Meditazioni Metafisiche #26: l’organizzazione percettiva della nostra mente

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Il tedesco Hermann von Helmholtz nel 1867 propose la teoria empiristica, secondo la quale la percezione del mondo e degli oggetti con cui ci relazioniamo quotidianamente è resa possibile grazie all’esperienza e all’apprendimento che derivano dai nostri contatti con questo mondo.

Hermann von Helmholtz 1821-1894
Hermann von Helmholtz 1821-1894

È quindi sulla base dell’esperienza passata, che le sensazioni elementari che raggiungono il nostro cervello dal mondo esterno, vengono poi associate tra di loro ed integrate sulla base di conoscenze e a formare la struttura organica con la quale ciascuno di noi interagisce. La scuola della Gestalt invece, ritiene che il significato degli oggetti percepiti dipenda soprattutto da principi interni di organizzazione del campo percettivo di natura innata, su cui hanno scarsa incidenza le esperienze passate così come le credenze e le aspettative degli individui.

Il movimento del New Look rimarca, contrariamente, il fatto che la percezione nasce dall’incontro tra gli stimoli esterni e le attese, i valori e gli interessi del soggetto, il quale diventa così un attivo costruttore delle proprie esperienze percettive. Gli individui, posti davanti ad uno stimolo complesso, compiono una categorizzazione, identificandolo e categorizzandolo sulla base di dati indizi, strutturati a seconda delle relazioni e delle proprietà di ciò che è percepito, arricchite dall’universo motivazionale e personale del soggetto. L’importanza di saper leggere i disegni e gli scarabocchi negli adulti e nei bambini, in ambito psicologico, nasce proprio da queste considerazioni. Bisogna comprendere cosa viene percepito ed il modo in cui viene percepito. Le cosiddette teorie della percezione diretta, sostengono che le informazioni sono già presenti nella stimolazione percepita dal soggetto e da quest’ultimo possono essere immediatamente colte senza che debbano intervenire processi di elaborazione, attraverso quest’arte interpretativa.

Un altro effetto legato alla percezione può però suggerire una differente interpretazione di come la nostra mente elabori le informazioni sensoriali. L’effetto Stroop consiste in un ritardo nei tempi di risposta il quale si verifica quando al soggetto viene richiesto di dire il nome del colore con cui è scritta una parola designante il nome di un altro colore. Questi automatismi sono coinvolti nel processo imprescindibile di riconoscimento e processamento dei colori, stimoli tanto familiari da risultare imprescindibili a livello di processamento sensoriale.

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Altra modalità di organizzazione sensoriale sono i principi di unificazione percettiva individuati e proposti dalla scuola della Gestalt, che essendo universali e innati permettono di strutturare in maniera costante, coerente e logica configurazioni complesse. I gestaltisti ipotizzano che siano tre le macrocategorie di unificazione percettiva. Queste macrocategorie guidano i principi di raggruppamento i quali sono alla base della tendenza a raggruppare stimoli isolati in insiemi dotati di significato sulla base dei principi di vicinanza (tendenza a raggruppare gli elementi tra loro vicini), somiglianza (tendenza a unificare elementi che ci appaiono simili), chiusura (percepiamo come unità elementi che suggeriscono una tendenza alla chiusura), continuità (tendenza a privilegiare l’organizzazione lineare che prevede percettivamente minori interruzioni) e pregnanza (si preferiscono le configurazioni che presentano il maggior grado di semplicità, regolarità e simmetria). Non meno importante è poi l’articolazione figura-sfondo, tendenza che ci porta a sistemare mentalmente ogni figura in uno sfondo corrispondente in relazione alla tipologia dello stimolo che percepiamo o alle emozioni che il soggetto ci trasmette. Questo ci permette automaticamente di portare in risalto la figura, ossia quella che si presenta con una forma ben precisa, che ha quindi un contorno che la definisce, mettiamo così in evidenza il suo essere oggetto, in contrapposizione all’indeterminatezza dello sfondo.

Un altro fenomeno psicologico che facilita il lavoro di organizzazione percettiva della nostra mente è costituito dalla costanza percettiva in base alla quale uno impulso ci appare identico pur variando le condizioni di stimolazione dei recettori sensoriali o la tipologia di questi ultimi. Per esempio, la percezione che abbiamo di alcune peculiarità di un particolare oggetto (forma, dimensioni, colore) non viene influenzata dal fatto che l’oggetto possa essere visto da più angolazioni con una prospettiva differente, oppure da maggiore o minore distanza, o ancora con diverse illuminazioni e così via. Il mondo che percepiamo e con cui ci rapportiamo è chiaramente un mondo in tre dimensioni. Il nostro occhi, invece, lavorano sulle informazioni retiniche che hanno carattere bidimensionale. La cosa, apparentemente sembra presentare un forte contrasto. In realtà però il nostro cervello è in grado di superare brillantemente questa disomogeneità ricorrendo all’aiuto di informazioni e indizi sensoriali aggiuntivi che l’ambiente fornisce. Gli indizi monoculari sono essenzialmente l’accomodazione, cioè la messa a fuoco, e gli indizi pittorici, basi teoriche imprescindibili, tra cui la sovrapposizione, l’altezza sul piano dell’orizzonte, il chiaroscuro, la prospettiva e il gradiente tissutale. Il nostro mondo però non è composto solamente di stimoli statici, per quanto tridimensionali.

