“Rinascimento Babilonia” di Luca Scarlini: ritratti d’artisti nella storia dell’Arte sessuale
Saggista, drammaturgo e story teller, Luca Scarlini lo è su Wikipedia e, pienamente, in quest’opera singolare, che è una silloge di ritratti di artisti e di accadimenti che diventa una Storia dell’Arte Erotica e Sessuale che tanto era in auge, a livelli oggi incomprensibili, nel periodo che gravita intorno al Rinascimento.
Si rimane piacevolmente stupefatti nel sentir raccontare, anche se narrare rende, non so perché, di più l’idea, le vicissitudini, più o meno felici o disastrose dei vari eroi del porno d’autore prodotto fra la fine del Medio Evo e l’inizio di quello moderno.
Nonostante la differente tematica, la scrittura di Luca mi rimanda a quella di Luigi Iroso, profondo conoscitore della storia del meridione martoriato nel periodo risorgimentale (e pre- e post), alla cui opera rimando chi mi legge oltre che, nel caso, Luca. Hanno entrambi una penna forte e coraggiosa e sapete come tenere viva l’attenzione del lettore.
Il fine viene indicato nel Prologo: “Il periodo, fino alla Controriforma, ama mettere tutto in piazza, secondo una regia accorta, ma con un livello di comunicazione assai complesso di fatti personali, incluse passioni e giravolte d’eros.”
Poi qualcosa accade, per cui “Malgrado la diffusione del tema, fino all’ossessione, in tutte le pensabili diramazioni, il comune senso del pudore nel corso del gran secolo ha mutato cento volte di opinione.”
Ecco un esempio in cui risalta la calma irosità dell’autore: “Malgrado l’infinito affannarsi di teorici, cortigiane, illustri sifilitici, poeti bruciati da brame di ogni tipo, suicidi per passione, è difficile definire l’amore nelle sue infinite diramazioni erotiche, così come esse sono state puntualizzate nel Rinascimento.”
Calmo da kàluma, ardore, come già il latino caleo, irosità da Iroso. Entrambi gli autori non sono mai scalmanati, sapendo sempre controllare la propria temperatura, onde evitare febbrilità e non contagiar in alcun modo il lettore, pur trasmettendogli una miriade di dati ch’egli ignorava.
A volte i titoli incantano e attirano lo spett… (lapsus, perché quest’opera sembra un film-documentario; stesso effetto che ricevo leggendo le storie assai neglette di Iroso: altra similitudine fra ai due), catturano l’attenzione del lettore, poiché entrambi gli autori sollevano altarini celati dalla mala sorte o dalla pudicizia moralistica, spostando cataplasimi che ammucciano gli oggetti, antichi baldacchini che celano, tra la polvere, quel che a un certo punto si doveva nascondere alla vista, perché fonte di peccato, atti ignobili compiuti da cittadini apparentemente perbene ed virtuosi, a scapito di altri più peccaminosi ed eroici.
Un’altra delle conseguenze di questi sanguigni autori, è che una parte ridondante e appuntita del loro io trasmigra in chi lo esamina.
Ne L’impero del Fallo, capitoletto dedicato ad Arsiccio Intronato, si cita un passo di un dialogo pochissimo platonico: “l’uomo non può essere senza il cazzo, come chiaro è a forza, bisogna mettere il cazzo per chiudere la potta e il culo, di qui ne segue che tutte queste cose denno esser le prime cose che si denno imparare; del mescolamento poi della potta, del cazzo e del culo, ne segue la cognizione del fottere e del buggerare e così si viene allargando la scienza.”
Tu (a un certo punto, improvvisamente e misticamente, il termine autore si muta in una seconda persona singolare), Luca, ammetti che “il punto di vista è quello maschile, e per altro misogino”, per cui “non si trova caso pari al cazzo, è insomma di tanta precisione e di tal necessità tra le cose create, che senza quello né uomini né animali possono essere al mondo.”
E io, che ci sto a fare?, dovrebbe qui puntualizzare ogni donna dotata di orgoglio di sé.
Tempo fa era così. Ora, secondo certi miei calcoli, non più. L’uomo comandava alla moglie, da cui esigeva il voi. La sera, la donna gli si accostava e chiedeva, umilmente: Vrî druvêrla stasîra? – volete adoperarla, sottinteso: per il vostro piacere, quella mia funzione, stasera? Il Padrone decideva, in maniera per lo più accondiscendente: Vîn ché!, le ordinava, tu, vieni qui!, e compiva benevolmente l’atto. La domenica, giorno del Suo riposo, egli mangiava bene. Il resto della famiglia s’accontentava di quel che c’era.
