Lecce: una cartolina tra passato e presente
Passeggiando per Lecce – la mia città – si scorge in un angolo della stessa una testimonianza del passato, cara al ricordo di leccesi e turisti, riaffiorata come per magia in tutto il suo splendore, in quanto ritenuta da molti sparita per sempre!

Trattasi della Fontana dell’Armonia, incantevole allegoria della gioventù e dell’amore. Il 28 ottobre 1927, per volere del Duce, fu concessa a Lecce l’acqua del Sele, distribuita dall’Acquedotto Pugliese. Il Comune solennizzò l’evento e tramite l’Ente Autonomo dell’Acquedotto Pugliese, inaugurò una monumentale fontana ad opera dello scultore leccese Antonio Mazzotta.
Essa fu costruita in bronzo e pietra di Trani come la vasca ed il nucleo centrale che rappresenta un fascio di canne d’organo con legature in bronzo di cui è costituito pure il gruppo di statue raffiguranti Adamo ed Eva, finemente modellate sovrastanti lo stesso fascio.
L’insieme simboleggia la dolce armonia delle acque, da cui si dissetano i pugliesi e tutt’intorno uno stuolo di colombi stazionano puntualmente in attesa di un poco di becchime e briciole distribuito generosamente da grandi e piccoli, mentre gli zampillii dell’acqua che sgorga cristallina ed argentina allietano con il loro sottofondo musicale i passanti che cercano specie in estate, un po’ di refrigerio.
Si celebrò una grande festa quando nel lontano 1928 fu inaugurata dall’allora Podestà alla presenza di autorità, leccesi e turisti convenuti.
A desiderare fortemente il ripristino della fontana, da tanti anni rimossa dal luogo dove attualmente si può ammirare, fu il Consiglio Comunale del 1989. Essa troneggia frontalmente a Viale Lo Re, essendo collocata sull’ampio spiazzale di Viale Marconi ed a ridosso del maestoso Castello di Carlo V, dove un tempo all’interno della tettoia in stile Liberty si svolgeva il mercato coperto bisettimanale che ho avuto modo di conoscere bene da bambina in compagnia di mio nonno Giuseppe buonanima, luogo d’incontro di quei leccesi che quotidianamente si recavano a fare la spesa ed a commentare i fatti del giorno, puntualmente, con mia grande sorpresa!

L’imponente colonna in pietra che sorregge la statua di Sant’Oronzo nell’omonima piazza raggiunge l’altezza di ben 29 metri ed è collocata proprio nel centro della stessa, esattamente vicino all’Anfiteatro Romano. La sua laboriosa realizzazione iniziò nel 1660 riutilizzando i massi appartenenti alle colonne di marmo cipollino africano che in tempi lontani costeggiavano la via Appia a Brindisi ed i cui lavori furono bloccati, per poi riprendere nel 1681 e concludersi nel 1686.
In alto troneggia la statua in bronzo di Sant’Oronzo, la cui realizzazione si deve solo ed esclusivamente all’ingegno dello scultore ed architetto leccese, Giuseppe Zimbalo. Il santo, rappresentato con la mano benedicente, sembra proteggere dall’alto tutta la città di Lecce e fu eretta come perenne ringraziamento da parte della popolazione per aver allontanato il flagello della peste dalla città. A causa di uno spaventoso incidente incorso durante i festeggiamenti del santo nell’agosto del 1737, ovvero il lancio di un razzo che bruciò la statua irrimediabilmente, venne totalmente rifatta: la nuova effige del Santo Patrono fu fusa in bronzo a Venezia su disegno dello scultore leccese Mauro Manieri e riprese definitivamente il suo posto nel 1739.
A Lecce nel febbraio del 1799 si era diffusa la voce che il Santo era sul punto di abbandonare la città, rifiutandole la sua protezione. Ad alcuni infatti era sembrato di vedere che la statua, collocata in piazza su una colonna, avesse mutato la consueta posizione: una gamba pareva essersi sollevata come nell’atto di chi compie un passo, mentre l’espressione del viso di Sant’Oronzo era diventata rabbuiata. Alla sensazionale notizia del tentativo di fuga del Santo Patrono, a cui i leccesi erano notoriamente molto legati, accorsero numerosi in piazza per constatare lo strano avvenimento. Ed a causa di un tipico fenomeno di suggestione collettiva, dipendente dagli animi esagitati, a tutti sembrò veramente che la sua posizione fosse cambiata. In realtà questa paradossale situazione era stata architettata e divulgata dai burloni aristocratici leccesi per beffare il popolo in un momento particolarmente delicato.
In quei giorni infatti a Lecce, come in tutte le città del Regno, si vivevano momenti di rilevante euforia: da Napoli giungevano le prime notizie della rivoluzione giacobina, della fuga del re Ferdinando di Borbone e della nascita della Repubblica Partenopea. Anche i leccesi perciò al grido di “Viva la Repubblica” e “Viva la libertà”, abbatterono gli stemmi borbonici, fregiandosi di coccarde tricolori ed in piazza fu innalzato l’Albero della libertà.
Ciò logicamente non piacque agli aristocratici ed ai preti i quali appunto diffusero la voce che Sant’Oronzo, rammaricato per i disordini che avvenivano, avesse deciso di abbandonare la città. Il tranello ebbe l’effetto sperato: il popolo, complice una generale suggestione, credendo che Sant’Oronzo volesse vivamente abbandonare Lecce, nella fuga dell’esaltazione abbatté l’Albero della libertà, calpestò coccarde e bandiere e come impazzito, si recò velocemente al Duomo per prendere la statua di Sant’Oronzo ed in processione portarla in piazza per placarne lo sdegno. E solo allora, con immensa gioia naturalmente dei notabili della città, il Santo Patrono riapparve nella sua solita posizione.