È prevalentemente tramite stimoli di movimento che noi ci relazioniamo, pertanto la percezione del movimento risulta tra le capacità più importanti per la sopravvivenza adattativa delle specie viventi. Questa capacità di saper riconoscere gli stimoli in movimento dipende dalla differenza tra distanza assoluta e distanza relativa sulla retina.

Casa - disegno
Casa – disegno

A volte però il nostro sistema di elaborazione delle informazioni può essere tratto in inganno. Disegnando una casa, ad esempio, l’oggetto in sé potrebbe far pensare alla beatitudine che il bambino prova ricordando la sua famiglia, ma il colore o l’architettura della canna fumaria, delle finestre, ecc. possono collegarci ad altre emozioni. Ciò sta ad indicare che la staticità di un oggetto può rappresentare anche un qualche cosa in movimento ma anche un’emozione, uno stato d’animo, qualche cosa d’astratto che non è possibile ricreare rifacendoci alla nostra realtà tridimensionale la quale rappresentazione più accurata non sempre è sufficientemente adeguata.

Chi abitualmente scarabocchia sul foglio tracciando figure geometriche, generalmente è una persona con mentalità quadrata e razionale che tende a non trovare risposta al problema se prima non pensa attentamente ad ogni minimo particolare ricercando instancabilmente pro e contro. Non ama sognare ad occhi aperti, poiché questo lo porterebbe lontano dalla realtà e non ama agire d’istinto. Talvolta una persona siffatta pensa solo alla vita terrena e questo atteggiamento spesse volte lo rende triste e depresso. Secondo la legge della dominanza cerebrale, gli emisferi prevalgono a turno in base alla zona utilizzata.

L’emisfero sinistro, specializzato nel linguaggio, è una zona cerebrale che, per la maggior parte delle persone, si attiva durante il disegno e lo scarabocchio. Ma la dominanza manuale non è indice certo di dominanza emisferica. Oltre a questo ruolo, l’emisfero sinistro è specializzato nell’elaborazione simbolica ed analitica e l’emisfero destro nell’elaborazione spaziale e percettiva.

Le linee possono avere caratteri diversi. Tutte le persone, in genere, sono accumunate dal desiderio di affrontare le situazioni che gli si porgono davanti, ciò denota nel soggetto coerenza. Chi disegna linee è senza dubbio di una persona affidabile ed energetica. L’affidabilità è la caratteristica fondamentale (si esprime quando dice di fare una cosa portandola a termine), l’energia è invece l’arma necessaria poiché lo attiva per raggiungere l’obbiettivo preimpostato. Questo soggetto non si rimangia mai ciò che ha detto o promesso a persone care, inoltre non cambia pensiero o ideale molto facilmente specialmente quando ciò che ha progettato non sta andando per il verso giusto.

Anche le spirali, come le linee, necessitano di una differenziazione. Possono partire dal centro del foglio per andare verso l’esterno o viceversa. La forza centrifuga è una forza che agisce su un corpo che si muove in moto circolare perciò, la forza parte dal centro e si estremizza in questo caso la persona vuole esprimersi ma nella sua vita non trova il modo di farlo. Essere assertivi, significa, molte volte, essere incapaci, sfiduciati ed impotenti. Al soggetto capita di sentirsi trascinare dalle idee degli altri e questo sentimento esercita grande pressione su di lui tanto da non riuscire a far valere le proprie opinioni. Solitamente necessita di aiuto da parte di una persona di fiducia. Quando la forza è centripeta, cioè che la forza partendo dall’esterno convoglia verso il centro, il soggetto vorrebbe “staccare la spina” dal lavoro, si sente oppresso dalla situazione sentimentale e ricerca del tempo per sé stesso poiché solitamente la persona tende a preoccuparsi troppo per gli altri dedicandogli più tempo possibile. Agli occhi degli estranei, queste persone sembrano forti e coraggiose, ma spesso si tratta di un’apparenza, una corazza che nasconde un lato buono ed umano lasciato vedere solo a pochissime persone rappresentate quasi esclusivamente dai genitori o dal compagno o compagna.

In genere le figure geometriche rappresentano nella persona il bisogno e il desiderio di occupare uno spazio che necessita di essere osservato da più angolazioni. Disegni del genere denotano una visione ampia, il soggetto è una persona capace di prevedere per tempo ciò che potrebbe accadere e di adeguarsi con saggezza all’avvenire. Sono persone che amano pianificare il proprio lavoro e vengono visti da molti come leader. La figura del leader è una figura che ultimamente tende ad essere confusa con quella dell’adolescente prepotente o del bullo, ma è di gran lunga più importante, positiva ed impegnativa. I leader difatti sono persone lungimiranti, che tendono a guidare un gruppo di persone o la situazione lavorativa, sentono spesso la fatica di tale lavoro ma da questa si ricaricano d’energia. Sono persone pazienti e capaci di comprendere le esigenze delle persone che li circondano. Dimostrano forza in ogni dove e raggiungono la vetta prima delle altre persone. Spesso affrontano il mondo ed i problemi di questo a testa alta e credendo in sé stessi.

