“La vita a piedi. Una pratica della felicità” di David Le Breton: antidoto alla sedentarietà della vita moderna

“Camminare fa stare con i piedi per terra” – David Le Breton

La vita a piedi. Una pratica della felicità di David Le Breton
La vita a piedi. Una pratica della felicità di David Le Breton

All’interno delle più recenti pubblicazioni concernenti il camminare, La vita a piedi. Una pratica della felicità di David Le Breton si presenta come un volumetto bello, educativo e al tempo stesso profondo.

Ringrazio la casa editrice Raffaello Cortina per aver reso disponibile in italiano, all’inizio di quest’estate, questo agevole saggio, edito in lingua francese nel 2020 con il titolo Marcher la vie. Un art tranquille du bonheur.

Il libro, costituito dai poco meno di duecentoventi pagine, è organizzato in tredici capitoli, seguiti da accurata a dettagliata bibliografia.

Le Breton, sociologo e antropologo, docente all’Università di Strasburgo, ha già trattato il tema del camminare in altri lavori.

Lo stesso motivo è del resto al centro di un interesse molto ampio e diffuso, molto popolare anche come antidoto alla sedentarietà che caratterizza la vita moderna.

L’intento filosofico del testo, dal punto di vista della pratica di vita, risalta evidentemente da titolo e sottotitolo e in tal senso un plauso va alla traduttrice, Paola Merlin Baratter, per non averli stravolti.

Camminare rende felici: è questa l’idea di fondo.

La felicità, però, implica presenza e aderenza alla realtà, in quanto è attività. Tutte quelle forme di movimento svolte in palestra, su un tapis roulant, davanti a uno dispositivo, con gli auricolari sono occasioni in cui “Il corpo viene trasportato, non ci trasporta più [….] “Lo stesso sforzo fisico è considerato un dovere per la salute e la forma, ma non porta più a nulla”.

Andare a piedi, invece, non è un dovere, nella misura in cui viene riscoperto “il proprio corpo sotto una luce diversa: molti dei mali dovuti alla mancanza di esercizio fisico scompaiono nel corso delle ore o dei giorni”.

L’andare restituisce una diversa consapevolezza del tempo, lo rende smisurato, e restituisce importanza non tanto alla mèta, quanto al percorso, alla lentezza del tragitto.

Camminare è il verbo del contrassegno: “Il verbo francese marcher, ‘camminare’ deriva dal francone marquer, ‘marciare, contrassegnare’. Un cammino è una memoria incisa sul suolo, racchiude le tracce degli innumerevoli uomini e donne, o degli animali, che hanno offerto ciascuno un contributo infinitesimale al suo radicamento”.

Passeggiare dunque costruisce un orientamento, un segno, anche su un piano etimologico, aspetto a cui ripetutamente l’autore conferisce attenzione anche mediante confronti tra diverse lingue.

Certo, incedere a piedi può avere i suoi inconvenienti: il peso dello zaino, la scarsa igiene nei luoghi dove si dorme, i cani incontrati, i malintenzionati.

E tuttavia è un’attività in grado di donare piacevoli evasioni: chi marcia si affida solo al proprio corpo, misero baluardo contro i pericoli circostanti, eppure unico elemento che lo difende: “Il camminatore abita il mondo che lo circonda, immerso nei grandi spazi, consegnato a se stesso, alla propria libertà, privato di tutte le comodità ma anche di tutto quello che appesantisce la sua esistenza”.

Al contempo solo poggiando il piede a terra l’uomo percepisce la vita dei paesaggi: “Il mondo non è inerte respira a proprio modo, osserva, ode, sente, si risveglia al passaggio dei viandanti. In questa forma di animismo, il compito degli esseri umani è vivere con armonia con l’ambiente senza sconvolgerne l’ordine”.

Talora può essere preferibile andare da soli, talora in compagnia: in ogni caso si possono fare esperienze di libertà e socialità.

David Le Breton
David Le Breton

Camminare può essere un modo attraverso cui i giovani in crisi possono recuperare se stessi e il controllo sulla realtà: e su questo l’autore fornisce a supporto anche esempi concreti.

Si tratta di una pratica fortemente terapeutica, in grado di guarire perché consente di allontanarsi da un problema, anche solo momentaneamente, e poi tornare a guardarlo con occhi diversi.

Si configura quindi di un’attività di evasione, ma anche di ritorno concreto sul sé, in modo nuovo. Non è un miracolo, ma un processo: “Lungo o corto, il cammino è un percorso di guarigione, di riconciliazione con il mondo”.

Il cammino è un’attività desiderata, realizzata e, alla fine, raccontata: essa crea dipendenza come tutte le belle imprese, per cui vale la pena vivere e darsi da fare.

Si raccontano le belle storie e le belle imprese, si raccontano i viaggi, da quelli degli eroi, a quelli delle persone comuni. Camminare è un percorso che ne suscita un altro: il desiderio che ve ne sia ricordo, attraverso quel percorso di parole chiamato storia.

Ogni cammino evoca una narrazione e ogni narrazione suscita la brama di un nuovo cammino e di un nuovo racconto!

Buon cammino!

Ad maiora!

 

Written by Filomena Gagliardi

 

Bibliografia

David Le Breton, La vita a piedi. Una pratica della felicità, Raffaello Cortina Editore, duecentodiciotto pagine, 14 euro

 

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