“Icaro” di Antonio Martone: fuggire dal cosmo è ricongiungersi a esso

La silloge Icaro è composta da tre racconti, di cui i primi due sono simmetrici e il terzo va per conto suo. Reagisco per iscritto, come solo talvolta mi capita, alla fine del libro. Avrei potuto già farlo a pagina 20, quando lessi: “Nel corso degli anni, sono andato sempre più convincendomi che il progetto politico dominante dell’umanità sia stato quello di costruire mura capaci di isolare gli uni dagli altri. Mura che dividono stanze…” – ciò che separa, unisce: “… comunicazione continua. Solo che questa deve avvenire esattamente come vuole il sistema…”.

Icaro di Antonio Martone
Icaro di Antonio Martone

I racconti di Antonio Martone non agiscono né pro né contro il sistema, ma si pongono come luoghi dove permane l’individualità come punto di forza, oltre che come problema.

L’uomo è un essere isolato connesso agli altri: tra Eros e Civiltà, tra libertà e brama di catene, da cui sempre fugge per sentirsi vivo e ancora speranzoso, almeno fino alla prossima crisi.

I tre racconti sono narrati da un io turbato dalla vita, ma mai disposto a cedere alla sconfitta. I primi due, dal punto di vista psicologico, sono gemelli monozigoti. La terza protagonista è loro sorella, gemella di se stessa.

Il primo s’intitola La caduta delle maschere. “… il tempo non aveva mai aspettato il mio consenso per passare…” – poiché questo accade sempre, si finisce normalmente per immolargli l’unico capro espiatorio che si ha sempre a disposizione: se stessi. Chi rifiuta di farlo, mantenendosi in vita, è colui che non crede nelle religioni (di nessun tipo, compresa quella connessa al matrimonio), ma che a volte non sa o non vuole opporsi, perché destina ad altro le proprie energie, svegliandosi a volte dal torpore: “Un giorno mi voltai indietro e compresi d’avere alle spalle già diversi anni di vita in comune con mia moglie.” Ci si sposa per formare una famiglia, in cui magari ci si possa riprodurre. Ma non sempre è così: “Neppure desideravo che qualcuno con il mio naso mi sopravvivesse. No, dopo la mia morte, volevo che nulla di me rimanesse in questo mondo.” Egli è consapevole che qualcosa in lui “disprezza la vita”, che è “incapace di trovare un senso qualsiasi all’esistenza…”, e si affida, ormai confuso, a una specie di “pilota automatico” che finisce per indirizzarlo chissà dove.

La sfortuna è sua compagna fedele, per cui la prima puttana che incontra “parlava davvero troppo e a peggiorare la situazione c’era che le cose che diceva erano sensate.” – e pertanto non rappresentava un’offerta d’indipendenza, tutt’altro: “… non era per sesso che ero tornato dall’accompagnatrice. Cazzo, non era per sesso. A quanto pare non mi bastavano i miei problemi e ne volevo aggiungere altri…”

Maddalena, la puttana (come lei stessa si definisce), forse non crede in Dio, ma ne ha bisogno, è una che “vorrebbe consegnare la sua libertà frantumata e stanca nella mani di una qualunque certezza.” – una, basta che sia.

“Per me, lei era il contrario delle mie costrizioni quotidiane: era uno spazio aperto.” – in cui vagare libero; mentre “mia moglie aveva sempre gli occhi aperti ma cercava il chiuso” – il contrario esatto di quello che desiderava la donna con cui ora stava, finalmente disteso!, nel letto comune. La moglie tendeva “ad isolare, razionalizzare. La persona sofferente che mi stava accanto, invece, non era capace di isolare nulla.”

Come dicono dalle mie parti (in una delle tante mie), ‘n tiempo ‘e tempesta, ogni pertuso è puorto. Si crede di scegliere l’approdo, quando invece è il contrario: è lui che ti esige. “Se avessi visto quella fessura umida che ora contemplavo ammaliato in un qualsiasi altro posto mi avrebbe dato soltanto disgusto. In mezzo a quelle cosce, invece, era la stessa fessura ad offrirmi l’unica prova possibile dell’esistenza di Dio.”