Muro - disegno
Muro – disegno

Un muro disegnato da una persona adulta o da un bambino non porta mai buone notizie. Significa che il soggetto sta vivendo un periodo pesante e insopportabile in ogni campo o in quello in cui risulta particolarmente interessato. Si sente come barricato e bloccato nel suo “Io interiore”. La persona ha pietrificato i suoi sentimenti e non c’è rimedio di uscirne se non per mezzo delle sue sole forze. A volte, risulta una persona che dovrebbe essere aiutata psicologicamente da chi di mestiere. Spesso è arrabbiato con sé stesso perché non riesce ad allontanare i problemi. Particolarmente introverso con picchi d’ira implacabili.

La scala ha un doppio significato, da essa si può scendere o salire e questo comporta nel personaggio imprudenza nelle decisioni troppo affrettate che effettua. Ciò ci fa capire che si tratta di una persona che non si accontenta facilmente, schizzinosa, ed è noto il fatto che si ritrova spesso in situazioni pericolose. La consapevolezza di questo tende a farla essere una persona ansiosa che cerca appunto di evitare in tutti i modi di incappare in situazioni difficili o pericolose, caratterizzata da uno stato di incertezza rispetto al futuro che è accompagnato spesso da problemi psicologi e psichiatrici poiché l’ansia può divenire patologica lasciando lo stato fisiologico. L’ansia infatti determina comportamenti di difesa che limitano l’esistenza e può nascere da fattori ereditari, biologici o inconsci.

Le persone che scelgono di disegnare immagini ispirate alla natura, dimostrano una particolare sensibilità, nata nella loro infanzia di cui ora sono nostalgici. Per la prevalenza sono donne, con la “lacrima facile”, non completamente introverse anche se amano la riservatezza, ansiose di fronte ad una decisione o sfida da risolvere, che amano sfogarsi e parlare con persone di cui si fidano particolarmente, che tendono a prendere le cose troppo sul personale e che bramano le relazioni profonde. Il più raffigurato in quest’ambito è il fiore che rappresenta nel soggetto una natura sentimentale legata all’anima. Caratterizzato da uno spirito sensibilmente romantico e pacifico, che dona tranquillità a chi lo circonda. Le rappresentazioni degli scarabocchi che hanno come soggetti i fiori, sono moltissime e in genere esprimono dolcezza e disponibilità. Normalmente il soggetto sta attraversando un periodo spensierato e si sente bene con se stesso. Ogni cosa viene vissuta prima col cuore e poi con la testa.

Nella donna è più facilmente riscontrabile questo profilo ma non è escluso nell’uomo, soprattutto quando è presente un forte coinvolgimento emotivo. Alcuni individui aggiungono alla propria firma un fiore d’abbellimento, proprio dell’uomo più che della donna. Questo tratto sta ad indicare narcisismo legato al bisogno di esporre la propria immagine, ma può essere inconsciamente la prova di un dubbio nei confronti del proprio partner. Non siamo comunque in grado mettere completamente a nudo il nostro inconscio fino a quando non scarabocchiamo un animale. Infatti questi possono rappresentare sottomissione o aggressività. Ogni tipo di animale ha un significato etimologicamente diverso. Ci permettono di cogliere l’attuale stato d’animo del soggetto.

Ogni volta che ognuno di noi entra nella propria casa capisce di trovarsi in un luogo sicuro e protettivo. La casa viene vista come un punto di riferimento ed un luogo dove è possibile fare tutto ciò che si vuole. Rappresenta infatti un luogo di tranquillità e in essa si ha una ricerca dell’armonia in sé stessi. Lo scarabocchio di questo luogo esprime una persona con carattere semplice e che ama fare cose semplici, che cerca sempre affetto verso qualcuno, fiducia e protezione. La cosa che potrebbe creargli uno stato di ansia è partire per lungo tempo senza vedere la propria casa o sentirne il calore per un lungo periodo di tempo.

Chi disegna una fila di case o un villaggio, in cui le case siano tutte uguali, ama la famiglia e gode della sua compagnia poiché i membri riescono a rincuorarlo anche nei momenti più difficili. Potrebbe però essere inteso come nostalgia verso una vecchia casa il cui ricordo è rimasto nella mente del soggetto e fatica ad allontanarsi. Diversi studi hanno ipotizzato che gli uomini che disegnano case sono quelli che tutte le donne vorrebbero: casalinghi, bravi padri, ottimi lavoratori, ecc.

