“Pitagora e il pitagorismo” di Nuccio D’Anna: il riformatore dell’antico patrimonio misterico-religioso della Grecia

“Il pitagorismo si presenta come un ‘riadattamento’ delle loro essenziali motivazioni teo-cosmogoniche in una prospettiva etica nella quale l’esperienza del divino non è più quella degli estatici vaganti o degli asceti solitari appartenenti a un passato ormai irripetibile.” – Nuccio D’Anna

Pitagora e il pitagorismo
Pitagora e il pitagorismo di Nuccio D’Anna

Pitagora e il pitagorismo” di Nuccio D’Anna edito nel 2022 da Edizioni Arkeios (gruppo editoriale Edizioni Mediterranee) è un saggio sul celebre filosofo e matematico greco Pitagora nato nell’isola di Samo tra il 580 a. C. ed il 570 a. C. e deceduto a Metaponto (nell’odierna Basilicata) nel 495 a. C. Il volume apre con una Premessa dello stesso autore, seguono nove capitoli (Pitagora fra Samo, Crotone e Metaponto; Forme, archetipi e principi primi; Un “Uomo divino”; Concentrazione, meditazione e contemplazione; L’ordine cosmico; Numeri, pitagorismo ed eufonia; Il movimento pitagorico a Roma; La “basilica” di Porta Maggiore a Roma; Raffaello, La Scuola di Atene e i simboli pitagorici) ed una ricchissima ed interessante Bibliografia.

Nella Premessa Nuccio D’Anna esplora il fiorente VI secolo a.C. che dà avvio ad una serie di cenacoli filosofici i cui esponenti oltre al riordinamento di aspetti della religiosità ellenica, hanno presenziato alla riformulazione di molte leggi cittadine. Parmenide, nato ad Elea (Velia in epoca romana) in un periodo compreso tra il 515 a.C./510 a.C. ed il 544 a.C./541 a.C., è il primo ad essere citato dall’autore come fondatore dell’ontologia. Filosofo dell’essere statico ed immutabile fondò una scuola assieme al discepolo Zenone; indicato come un tecnico delle guarigioni, medico e guida ancora legato agli antichi misteri.

Segue Eraclito, nato ad Efeso nel 535 a. C. caratterizzato da uno stile di vita solitario estatico, estraneo alla polis ed all’impegno cittadino. Chiamato l’Oscuro per il suo tagliente ed ermetico sistema filosofico che gira attorno al Fuoco, Eraclito ha lasciato dure critiche nei confronti di Pitagora definendolo un “inventore di raggiri” (tradotto anche con “principe degli ingannatori”) forse per il connubio tra la cultura misterica e l’astrazione intellettuale che raggiungeva l’apice con la dottrina dei numeri.

Diogene Laerzio nel libro IX del suo “Vite dei filosofi” così racconta: “Fu altero quanto altri mai e guardava tutti con fiero disprezzo, come è chiaro anche dalla sua opera in cui dice: ‘L’erudizione non insegna ad avere intelligenza; altrimenti l’avrebbe insegnata ad Esiodo e a Pitagora ed inoltre a Senofane e ad Ecateo. Perché in una sola cosa consiste la sapienza, nell’intendere la ragione, che governa tutto il mondo dappertutto’.”[1] Nel libro VIII, invece, troviamo “Pitagora, figlio di Mensarco, superò di gran lunga tutti gli uomini nell’esercizio della ricerca. E si fece una scelta di questi scritti da cui derivò la sua sapienza che così risultava varia erudizione e brutto artificio.”

Nuccio D'Anna
Nuccio D’Anna

Nuccio D’Anna procede in modo molto ordinato nell’esporre Pitagora come uno dei filosofi che ha modificato il modo di pensare dell’Ellade, lo descrive partendo dalla fisionomia del corpo ed dell’abituale vestiario all’orientale, racconta di un uomo “perennemente lieto, benevolo e mite, sconosceva totalmente la collera, la rivalsa e gli impulsi non controllati” che decise di lasciare l’isola in cui era nato per insediarsi nell’area geografica della Magna Grecia per creare un vero e proprio movimento che, con il tempo, divenne fiorente e formante. D’Anna si sofferma sui maggiori esponenti del movimento e racconta con trasporto della tragedia della distruzione del centro di Crotone databile tra il 459 e il 454.

Ci è stato tramandato un Pitagora allievo di Zarata (= Zarathustra) il celebre profeta iranico; si narra (ed anche Eraclito lo sottolinea malgrado l’astio) di come avesse assimilato la grande sapienza di popoli quali Fenici, Egizi e Caldei; che sapesse abbracciare tutti i campi dello scibile; che avesse conservato e riformato l’antico patrimonio misterico-religioso della Grecia (compreso l’orfismo) eliminando gli elementi divinatori-visionari per un metodo ascetico basato sull’equilibrio dell’anima.

“Secondo la tradizione, Pitagora non scrisse nulla. Giamblico ricorda che la sua dottrina veniva proposta ai discepoli come un corpus di origine sovrannaturale al quale aderire con la volontà di interiorizzarne il contenuto. Assumeva perciò i lineamenti di una sacra rivelazione tesa a non interpretare logicamente il mondo, ma a dare gli strumenti per una liberazione dell’affiliato dai condizionamenti e dai legami che la condizione umana porta necessariamente con sé. Le stesse teorie matematiche, geometriche, astronomiche e musicali, secondo tale prospettiva, possono essere ricondotte a una modalità esplicativa dell’armonia cosmica, fatta da chi di quell’armonia ha penetrato gli arcana.” – Nuccio D’Anna

I due capitoli finali del saggio (La “basilica” di Porta Maggiore a Roma; Raffaello, La Scuola di Atene e i simboli pitagorici) trattano Pitagora dal punto di vista della fortuna trasmessa grazie all’arte. La basilica di Porta Maggiore è una costruzione sotterranea ritrovata il 23 aprile del 1917 databile al I secolo d.C., un luogo occulto ed occultato nel quale, illuminato da candelabri, si celebrava la discesa nell’Ade di Pitagora e la sua ascensione celeste. Il capitolo è provvisto di alcune immagini e lo studioso D’Anna descrive minuziosamente l’itinerario mistico tanto da riuscire a trasportare il lettore in questo edificio che rappresenta un unicum straordinario.

Scuola di Atene - Painting by Raffaello Sanzio
Scuola di Atene – Painting by Raffaello Sanzio

Doveroso il plauso per l’esposizione riguardante il celebre affresco del pittore Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, situato nella Stanza della Segnatura dei Palazzi Apostolici.

“In basso, nel lato sinistro dell’affresco di Raffaello, attorniato da una piccola cerchia di discepoli che sembra dipendere totalmente dalle sue spiegazioni, si trova l’immagine di un Pitagora barbuto. È abbigliato con una tunica bianca, seduto su un piedistallo o un semplice gradino, intento a scorrere un improbabile librone – forse una allusione al simbolismo del Liber Mundi dato che, com’è ampiamente noto, Pitagora non ha lasciato nulla di scritto. L’indice della sua mano destra sembra essersi fissato su un preciso punto della pagina squadernata davanti ai suoi occhi. Accanto a Pitagora, intento a illustrare le proprie teorie, accovacciato e vicinissimo si sporge anche Telauge, l’adepto considerato unanimemente uno dei figli del Fondatore del movimento e lo scopritore dello zero nell’antica numerazione.” – Nuccio D’Anna

 

Written by Alessia Mocci

 

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Note

[1] Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, a cura di Marcello Gigante, volume primo e secondo, Laterza, 1976.

 

 

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