato qualcuno più forte di lei, qualcuno che non poteva tiranneggiare né spezzare, qualcuno che la tiranneggiava e la spezzava.” – anche sua madre la comandava, ma senza farle mai del male.

Ashley e lei vengono sorpresi in un casto abbraccio, che viene frainteso da alcune persone malevoli. Dopo un fatalmente eroico amplesso con un Rhett più brillo che mai, lei si sentiva, miracolosamente, “nervosa come una sposina”. Rhett però ora esce di casa, tornando solo quando gli pare giusto, ma poi sparisce di nuovo per tre mesi, portando con sé la piccola Diletta. Lei intanto fa vita casalinga, anche perché è di nuovo incinta. E qui l’entropia inizia ad accelerare. Succede di tutto, ma poco o nulla mi va di ricordare. Troppo tragico e meschino è quel bestiale Destino che, come una bieca Sora Camilla, tutti inseguono e poi finiscono per sposare suo cugggino (con tre g, a volte quattro: cuggggino; e ogni g è un guaio grande quant’è il mondo). Si libera un posto: quello di coniuge di Ashley. Che però Rossella non desidera più, in ossequio al teorema di Denis De Rougemont, così com’è sancito in L’amore e l’occidente. Chi non lo conosce legga quel libro, non sono affari miei, ma della sua ignoranza e di ciò, io, francamente, me ne infischio.

Ora Rossella sa chi ama veramente e che quel mediocre era un’illusione infantile e nulla più.

Quel che unisce lei e Rhett è il ricordo di una creatura che è apparsa sulla faccia della terra con un’unica missione: assomigliare a entrambi i genitori, per poi fare una fine non dissimile a quella del nonno materno. Quell’evento, che mi secca ricordare nei particolari, è servito per rovinare (per sempre?) il rapporto fra i due coniugi, per, chissà, forse, un giorno costruirne uno nuovo. Solo leggendo il romanzo Rossella, scritto da Alexandra Ripley, lo si può sapere, oppure basta scorrere la trama offerta dal solito, encomiabile e negro uncle Tom Wiki. Cosa che ho fatto e che forse m’impedirà di perdere ulteriore tempo. È la mia ultima parola? Chissà chi lo sa! Al momento me ne infischio.

Quel film di 239 minuti non coincide che in parte con questa fiumana di parole. Qui l’unico che dice, mentendo, d’infischiarsene sono io. Una frase di Rhett dà l’idea di quel che intendo: “… sono troppo vecchio per credere in questi sentimentalismi e per ricominciare…”. Egli appare stanco, demotivato, eppure ancora dinamico. Ancora innamorato? Lo fu mai? Io non ho dubbi a riguardo.

Lei è ora, finalmente, una donna consapevole, che riesce a convivere con una tremenda considerazione: “Non aveva compreso nessuno degli uomini che aveva amato; e li aveva perduti entrambi.” Quello che più di tutti era entrato nel suo corpo e nella sua anima, ora stava sgusciando via, ma chissà, se un giorno…

“Rossella lo guardò mentre saliva le scale ed ebbe l’impressione che il dolore la soffocasse.” L’ultima frase di lei sarà abbastanza rispettata da quel regista, che fu anche stuntman, e che diresse il film perché qualcun altro se n’era scappato via, forse impaurito. Non tutti se la sentono di diventare immortali, né di affrontare l’ennesima guerra. Amen e così sia!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Margaret Mitchell, Via col vento, Mondadori, 1971

 

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