Camion - disegno
Camion – disegno

Il soggetto che disegna mezzi di trasporto potrebbe farlo perché sono collegati alla sua professione e quindi è portato a disegnare auto, treni, camion, ed altri i quali stanno ad indicare un desiderio di evasione da quel mondo e voglia di cambiare, ma soltanto nella fantasia, dato che nella realtà è contento di fare quel lavoro tenendoselo stretto. Le persone che si liberano disegnando i mezzi, sono persone razionali che vogliono inquadrare anche i sentimenti, per questo spesse volte sembrano esitare anche sulle decisioni più normali, sono soggetti pratici e inflessibili. Nell’uomo questo scarabocchio può avere un significato regressivo, vorrebbe tornare bambino per giocare con le macchinine ed essere libero da responsabilità. Nella donna invece la scelta di scarabocchiare mezzi potrebbe significare il bisogno di emergere e di dominare sugli altri. Se invece, per quanto riguarda tutti e due i sessi, si disegna solo l’auto ed è predominante rispetto agli altri oggetti, significa che, dal punto di vista erotico, non si ritengono adeguatamente soddisfatti dal proprio partner.

Chi distrattamente si trova a scarabocchiare in tre dimensioni pile di libri allineati, dimostra una fase ansiosa della propria esistenza che riguarda anche la sua vita lavorativa ed emotiva. I libri accatastati infatti denotano un accumulo di ansia nel tempo. Secondo alcune teorie psicologiche chi disegna accumuli di oggetti vuole scacciare l’ansia e l’angoscia. Vengono definiti ossessivi poiché disegnano un oggetto al quale sono strettamente legati.

Quando disegnano mani, bocche, naso vogliamo soltanto lasciare una traccia energica di noi stessi al mondo che ci circonda. Infatti ciò rivela le nostre sensazioni più nascoste e soprattutto quelle di natura sessuale e affettiva, disegnare rivela una necessità a confermare la nostra identità, i soggetti vogliono far vedere di essere vivi e gridarlo agli altri per essere considerati. Potrebbe essere paragonato all’adolescente che firma il suo nome sul suo diario per iniziare ad avere un tratto suo particolare rispetto agli altri, vuole essere diverso e questo lo aiuta. Sicuramente la persona che disegna parti del corpo denota un’insicurezza a livello emotivo e ha bisogno di legami solidi per mettere in luce una sua parte narcisista e un po’ egoista, il soggetto si sente bello e vuole sentirsi così, infatti è sempre alla ricerca di cose belle di cui ha un buon gusto.

I cognitivisti paragonano il nostro sistema nervoso a un computer. I sensi sono gli strumenti per introdurre le informazioni. Queste sono elaborate dal cervello. Invece i comportamenti sono le informazioni in uscita: parole, gesti, atti, disegni.

Un comportamento può essere in sintonia con il pensiero dei più e con le norme sociali accettate dai più, oppure no. La malattia mentale costituisce un classico comportamento che si discosta da quello della collettività. In buona sostanza una malattia mentale ha dei correlati neurologici. Nella schizofrenia c’è compromissione funzionale della via dopaminergica mesolimbica. Nella depressione si apprezza un deficit della serotonina. Nelle nevrosi forse è coinvolta la chimica del GABA.

La schizofrenia è la più grave delle malattie mentali. Secondo Saas, nella schizofrenia c’è un difetto della esperienza pre-riflessiva, che è la sintonizzazione originaria del soggetto con il mondo. Questo vissuto psicologico gravemente alienante trascina con sé la chimica del cervello, originando un profondo disturbo della persona.

Ma nelle malattie mentali i danni neurologici sarebbero solo funzionali, al contrario delle malattie neurologiche nelle quali il danno non riguarda solo la fisiologia bensì la anatomia. Prendiamo una demenza, come il morbo di Alzheimer oppure un incidente vascolare. Gli esami strumentali evidenziano compromissioni cerebrali, le quali si possono accompagnare anche a quadri psicologici ben precisi. Nelle demenze vi sono esatti profili neuropsicologici.

Schizofrenia - Photo by NotiziarioChimicoFarmaceutico
Schizofrenia – Photo by NotiziarioChimicoFarmaceutico

Una persona può vedere cose che non ci sono perché è schizofrenico: la psiche disfunzionale altera il corretto funzionamento della dopamina nel cervello che però non presenta danni tissutali. Ma anche perché un vaso cerebrale si è rotto, è uscito sangue e il tessuto circostante è andato incontro a morte cellulare (necrosi). In questo caso non vi è un trauma psicologico che ha originato le allucinazioni, ma un danno cellulare del cervello.

La diagnosi di una demenza si fa solo se vi è compromissione anche delle autonomie (vestirsi da soli e adeguatamente, gestire il denaro, eccetera). Altrimenti il professionista tende a spiegare le alterazioni su basi psicologiche.

Oggi si tende a ipotizzare, in tutte le malattie psichiatriche maggiori (schizofrenia e depressione), un difetto epigenetico unico che risale all’epoca fetale. L’epigenetica riguarda la espressione dei geni: se il gene non cambia, cambia però la sua espressione, cioè la sua epigenetica. In queste malattie psichiatriche c’è un problema della espressione genica che risale al feto. Poi la schizofrenia tende a manifestarsi dopo l’adolescenza, la depressione nell’età adulta inoltrata. Ma in ogni modo non si tratterebbe di un preciso danno tissutale che dà origine alla malattia, come nell’ictus, ma di una predisposizione che poi ulteriori fattori fanno emergere.

