“Listen to me Marlon” di Stevan Riley: il lato oscuro di un grande attore
Per chi, come me, ha sempre avuto un’ammirazione sconfinata per Marlon Brando come attore, subendo anche la fascinazione per la persona imprevedibile e dal carattere complesso e problematico, il bellissimo documentario del 2015 Listen to me Marlon di Stevan Riley è assolutamente imperdibile.
In Italia fu proiettato al Festival dei Popoli di Firenze nel novembre del 2015, avendo poi la limitatissima circolazione cui sembrano destinati i documentari; è comunque facilmente reperibile su piattaforme come Amazon o Showtime, oltre che in DVD.
Il film si basa su centinaia di ore di registrazioni audio realizzate dall’attore nell’ultima parte della sua vita, incluse sedute di psicoanalisi e di autoipnosi: evidentemente materiale conservato gelosamente e con cura da un uomo che ha sempre dato l’impressione di non attribuire alcuna importanza a ciò che aveva fatto nella sua vita, a parte forse i suoi figli e l’isola di Tetiaroa, in Polinesia, da lui acquistata nel 1965 dopo avervi girato Gli ammutinati del Bounty.
Più che un semplice archivio, questi nastri appaiono – ed è questa la cosa più affascinante e struggente – come una strenua ricerca della propria identità e delle radici del proprio malessere esistenziale, che in Brando ha spesso sconfinato nell’autodistruttività.
Partendo da queste registrazioni, il film ripercorre la vita e la carriera dell’attore anche tramite interviste, filmati d’archivio e spezzoni dei suoi film più celebri, mettendo in luce contraddizioni e irrisolutezze dell’uomo-Brando.
Nato a Omaha, in Nebraska, nell’America profonda, con una madre alcoolizzata ma «fantasiosa e creativa», che gli trasmise «il senso dell’assurdo» e gli insegnò «l’amore per la natura e un senso di vicinanza con gli animali».
Il padre, a sua volta con problemi di alcool, un commesso viaggiatore che «misurava tutto col denaro e non riusciva a capire come quel buono a nulla di suo figlio» avesse potuto «fare più soldi in sei mesi di lui in dieci anni».
Una persona dura e rissosa, nella descrizione del figlio: «Se devo recitare in una scena dove devo arrabbiarmi, ci dev’essere dentro di me una specie di grilletto caricato a molla, pieno di disprezzo verso qualcosa. Io ripenso a mio padre che picchiava mia madre. Avevo 14 anni».
Poi il trasferimento a New York, l’incontro e l’incoraggiamento di Stella Adler («Non avevo mai fatto niente nella vita per cui qualcuno mi avesse detto che ero portato. Lei mi mise le mani sulle spalle e disse: “Non aver paura, ragazzo mio, io ti ho visto, e il mondo sentirà parlare di te”»).
Il resto è storia, con luci e ombre, fino agli ultimi decenni segnati da isolamento, autoreclusione e disastri di famiglia, a partire dall’omicidio di Dag Drollet – fidanzato della figlia Cheyenne – ad opera del primogenito Christian nel 1990 e, cinque anni dopo, il suicidio della stessa Cheyenne.
Magnificamente strutturato, il documentario ripercorre la biografia e la carriera di Brando – inclusi i suoi tumultuosi rapporti con le donne e l’impegno civile a supporto dei neri e dei nativi americani – ma lo fa in un certo senso dall’intimo punto di vista dell’attore stesso, rivelato dalle registrazioni accumulate negli anni.
E nell’inizio del film – con il monologo dal V atto del Macbeth shakespeariano recitato da Brando – è in un certo senso già contenuto l’epilogo:
“Domani, e domani, e domani
striscia a piccoli passi, di giorno in giorno,
fino all’ultima sillaba del tempo previsto;
e tutti i nostri ieri hanno illuminato a dei folli
la via verso la polverosa morte.
Spegniti, spegniti, corta candela!
La vita non è altro che un’ombra che cammina,
un povero attore che si agita e si pavoneggia un’ora sulla scena
e poi è dimenticato. È il racconto
narrato da un idiota, pieno di strepito e furia,
che non significa nulla.”
«Quando quel che sei da bambino non è desiderato, non è benvenuto, allora ti metti alla ricerca di un’identità che sia accettabile. Così, avevo una vasta gamma di rappresentazioni in me»: chissà non siano state proprio le mai sanate ferite esistenziali dell’uomo le radici dello straordinario carisma dell’attore.
Written by Sandro Naglia