Un pensiero comune a tutti quelli che si pongono la questione: “credo di essere una persona che ha in sé qualcosa di profondamente sbagliato; qualcosa che rifiuta la vita e le sue leggi.” Il che non è possibile, e si confonde la propria coscienza con la propria indipendenza: “… oltre queste figure a me familiari, v’era soltanto lo spazio vuoto o deserto…” – che invita alla fuga: “anche quando il sole sarà spento, il movimento dell’universo sarà ancora sempre vivo.”

Due sono le tendenze del cosmo: la gravitazione universale, che ti porterà alla singolarità di un buco nero, e la fuga della materia da sé, che la condurrà all’entropia, agli effetti del secondo principio della termodinamica, al disordine assoluto. Davanti a tale tragica alternativa, ci si sente come dei granelli di polvere, privati da ogni possibilità di scelta. “La mia coscienza coincideva con la mia vita – in fondo che cos’era la mia vita se non la coscienza di essere vivo? – ma questa era soltanto un’illusione.”

Resta insoluta, almeno per me, la questione che Hilary Putnam si pose in Ragione, verità e storia: quanta certezza ho che il mondo esterno esista fuori dalla mia vasca mentale? Nell’attesa di una risposta che non verrà mai, si può restare immersi, barricandosi nel proprio bagno, da soli o con l’anima che più ti assomiglia o che meno ti pare estranea: “Avevamo chiuso fuori l’esterno. O almeno questo pensavamo.”

Il tempo è un’illusione, garantiva Einstein, ma poi lo collegò allo spazio, come sua quarta dimensione. Il fisico Julian Barbour scrisse The end of time, in cui parve comprovare la medesima teoria. Il suo allievo Carlo Rovelli, a distanza di anni, continua in questa lotta estrema contro la necessità dello spazio-tempo. Il tempo continua a non esistere, mentre lo spazio è ridotto a un grumo che pulsa ininterrottamente. “Quel tempo non aveva alcun bisogno di essere giustificato. Nessun futuro era chiamato a dargli un compimento finale.” – cessava di significare non appena trascorso.

Prima o poi l’energia termina e occorre rincasare: “… di colpo, la realtà si riappropriò di noi, ricadendoci addosso con tutta a sua forza materiale. Sapevo che, sotto le sembianze della realtà, era la morte che ci stava riprendendo…”

Il nostro io narrante si propone “di non rivedere più Maddalena.” – la quale vede perdere ogni speranza di dare un senso a sé stessa: le “era stato praticato un trattamento sanitario obbligatorio molto robusto che l’aveva ridotta senza più emozioni significative.”

Nel frattempo alla moglie era andata peggio, oppure meglio, nessuno lo sa: era volata altrove, forse per caso, o per necessità. Chi lo saprà mai?  

Ormai solo, l’io narrante si creaun account con un nickname assurdo, ossia ‘atomo divisibile’. Chissà come mi è venuta in mente questa scemenza di nome!” – in un cosmo dove vige un’arcana armonia degli opposti, gli ossimori sono la nostra più disperata speranza.

Morta una stella, se ne cerca un’altra che possa donarti il calore. Se non c’è, la si ricerca nella propria memoria: era una ragazzina che si chiamava Sonia.

“Certo, eravamo diversi: lei allegra, espansiva, spontanea. Io, impacciato, stretto nelle catene di un’interiorità che non faceva altro che censurarmi. Eppure, il contatto fra di noi, in virtù di non so quale alchimia, era fortissimo.” – fortissimo come il ricordo che rimane di lei.

“Quell’anno, non ne ero consapevole allora, ma come lo so bene adesso, fui ospite di un tempo estatico. Un tempo fuori dal tempo. Era quello il regno della possibilità che non chiede ragioni.” – in cui tutto ciò che appare, appare per quello che è: gratuito“Il tempo della poesia, così come quello di Eros, è condensato in un punto ben circoscritto e, proprio per questo, densissimo.”