Il modello precedente osservava che la vulnerabilità del cervello alle malattie psichiatriche era di origine genetica. Oggi si sovrappone anche il modello epigenetico. Non sono due modelli antitetici ma complementari. Dato che l’epigenetica viene determinata dall’ambiente, ci sono molti fattori ambientali che influiscono sul cervello del feto.

Per esempio lo stress emotivo e fisico della madre, l’assunzione di droghe da parte della madre, la nutrizione della madre. Gli ormoni dello stress: i glucocorticoidi inibiscono i fattori di crescita del cervello, poi il cortisolo inibisce l’ormone della crescita somatica. Nei ratti la sotto-nutrizione della madre ha determinato alterato neuro-sviluppo della prole. Nelle carestie olandesi e cinesi è stato osservato che la denutrizione delle gestanti umane ha determinato deficit cognitivi nella prole. Lo stress cronico (emotivo e fisico) attiva una cascata chimica infiammatoria con conseguente alterazione della chimica del cervello della madre, così come avviene nella infiammazione cronica dovuta a obesità: certamente c’è una trasmissione placentare dello stress materno che arriva al feto. La placenta non è solo una membrana passiva di passaggio, come si pensava una volta, ma è un organo neuroendocrino, una interfaccia attiva di modulazione del rapporto madre-feto. Se il corpo della madre ha troppo cortisolo (dovuto allo stress), un enzima della placenta non riesce a farlo diminuire nel corpo del feto con danni a pancreas, fegato e cervello. L’endometrio e la placenta non sono luoghi sterili, come si pensava una volta, ma anche in essi vi è il microbioma: c’è una correlazione tra l’igiene dentale della madre con il microbioma placentare (quest’ultimo è più simile a quello orale della madre che non a quello vaginale). Un importante studio correla fattori di stress, basso reddito, depressione e ansia nella madre a problemi psicologici, cognitivi e motori nella prole.

Abbiamo memorie filogenetiche (entro la stessa specie, come gli istinti), memorie ontogenetiche (dalle esperienze attuali che si sedimentano nel cervello) e memorie epigenetiche, che si possono trasmettere a generazioni successive. Il nuovo paradigma della scienza dimostra che l’uomo è un tutto unico di corpo e mente. La mente agisce sul corpo e il corpo agisce sulla mente. Le lacrime hanno una diversa composizione biochimica a seconda se dipendono da un dolore fisico o da un dolore emotivo. Le esperienze che facciamo si sedimentano nel corpo attraverso la plasticità neuronale e attraverso la epigenetica.

Allora il sintomo non va visto solo in chiave fisica o solo in chiave psichica. Ma il fisico e lo psichico sono due componenti che per alcuni esisterebbero sempre in ogni sintomo. Il primo senso che il feto sviluppa è il tatto: esso connette per primo il cervello del feto alla madre. Quando la madre accarezza il ventre, il feto percepisce la vibrazione: è il primo segnale dal mondo esterno percepito dal feto. Il secondo senso che si manifesta è il sistema uditivo: il battito del cuore materno. Attraverso queste prime esperienze il feto inizia ad organizzarsi neurologicamente e psichicamente, perché anche nel grembo materno c’è una psiche. È da questo punto che corpo e mente iniziano ad andare di pari passo. Anche nella malattia abbiamo una componente somatica e una psichica, le quali sono influenzate dall’ambiente esterno mediante la epigenetica. Esistono diversi livelli della componente fisica: da un danno tissutale a un disturbo funzionale a una predisposizione epigenetica.

Biologia molecolare - Biochimica - Genetica - Photo by Wikipedia
Biologia molecolare – Biochimica – Genetica – Photo by Wikipedia

Andiamo ora più nello specifico. Negli ultimi dieci anni le conoscenze nel campo della biologia molecolare, della genomica, della biologia evoluzionistica sono enormemente aumentate e si va delineando un modello assolutamente nuovo di genoma dinamico e interattivo con l’ambiente. Se per quasi mezzo secolo si era pensato al DNA come a un semplice «serbatoio di informazioni», frutto di milioni di anni di evoluzione molecolare e quasi immutabile nel tempo e alle altre componenti della cromatina e in particolare agli istoni (le proteine attorno alle quali il DNA è super-avvolto, per poter essere contenuto in un nucleo di pochi micron di diametro) come ad una semplice struttura portante ancora più stabile (conservata per centinaia di milioni di anni) e semplicemente deputata a garantire le migliori modalità di esposizione del DNA (cioè dei «geni»), negli ultimi anni ci si è resi conto che l’intero genoma andrebbe rappresentato piuttosto come un network molecolare complesso e dinamico, in continua interazione con l’ambiente e che quest’ultimo andrebbe considerato come una fonte di informazioni – molecole chimiche, ioni metallici, radiazioni ionizzanti e non – che interagiscono con la componente più fluida del genoma stesso, l’epigenoma, inducendola continuamente a trasformarsi e a riposizionarsi, per rispondere nel modo più efficace alle sollecitazioni. In una tale rappresentazione dinamica e sistemica, la struttura tridimensionale della cromatina verrebbe a configurarsi come un complesso molecolare intimamente reattivo: le stesse modifiche genomiche e cromosomiche, andrebbero interpretate in questa luce e le mutazioni, tradizionalmente interpretate come stocastiche, verrebbero a configurarsi, almeno in parte, come modifiche attive/difensive a carico dapprima dell’epigenoma (e della cromatina nel suo assetto tridimensionale) e in un secondo tempo della stessa sequenza-base del DNA. E le patologie croniche (degenerative, infiammatorie, neoplastiche) più che come effetti di mutazioni stocastiche o di polimorfismi del DNA, sarebbero da interpretare come il prodotto di un lungo processo reattivo-adattivo iniziato in utero o addirittura nelle cellule germinali.