Lecce e la sua storia, tra dimensione fantastica ed anima antica, di fatti veramente straordinari che mi appassionano da sempre e saziano la mia sete di sapere!
“Io so che cos’è il tempo”, diceva Sant’Agostino “ma se qualcuno me lo chiede, non glielo so dire”. Da allora, non è mutato niente, ma l’uomo comune non se ne preoccupa perché non gli interessa la natura del tempo, ma poterlo misurare.
La nostra civiltà è fondata proprio su un linguaggio comune per la misurazione del tempo, sulla sua disciplina; un mondo che è stato reso possibile dall’invenzione dell’orologio meccanico, paragonabile soltanto ai caratteri mobili per le conseguenze rivoluzionarie avute sui valori culturali, la rinnovazione tecnologica, l’organizzazione sociale, politica e lo sviluppo della personalità umana.
L’orologio della Banca Commerciale Italiana, l’orologio delle meraviglie per antonomasia, è una vera e propria scultura alta dieci metri, pesante venti quintali e che ha richiesto 1300 giorni di lavoro e nove mesi e 52 fusioni per fonderlo ed è opera dello scultore salentino Francesco Barbieri. Il quadrante, a forma di occhio, è circondato da una cornice di ramo e smalto che poggia su uno sfondo di mosaico veneziano sfumato di azzurro con stelle dorate. Pure i numeri, indicanti le ore, sono dorati con sfondo di rame smaltato e completano quest’opera di rara bellezza ed originalità.
L’orologio in alto, reca lo stemma di Terra d’Otranto, il delfino con la mezza luna in bocca ed ha ai lati i rami dell’olivo e del melograno, simboli, rispettivamente della ricchezza e fecondità della terra. È provvisto di una fascia con i dodici segni zodiacali e sui due lati di essa vi è la scena dell’Annunciazione, quasi per ricordare figurativamente l’anno del Signore, in cui è collocato. Da un lato dello stesso è ben visibile un angelo coronato di stelle ed a sinistra la vergine che riceve l’annuncio, mentre sotto l’arco superiore spicca una quadriga, impennata e scalpitante ed un auriga: è il carro del Sole, su cui Febo, il giovane Dio del Sole, domina i bei cavalli.

La parte centrale rappresenta la volta celeste, con al centro l’Orsa Maggiore con la Stella Polare ed attorno in dodici caselle sono ben distribuiti i dodici mesi dell’anno, con figure di donne intente ai rispettivi riti e lavori. Sui due lati esattamente, i festoni riprendono il motivo della lussureggiante decorazione barocca delle chiese, mentre nella parte inferiore tutto intorno al quadrante una cornice presenta la forma dell’occhio magico del tempo che osserva la vita degli uomini la cui forma è proprio quella di una conchiglia, dove compaiono le fasi lunari, Eolo, il mitico Dio dei Venti che soffia e la bussola.
Ai due estremi sono collocati i due emisferi ed all’interno il quadrante. È diviso in dodici parti ed ai dodici numeri sono abbinate pari figure di tarocchi inserite come simbolo ludico del tempo e della vita, tipico del gioco dei tarocchi.
Anche le sfere, di metallo pesante, partecipano a questo gioco di rappresentazioni girando intorno al sole e mentre la sfera grande ha la sfera polare ed il serafino, la sfera piccola ha il galletto che canta e la prima fase della luna. L’orologio funziona elettricamente e fu inaugurato il 6 aprile 1955, in Piazza Sant’Oronzo, dal Sindaco Avv. Oronzo Massari, per la gioia dei leccesi e turisti.
Personalmente, ogni volta che passo dal centro storico della mia città, il salotto antico della stessa, m’incanto letteralmente ad ammirarlo e specialmente quando scende la sera con cui tutto intorno si placa come per magia, esercita dentro di me un particolare effetto di meraviglia, stupore e fascino!
Written by Mariagrazia Toscano
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