“Quando si è felici, c’è un’identificazione perfetta fra noi e il mondo. La felicità cancella le distanze: il corpo si espande così come il nostro animo e non è un caso che vorremmo abbracciare chiunque. Accade il contrario nell’esperienza del dolore: se la felicità è sole che dilata, il dolore è freddo che restringe.” – ma il sole cos’è, se non una stella nana e bianca, che prima o poi svanirà, o che diventerà parte di una singolarità che annichilisce? Di buono il dolore ha che ti spinge a fuggire via, verso una novella chimera.

“Un uomo ferito ha soltanto due maniere di reagire. Cerca di rialzarsi da terra con le forze residue di cui dispone. La seconda è invece la mia: si asseconda la caduta e non si ha più nessuna speranza, né desiderio di rimettersi in piedi.”

Si può sempre cambiare idea, si può aspirare alla migliore delle sorti: “dirigere il tempo, gestire le innumerevoli maschere necessarie alla vita di un uomo: che follia è mai questa!” Oppure si può cedere al più triste inganno promesso dai mezzi di comunicazione di massa, che ti donano la maschera che ti permette di atteggiarti a quel che non sei, che non sei mai stato né sarai.

“Ho scritto queste pagine perché mi piacerebbe che qualcosa della mia vita rimanesse” e “pur essendo consapevole della vacuità ridicola di un gesto simile, neppure io – l’ho già detto – posso identificarmi totalmente col nulla.” – coraggio, siamo in tanti, come te, in attesa di quel prodigio.   

Antonio Martone
Antonio Martone

Il secondo racconto è: Il morso della modella. L’incontro con Lilith è tanto causale quanto premeditato. Che strano nome per una ragazza. Era il nome di un demone femminile che infuriava sulla vita di chi aveva adocchiato, sconvolgendola, e condannando la sua vittima a morte certa.

“Lilith era una persona semplice. Io ero invece un intellettuale. Lei serviva ai tavoli ma io studiavo, diciamo così, la filosofia del diritto. Lei aveva impulsi emotivi abbastanza scontati, io ero invece attraversato da emozioni pensanti ad un livello che lei…” – lei era una donna pratica e frenetica, lui un uomo teorico e irrisolto. 

“Io la lasciavo fare: accettavo il ruolo entro cui lei mi stava spingendo: dovevo essere il padrone e lei il servo: non avevo capito allora il potere immenso contenuto nella figura del servo.” – forse non aveva meditato con sufficiente attenzione la lezione su Hegel.

Grazie al suo intervento isolante, “nel breve volgere di qualche mese, la mia intera rete di relazioni fu quasi del tutto cancellata e mai ebbi la possibilità di farmi nuovi amici.”

Quello che stava accadendo era ormai quasi inevitabile: “Lilith mi stava facendo fare esattamente ciò che voleva lei” – tanto che, a un certo punto, gli sembrava “una necessità assoluta”, una conditio sine qua non, senza di lei non era più possibile esistere.

“Lilith aveva fatto di me il centro della sua vita, e ciò non mi faceva vedere con la giusta chiarezza che lei era diventata il centro della mia.” – due esseri concentrici. Lei era però il cerchio la cui circonferenza racchiudeva l’altro.

“… mi aveva inesorabilmente passivizzato. Aveva inglobato in sé qualsiasi altra realtà le orbitasse intorno. Insomma, Lilith aveva la forza di spostare l’asse del mondo verso di lei.” Era il ragno “impegnata giorno e notte nella costruzione d’una enorme ragnatela che occupava tutta la casa. Quella ragnatela era la nostra relazione…” – e che quotidianamente lo mordeva con familiare dolcezza.

In un periodo di autonomia insperato, dovuto a uno stage che doveva svolgere all’estero, l’io narrante ha una relazione con una studentessa universitaria, cessandola solo al ritorno di Lilith.“… le confessai di avere avuto una relazione…”, dando “per scontato che lei avrebbe capito la mia situazione, apprezzato la mia sincerità e, nonostante tutto, il mio desiderio di rimanere con lei.”