La vita non è mai statica e non opera per percorsi lineari: è un perpetuo divenire, trasformarsi, adattarsi. E questo ad ogni livello: ecosistemi, organismi complessi, microrganismi, cellule e persino molecole. Una prerogativa fondamentale di questi insiemi straordinariamente complessi è di reagire in modo sistemico alle sollecitazioni/informazioni provenienti dall’ambiente: per adattarsi ad esse e trasformarsi di conseguenza. In una parola per evolvere. Fondamentali sono a questo fine i sistemi di memoria, attraverso i quali le informazioni ricevute vengono conservate e rielaborate: a livello cellulare sono le biomolecole complesse (RNA, DNA e, in certa misura, proteine) a svolgere, da miliardi di anni, questo compito fondamentale. A livello di organismi complessi i principali apparati dotati di memoria sono il sistema immunocompetente adattativo e il sistema nervoso centrale: oggi si dovrebbe piuttosto parlare di “sistema psico-neuro-immuno-endocrino” a sottolineare la fondamentale unitarietà dell’intero complesso.

Con l’evolvere degli organismi si assiste ad una progressiva concentrazione dei sistemi di memoria in gangli via via più complessi concentrati in zona cefalica. Il cervello umano rappresenta lo stadio più avanzato di questo processo e la struttura più complessa dell’universo a noi noto. Nel contesto della biologia dello sviluppo (developmental biology) la sua costruzione è oggi considerata un processo in parte geneticamente predeterminato e controllato, in parte epigeneticamente modulato: semplificando al massimo potremmo dire che le strutture anatomo-fisiologiche fondamentali (hardware) sono specie-specifiche e programmate nel DNA, mentre le interconnessioni interneuronali che compongono la corteccia e sono, in ultima analisi la vera sede della memoria individuale e quindi dell’”io” neuro-psichico (software) sono epigeneticamente modellate in risposta alle informazioni provenienti dall’ambiente e, quindi, in continua trasformazione “auto-poietica” per tutta la vita (anche se con plasticità progressivamente ridotta).

Questo modello sistemico, autopoietico e, almeno in parte, istruttivo (lamarckiano) oltre che selettivo (neodarwiniano) vale probabilmente per ogni sistema mnemonico e in particolare per la costruzione dei genomi e dei sistemi psiconeuroimmunoendocrini. Le neuroscienze dello sviluppo studiano le modalità di formazione del sistema nervoso, dai primi stadi dell’ontogenesi embrio-fetale fino all’età adulta. Anche se è noto che le cellule progenitrici neurali seguono fasi prevedibili di proliferazione, differenziazione, migrazione e maturazione nella misura in cui il processo è geneticamente programmato, negli ultimi anni si vanno chiarendo i meccanismi molecolari (in ultima analisi epigenetici) che lo controllano e in particolare il ruolo chiave delle informazioni provenienti dall’ambiente. Lo studio sempre più approfondito di questi fenomeni non è importante soltanto per capire come si vadano assemblando strutture di enorme complessità, ma anche per una miglior caratterizzazione dei disturbi del neurosviluppo, che sono in grande aumento in tutto il mondo; per la ricerca dei principali fattori implicati in questo aumento; per migliorare le nostre capacità di prevenzione primaria, diagnostica precoce, follow up e trattamento. Che la diffusione in ambiente e biosfera di molecole mimetiche, pesticidi, metalli pesanti ed altri inquinanti in grado di interferire negativamente sullo sviluppo neuro-endocrino dell’embrione, del feto e del bambino rischi di produrre danni gravissimi è un dato che emerge da decine di studi scientifici.

