“La rosa, la cosa, l’anarchia del verso” di Antonietta Fragnito: l’equilibrio fra fragilità e bellezza
“La vita in fondo è un tappeto di petali/ Su un viottolo imponderabile” – Antonietta Fragnito

Ci sono libri che colpiscono anche per aspetti grafici: e nell’“anche” è implicito che gli altri aspetti, quelli contenutistici e stilistici, siano dati come presupposto di base.
Tra i libri attraversati da tutti i meriti sopra proposti, non posso non citare la pregevolissima silloge poetica La rosa, la cosa, l’anarchia del verso di Antonietta Fragnito edita da Tomarchio Editore nel 2022.
Già di per sé il titolo è di grande impatto: ma su questo tornerò. Stiamo alle componenti estetiche: concediamoci qualcosa di insolito! La copertina, bianca con scritte nere, risalta per una rosa rossa, simbolo di passione di fronte alla sobrietà delle altre note cromatiche.
Questa armonia tra evidenza e discrezione permane anche nell’interno del libro, dove l’occhio è piacevolmente accolto da un carattere di scrittura di alta leggibilità, deciso e definito, non stancante, nonché da un uso intelligente dell’interlinea a seconda della singola circostanza. Tale duttilità, non standardizzata ma di taglio artigianale, è un aspetto da non tralasciare nei tempi in cui viviamo, sempre più meccanizzati e programmati con freddo calcolo.
All’interno ci sono le poesie, poco meno di ottanta, precedute da un’appassionata e appassionante prefazione dell’autrice, seguite da biografia della stessa, ringraziamenti e dediche. Il tutto si dipana in quasi cento pagine.
Il titolo pone rilievo al carattere composito della raccolta, varia e variegata nei temi e nei versi: se ne capisce il senso a posteriori dopo la lettura dei testi e soprattutto se la prefazione viene letta, come effetti si dovrebbe fare, alla fine.
Così ho fatto e questa scelta mi ha conferito un piacere aggiuntivo a quello del piacere della lettura tout-court, ovvero quello del riconoscimento di aver “indovinato” almeno alcune intenzioni dell’autrice.
Il titolo, che già funzionerebbe anche sotto l’aspetto del significante, del suo aspetto sonoro, trova un ulteriore elemento di efficacia nell’essere stato un punto di arrivo e non di partenza da parte dell’autrice, come una conquista, una meta cognitiva raggiunta dalla poetessa post rem. Nella prefazione emerge del resto che per la gestazione della raccolta siano state necessarie doti come flessibilità e la predisposizione al cambiamento in corso d’opera.
Cuore pulsante della poesia di Antonietta è la ricerca di un equilibrio fra “fragilità e bellezza” di cui la rosa “è emblema”; tale binomio vive nella realtà, nella “cosa”, per l’appunto, ovvero nella materia di cui siamo fatti (“la terra”, “la creta originaria”, scrive la poetessa); si tratta di una ricerca non predeterminata, ma spontanea, libera, arcana, indecifrabile da fuori, quindi senza regole, anarchica nell’accezione più nobile del termine.
Intendo questa anarchia (in greco “assenza di potere”) come una forma di libertà, che consente all’autrice di spaziare da un tema all’altro con agilità e leggerezza, senza mai scadere nella superficialità.
Solo ciò che non ha una predeterminazione, infatti, è così profondo da spingersi verso il recupero delle radici, ovvero degli affetti: figure maschili, femminili, paterne, materne verso cui ci spinge la nostalgia: “Ho steso un fazzoletto di te sull’erba/ Ti ho perduto in una tazza di terra/ Ora le margherite ti allacciano le scarpe” (A mio padre). Questi versi esprimono un concreto affetto e mi hanno fatto pensare agli epigrammi greci, soprattutto gli epitaffi, destinati ad essere letti dai passanti, affinché si generi un dialogo con il defunto: momento tanto occasionale, quanto unico di concreto compianto; così il “Fare il pane” mette in comunicazione con la figura della madre (Il pane), ovvero con l’origine della vita; analogamente si legge in un’altra lirica: “Penso alla tua sapienza/ All’impasto del pane/ Ai biscotti […] Al tuo crescere i bambini come cuccioli/ senza carezze/ Se no vengono male […] Alla tua terza classe/ io penso/ mamma” (E ti penso).

Antonietta ci porta tra le strade dei suoi luoghi, sinceri e genuini, del Beneventano: “Fra i ciottoli delle mie strade senza lustrini/ mi sono adagiata” (Centro storico); ci conduce con energica philia, al contatto integrale con la Natura, con i suoi esseri più piccoli e più veri: “Commuovermi/ per la coccinella col cappotto a pois/ Sentirmi erba impregnata di attesa/ Bacio degli armenti/ Fermento di passi tra una luna di formaggio/ e una tenebra candita” (Commuovermi). Questi ultimi versi sono un condensato di realismo (si veda la metafora del cappotto a pois) e di lirismo (si veda il senso dell’attesa).
In tutto ciò si muove la poesia, una ricerca difficile della parola (La parola), un vizio (Il vizio di scrivere), una tensione verso altri poeti (Alla maniera di Wislawa), talora un errore addirittura: “Si pentono i versi/ di rime bisbigliate” (Si pentono i versi).
La poesia, però, è anche immediata ricchezza: “La pagina bianca si empie di scrittura” (Pagine).
In conclusione tali componimenti, tra immagini forti e tocchi di delicata nostalgia, ci accompagnano piacevolmente in tutti quei momenti in cui abbiamo voglia di un giro di giostra al parco, vertiginoso e scanzonato, forte e arioso.
Ad maiora Antonietta, buona scrittura al tuo cuore anarchico e profondo!
Written by Filomena Gagliardi
Bibliografia
Antonietta Fragnito, La rosa, la cosa, l’anarchia del verso, Tomarchio Editore, Piedimonte Etneo, 2022
Info
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