Tutto precipita. Il ragno ha scelto di divorare il dittero caduto nella ragnatela. Come unica ipotesi esistenziale, ora a quell’insetto resta soltanto la fuga.

“Doveva farmi del male. Doveva lasciarmi nell’illusione che si potesse ancora fare qualcosa ma quel qualcosa non si doveva fare: in tal modo, il salto nel nulla per me sarebbe stato totale e senza ancoraggi possibili.” – la dolorosa dicotomia fra ciò che è e ciò che potrebbe essere. Ma non qui, altrove, in un’altra vita ormai.

“Lilith aveva fatto in modo da riempire totalmente il vuoto della mia vita. Mi ero abituato a lei: senza di lei il vuoto riemergeva più vasto e angosciante di quanto non fosse mai stato prima. Ora la storia era finita, dovevo rimettermi in gioco, ma il vuoto…” – lo attirava chissà dove, non permettendogli di controllare la navigazione. Aveva perso ogni “contatto con il mondo.”

A un amico quell’io desolato dice che non ama i buchi: “non si sa dove conducono e neppure chi possa esservi nascosto dentro. E poi sono stretti e non c’è luce.” L’amico gli risponde che “è grazie a un buco che siamo nati” e che “è sempre un buco che cerchiamo per tutta la vita” e che la vita stessa “è di chi riesce a vedere buchi, cunicoli e scappatoie laddove tutti scorgono pareti invalicabili.” – occorre però avere la consapevolezza di quale sia la fine che si vuole agguantare: una momentanea salvezza oppure un’eterna rovina?

“Dopo la storia con Lilith, avevo deciso, qualcosa in me aveva deciso, di non affidarmi ad alcun essere umano: andare con molte donne, per me, significava non sentirmi emotivamente coinvolto, poter dunque controllare gli eventi con la giusta freddezza per decidere senza debolezze.” – era come uno zompettare di buco in buco convinto di possedere un residuo di quel fantasma che si chiama libertà. 

“… mi sono messo a scrivere. Per giorni non ho fatto altro che questo. Volevo rendere gli anni con Lilith un oggetto concreto, nell’illusione che…” – una vale l’altra, scegliete quella che volete. Oppure cercare di rinvenire “una ragione o un senso qualsiasi…”, che “potesse farmi vedere fino a che punto, in seguito agli anni con lei, fossi diventato l’uomo che sono.”

Sente che il fato ormai è “inevitabile: ogni realtà vivente è chiamata da forze inflessibili ad autodistruggersi. E così pure ogni amore s’inabisserà nel nulla…” – ma chi se ne importa, se non si scorgono alternative!

“Imparare a vivere il vuoto, per quanto impossibile sia, è l’unica sapienza che valga la pena d’apprendere…” – lo nego: il vuoto è altrettanto illusorio quanto il pieno. Se ti do un pugno tu stramazzi a terra, grazie all’interazione elettromagnetica che permette al vuoto che comprende la mia mano a interagire con quello che rende illusoriamente solido il tuo mento. Il nucleo dell’atomo è come un pallone che è posto al centro di un campo di calcio: i primi elettroni stanno svolazzando in tribuna; i più lontani sono nella casa di Dio! Eppure ogni mio gesto può recarti dolore o gioia e questo è innegabile.

 “L’uomo è l’unica creatura che giudica sé stesso. L’uomo è un Dio che si condanna e si assolve. Quando si condanna non sbaglia meno di quando si assolve.” – è l’unico dio che valga la pena di bestemmiare, nonché di benedire, se questo può servire ad accettare la propria sorte.

Estasi e follia è il terzo irregolare, irrimediabile e irrefrenabile racconto. Chi scrive è un io narrante donna, titolare di “un’invalidità al settanta per cento. Secondo i sapienti che hanno preso in mano la mia vita, sarei affetta da sindrome bipolare di tipo uno, conclamata da ‘episodi psicotici mistico-magici’.”