The Lancet
The Lancet

Nel novembre del 2006 un articolo pubblicato su The Lancet a firma di un pediatra e di un epidemiologo della Harvard School of Pubblic Health ha posto con forza il problema di una possibile “pandemia silenziosa” di danni neuro-psichici che si starebbe diffondendo, nell’indifferenza generale, interessando il 10% dei bambini del cosiddetto I mondo. Si tratta di un problema di grande portata, che alcuni ricercatori avevano segnalato già nei primi anni ’60, ma che è divenuto drammaticamente attuale se è vero che, da un lato, numerosi studi condotti in Europa e USA hanno rilevato la presenza di centinaia di molecole chimiche di sintesi, molte delle quali estremamente neuro-tossiche (mercurio e metalli pesanti in genere, ritardanti di fiamma, pesticidi, PCBs e altri perturbatori endocrini) in placenta, nel sangue cordonale e nel latte materno e che, d’altro canto, è in atto in tutto il Nord del mondo un incremento drammatico di patologie del neurosviluppo (con un incremento di prevalenza da 1:1200 a 1: 88 in tre decenni, per ciò che concerne le patologie dello spettro autistico), e neurodegenerative (in particolare malattia di Alzheimer e morbo di Parkinson) alla cui origine questa esposizione embrio-fetale potrebbe non essere estranea.

Il modello epigenetico è stato approfondito anche relativamente al morbo di Alzheimer, una demenza senile, caratterizzata da particolari evidenze microscopiche:

1.Placche neuritiche: placche extracellulari formate dalla proteina amiloide all’interno e cellule gliali (microglia e astrociti) all’esterno;

2. Grovigli neurofibrillari;

3. Diminuzione delle sinapsi;

4. Perdita di neuroni;

5. Riduzione del neurotrasmettitore acetilcolina;

6. Il morbo pare associato a una funzione non regolare degli astrociti che promuove l’infiammazione nel cervello.

Il morbo in questione ha una causa multifattoriale, tra cui quella epigenetica. La maggiore modificazione epigenetica è la metilazione del DNA, che nel morbo di Alzheimer pare collegata all’aumento di omocisteina e alla diminuzione di vitamine B.

Le neuroscienze sono in continua evoluzione. Le scienze omiche analizzano un tessuto ricavando moltissimi dati. Ci si è accorti non solo che il singolo gene che invia un messaggio al RNA e questi crea la proteina la quale esercita una funzione attraverso metaboliti nella cellula (campo di studi della genomica) risponde a una visione molto ristretta. Non solo che esiste il modello efficacissimo della epigenetica. Ma anche che ogni visione unilineare del gene e della sua espressione epigenetica va rivista a favore di una visione circolare, per cui il prodotto finale influenza ciò che sta all’inizio, e così in un circolo continuo. Per questo si sono sviluppate discipline dette omiche che studiano molto dettagliatamente i singoli passaggi in un verso e in un altro: la trascrittomica (che studia il RNA), la proteinomica (le proteine), la metabolomica (i metaboliti cellulari). La genomica spaziale unisce la genomica tradizionale (analisi chimiche del gene) con le tecniche di immagine, rendendo più efficace la descrizione del gene nel rapporto tra altri geni e nel rapporto con le cellule. Una ricerca particolarmente importante per il morbo di Alzheimer, di natura multifattoriale. Sono anni che è stato completato il genoma umano: in pratica è stata descritta la composizione chimica dei singoli geni. Ma ciò non basta per capire fino in fondo il funzionamento dei geni. Per capirne la funzione è importante stabilire anche la loro disposizione nello spazio. Recentemente sono stati fatti studi sui Domini Topologici, cioè su sezioni di DNA che vengono a contatto tra di loro più spesso rispetto agli altri geni vicini. Questi domini sono raggruppati in Meta Domini, la cui piegatura non è casuale, ma associata a determinate funzioni nella cellula.

È un po’ anche il discorso del crimine visto dal punto di vista epigenetico. Abusi fatti a un bambino possono iscriversi nel suo patrimonio epigenetico e così trasmettersi come trauma alla futura prole, ma anche come inclinazione ad abusare. Ma, non trattandosi di un danno tissutale specifico, si tratterebbe solo di predisposizioni.

Oltre alla malattia mentale, un altro comportamento che deraglia dalla norma rappresentata statisticamente dai più è costituito dal crimine. C’è un collegamento tra crimine e aggressività. Questa sta a un livello psicologico, che sfocia in un fenomeno sociale (il crimine per l’appunto). Spesso il criminale non sa gestire adeguatamente la rabbia o ha una intelligenza limitata per inserirsi adeguatamente nella società non canalizzando adeguatamente le spinte aggressive.

Secondo una certa prospettiva, spesso la rabbia nasce dalla divergenza che noi abbiamo tra la realtà esterna e la realtà interna, cioè tra ciò che è il mondo e cosa ci aspettiamo. Quando andiamo a fare la spesa e qualcuno salta la fila, la rabbia nasce dal fatto che non vediamo di buon occhio che il “furbetto” faccia una cosa del genere. Dalla realtà ci aspettiamo qualcosa che invece non accade e questo ci fa arrabbiare.