Quel che non si comprende viene definito irrazionale, folle, anche qualora lo si tocchi con mano. “… sentivo che quella massa di carne ostacolava il mio rapporto con l’universo e, in alcuni momenti, avrei voluto strapparmela e veder apparire le ossa per poi trovare un modo di liberarmi anche di quelle” – e di tutto quello che poteva impedire la sua fuga verso il non so dove.

Due uomini hanno un peso nella sua vita: uno è il marito e l’altro è Giacomo, che non si sa se e quanto esista, forse sì, esiste, in quel nulla che si agita, rumoreggia e che si suole definire social.

“Noi siamo fatti per vedere la realtà soltanto ad una determinata distanza. Se vedessimo le cose da una distanza diversa, magari molto ingrandita o rimpicciolita, perderemmo la nostra fiducia e confidenza col mondo e la vita diventerebbe impossibile.” – il monitor offre una possibilità, l’unica, talora, accessibile.

La vita di questo io narrante è un continuo alternarsi di ricoveri e di dimissioni, perché “tutto passa e, a quanto pare, anche i tempi dell’inferno hanno una scadenza: giunse il giorno in cui uscii.”

Nulla è mai uguale a quel che fu: si fatica a riconoscere quel che ieri era abituale e tutto ormai pare assurdamente estraneo. “Nelle lontananze inaccessibili della notte, c’era un universo pieno di vuoto e senza fine. Luce, buio, materia e corpi: un eterno movimento attivo da sempre e che, pur cambiando incessantemente, sarebbe rimasto tale per l’eternità. Mi persi in questi pensieri, traendone nuova forza vitale.” – è difficile rinvenire in una persona sana di mente tanta saggezza.     

La morte di Socrate - Jacques-Louis David
La morte di Socrate – Jacques-Louis David

Cosa significa essere se stessi? Il filosofo che ricevette dall’oracolo l’insegnamento che il primo compito era di conoscersi (Socrate) fu condannato a morte, ma tuttora è venerato come una delle persone più coscienti di sé della storia, lui che diceva di sapere di non sapere chi fosse.

“Ora, a sentir loro, evidentemente, non ero me stessa. Sentite quanto è assurda questa posizione? Io sarei diventata me stessa soltanto se mi fossi trasformata in quello che volevano loro.”la normalità stabilisce le norme, appunto, le regole a cui occorre sottostare per non essere individuati come le eccezioni di un sistema che tanto saggio non è.

Non è schizofrenico il fatto che esista un ideale di libertà che mai si concilierà con quello di imporre le regole? Che si predichi la democrazia e il rispetto del prossimo e si permetta all’un per cento della popolazione mondiale di gestire la metà della ricchezza globale?  

“Dopo qualche istante, mi accorsi che le onde si propagavano sotto la mia pelle. Era davvero meraviglioso ciò che sentivo” – e cosa c’è di più naturale in un siffatto momento magico, di estraniarsi dal mondo e di sentirsi: “come se fossi seduta sul water del mio bagno”? Nulla è più naturale che urinare a quel punto: “Io avevo gli occhi socchiusi, fissi verso il cielo.”

La meditazione, che tanto bene aveva fatto all’io narrante, non aveva giovato affatto all’insegnante di yoga, che: “mi prese da parte e mi fece delle domande imbarazzate.” 

Gli stessi compagni di corso, dimentichi del fine dell’esercizio di meditazione, “si andavano rivestendo per tornare a casa, non senza lanciarmi un’occhiata di stupore mista a commiserazione: ecco, ecco la pazza che piscia davanti a tutti nel corso di una seduta yoga!” – cosa portava dentro di sé questa marmaglia di pettegoli?

Se qualcuno avesse chiesto spiegazioni, “gli avrei detto allora che il motivo era la volontà di lasciare una parte di me a segnare la terra dove stavo così bene e che stavo cadendo soltanto per paura. Avevo paura, sì, avevo paura d’essere risucchiata all’interno dell’universo.”che è il destino che è riservato a ognuno di noi. “Insieme alla pipì che usciva dal mio corpo, io avevo percepito che anche la mia anima se ne stava andando: stava migrando verso gli immensi spazi interstellari.”

L’angoscia a volte si mischia con la follia. Ma “chi potrebbe rimanere calmo pensando a queste cose?” – l’unica e pur vile arma è quella di non essere consapevoli di tale irreparabile misfatto. Oppure, di accettarlo con animo quieto. Ma pochi ci riescono e anch’essi, se non stanno accorti, una volta scoperti rischiano un TSO.

“La beatitudine di cui ho parlato non l’ho mai vissuta con un altro essere ma l’ho condivisa soltanto col caos” – con quella frattura che si crea nel cervello e che tanto dolore reca agli umani. In cui si precipita senza più avere contezza di ciò che ci circonda: “L’invisibile fa pure parte del mondo, ma se non ci sono i pazzi come me, chi può farsene carico?”

Una soluzione a cui brama l’io narrante: svuotare la propria mente di tutto quello che non gli appartiene: “Soltanto chi non ha niente, soltanto chi non è niente, può sentire l’emozione di essere tutto.” – e se fosse anche questa un’illusione?

Si può anche inseguire l’opposto del nulla: “Io cerco di essere in tutto e di fare spazio al tutto, affinché il cosmo sia in me.” E qui si torna all’ossimoro: il Nulla è circondato dal Tutto, il Tutto è composto dal Nulla. Il Nulla è totalizzante, il Tutto è annichilente.

“Ho visto senza vedere: un’energia vitale, una spirale che risucchia. Che cos’è quella luce che si intravede?”forse è quel quid che scappa e quel quid che ritorna, e il cui tempo è nullo e, insieme, tutto. Lo sai, cara, che c’è chi ha ipotizzato che vi sia un unico fotone che gira a spasso nel mondo, da un’orbita all’altra, in un tempo che non esiste, se non in chi lo osserva, pur senza comprenderlo affatto? E quel tale ha rischiato il Premio Nobel, non un ricovero coatto!

“Se mi chiedete se sono felice in questo momento, vi rispondo di sì perché è ora del crepuscolo e un’altra giornata sta per compiersi. Se mi chiedete se soffro, vi rispondo di sì perché adesso è l’ora del crepuscolo e un’altra giornata sta per finire.” – e solo chi è bipolare come me (chi non lo è scagli il primo Rorschach!) può capirti.

Sai di avere “le mani legate alla rupe” – e questo è il nostro comune problema. Cerchiamo di conviverci, magari sorridendo ogni tanto a chi passa e non ci comprende.

“… non faccio che scrutare l’orizzonte e cercare di indovinare il momento in cui il mostro marino che mi dileggia e mi offende, verrà da me a reclamare il suo orrido pasto…” – e questo è un vano errore, amica mia. C’è di meglio da fare nella vita che attendere che quel miracolo svanisca.

“Rispetto la terra ma ho paura e desiderio di ritornare nel suo grembo.” – così va meglio, cara, alterniamo questi due insani ma necessari sentimenti e non scordiamoceli mai!

“L’illusione dura un attimo, trascorso il quale il senso delle cose e la certezza delle scelte ti sfuggono per non tornare mai più.” quien sabe?, direbbe Tex Willer.  

Dei tre io narranti, quest’ultimo è quello che più mi ha emozionato, riuscendo, almeno per un po’, a convincermi che esista una pur remota possibilità di kam’a, di amore, di amicizia. E di follia, da condividere tutti insieme appassionatamente.

L’opera di Martone non è un manuale della diversità, ma un tentativo filosofico di cogliere la sua essenza, in un mondo che, in mancanza della luce, sarebbe immoto. Se un qualsivoglia essere si muove e pare sfuggire alla nostra ragione, si sappia che quella luce lui la sta inseguendo e al contempo la sta donando a chi, osservandolo, ne stabilisce per sempre l’esistenza: a thing of speed is a joy for ever.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Antonio Martone, Icaro, De Frede Editore, 2022

 

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