L’atto rabbioso invece può avere tre finalità:

1.Malevola: per nuocere all’altro, fino alla distruzione fisica o morale;

2. Compensatoria: per allentare la tensione personale o derivante dalla relazione disfunzionale;

3. Ragionevole: per far valere le proprie ragioni e non soccombere a una prepotenza.

Meditazioni Metafisiche #26 l'organizzazione percettiva
Meditazioni Metafisiche #26 l’organizzazione percettiva

Ora, l’uomo socialmente adeguato controlla sul momento la pulsione aggressiva (cosa che dipende dalla corteccia frontale e dalla educazione ricevuta e assimilata) e ha una grande capacità di sublimarla nel lungo periodo, cioè di farla sfociare nei prodotti simbolici della società. Come il chirurgo che, avendo una grande dose di aggressività, la sublima in un atto socialmente accettato.  Ma ogni persona sfoga la tensione derivante da un capo molesto o di una madre fallica o da una moglie possessiva in molte attività, come lo sport. Questo sfogo necessita però di una grande capacità intellettiva e di simbolizzare.

Invece chi delinque ha di solito una ridotta capacità di controllo della pulsione aggressiva e una penosa capacità di simbolizzare. Tuttavia non esiste una sola spiegazione del crimine. La criminologia è una scienza multidisciplinare e non esatta. La psicologia del singolo criminale ha certamente punti di contatto con quella di altri criminali simili e non ma non esiste un unico profilo psicologico per ogni singolo crimine né per il crimine in genere.

Il criminologo clinico si propone di capire o ipotizzare le motivazione del singolo criminale. L’omicidio è il crimine con meno affinità con lo stesso reato o reati simili. L’omicidio quindi si spiega nella storia personalissima dell’autore con motivazioni alquanto soggettive. L’omicidio presenta una serie di concause che solo la storia personale può illuminare, anche se a volte sembra ricorrere qualche schema.

Pensiamo al figlicidio. Ecco le cause più frequenti:

1.Maltrattamento con esito fatale;

2. Pietà verso il figlio gravemente malato;

3. Grave malattia mentale del padre o della madre che compie il gesto;

4. Per punire il partner (tipico il padre abbandonato dalla moglie che si vendica uccidendo il frutto della loro unione);

5. La madre assassina può uccidere perché non in grado di accettarsi nel ruolo materno; oppure perché non è in grado di accettare la nuova situazione; oppure per negazione della gravidanza (nella gestazione la madre non elabora cognitivamente e affettivamente il parto e quindi nega il neonato uccidendolo).

L’amore tra partner è socialmente accettato ma solo entro certi limiti. Una volta soltanto all’interno del matrimonio, ma oggi questo confine si è sbiadito. L’amore omosessuale e quello multiplo continuano a scontrarsi contro i preconcetti dei benpensanti. Ma la società si sta muovendo verso un superamento anche di queste barriere mentali e quindi sociali.

La scelta di un partner si fa sia consciamente sia inconsciamente. Il nostro io cosciente sceglie l’altra metà per interesse, per bellezza, per attrazione nei confronti della personalità. Ma Paris osserva anche che noi scegliamo il partner altresì sulla base di due motivazioni inconsce:

1.Noi abbiamo il compito evolutivo di superare le nostre mancanze e debolezze, quindi scegliamo inconsciamente quel partner che ci aiuta a colmare i buchi che abbiamo in noi. Ci sono due vie secondo Paris: una nevrotica (la nevrosi del partner che scegliamo colma il nostro buco, per esempio, se siamo insicuri, una ragazza ansiosa ci dà quel senso di protezione che desideriamo) e una trasformativa (la personalità del partner ci aiuta a crescere, per esempio, se siamo carenti nella carica sessuale, una ragazza libidinosa ci darà la sua foga come dono psichico per spronarci a cambiare);

2. Possiamo anche scegliere un partner più restio al cambiamento di noi con il progetto inconsapevole di vederlo in profondità per imparare ad essere diversi da lui.

Secondo Jung gli altri di solito restano un mistero. Noi tutti abbiamo relazioni varie, amori, figli, amici e conoscenti, ma la stragrande maggioranza degli uomini è totalmente incapace di trasferirsi nell’anima di un’altra persona. Anche la persona che presumiamo di conoscere meglio, dice Jung, e che ci conferma di essere da noi perfettamente compresa, è per noi, tutto sommato, un estraneo. È diverso, è un altro. Il massimo e il meglio che noi possiamo fare è di indovinare, almeno, quest’altro, rispettandolo e guardandolo dalla soverchiatrice stupidità di volerlo interpretare.

 

Written by Marco Calzoli

 

Bibliografia
F. Bottaccioli, Epigenetica e psiconeuroendocrinologia, Milano 2014;
S. Carlomagno, La valutazione del deficit neuropsicologico nell’adulto cerebroleso, Milano 2003;
A. M. Casale, P. De Pasquali, M. S. Lembo (a cura di), Profili criminali e psicopatologici del reo, Rimini 2014;
E. Crotti, A. Magni, Come interpretare gli scarabocchi, Milano 2006;
J. Hooley, J. N. Butcher, M. K. Nock, Psicopatologia e psicologia clinica, Milano 2017;
C. G. Jung, L’io e l’inconscio, Torino 2012;
S. Mastandrea, Psicologia della percezione, Roma 2017;
G. Paris, Vita interiore, Bergamo 2008.

 

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Rubrica Meditazioni Metafisiche

 

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