Il tutto va quindi inquadrato storicamente e geograficamente, oltre che letterariamente.
Per fortuna c’è Nostra signora degli eccessi, la sempre giovane e gioviale Caterina Sforza, signora di Forlì e Imola. “Machiavelli narra splendidamente l’aneddoto più celebre: presa con astuzia la rocca di Forlì, dopo che suo marito Girolamo Riario era stato ucciso dalla potente famiglia degli Ordelaffi, alla minaccia di questi di uccidere i suoi sei figli, si limitò ad alzare la gonna mostrando la vagina, per dire che facilmente avrebbe potuto farne degli altri e che non avrebbe ceduto al ricatto come madre.” Splendido esempio di folle, ma ammirevole femminismo!
“Nel regno di Caterina il sesso ha un peso assoluto, e il maschio non può, tassativamente, astenersi dall’offrirsi alla regina in tutta la sua maschia prestanza del suo membro.” Chiaro?
Dura lex sed lex!
In Miniature d’eros, si parla delle alcove zeppe di nani. “Da qui nasce il mito della rivalsa erotica del nano (si cui si favoleggia la spropositata dotazione del membro)…” Dotazione, come si dota un cittadino di diritti, doveri e strumenti per ottemperare alle leggi, come quella suddetta.
Il mito permane anche attualmente, o fino a pochi anni fa almeno, almeno nella tradizione reggiana del secolo scorso, dove si favoleggia di un nan che gl avîva lòngh sétt fiamèfer ed lègn e mèş, dove uno non si arrampica sugli specchi per capire in che consisteva quel mezzo fiammifero di legno. A prescindere dai particolari, l’incendio amoroso era assicurato.
E si salvò solo l’Aretino Pietro, con una mano davanti e un l’altra di dietro, come recita il titolo di un capitolo del libro, che ricalca in toto quello di un film degli anni ’70 girato da Silvio Amadio. Il Divino Pietro fu un gaudente come pochi e la sua “vita era appunto una commediaccia di sesso, da vivere membro al vento.” Gran film mediocre, che ricordo con nostalgia, e notevole citazione.
Non ci fu un erotico e lieto fine nella sua vitaccia, perché “In età anziana con triplo salto mortale agiografo, devoto della stampa sacra.” Al calare della sua vita sessuale, il Tronfio Pietro programmò di far crescere la pancia anche in vecchiaia: altra meritevole passione degna di un tuo libro, caro Luca. Le due voluttà seppero convivere finché egli poté: “da una parte avallava massicciamente nei suoi testi l’idea di una conversione religiosa, mentre dall’altra frequentava molteplici dame e cavalieri, a seconda dell’estro del fallo sempre all’erta.”
Parli di “… Maffio Venier, arcivescovo di Corfù, dove verosimilmente mai si recò. Mondanissimo, amante delle pratiche sessuali più fantasiose, ebbe la passione per scrivere di cazzi e fighe, con una determinazione notevole, siglando un nuovo genere detto de le Veneriesche”. In esse “il dialetto si presta, meglio dell’italiano, a indagare dilemmi filosofi arditi, quale che se sia meglio accoppiarsi per davanti, correndo il gravissimo rischio dell’impregnamento, oppure la parte di dietro, a cui l’arcivescovo dedica raffinati pensieri.” Un prelato dal gusto prelibato!
“Gli aristocratici veneziani, ieri come oggi, ritmano le proprie conversazioni con l’ineffabile ‘ghe sboro’ ossia ‘ci eiaculo sopra’, che si usa come espressione bipartisan, per commentare sia fatti positivi che negativi…”
La tua scrittura è ancor più aulica e inclita quando usi “con iperrealista acribia” termini desueti, quale, per fare un esempio, drudo (fedele), ma vorrei chiederti, in quell’irrinunciabile occasione di un caffè, che offro sempre agli autori che leggo, magari d’asporto com’è in uso almeno qui, nelle Gallie (a Napoli non mi è lecito verificare), perché spesso e forse anche volentieri definisci qualche autore gayissimo, come quel “papa Alessandro VII Chigi”? A orecchio, il termine non mi disturba, come anche quel “prestigiose geishe rinascimentali”, che sanno di meretricio, mentre i sudditi di Caterina appaiono come onestissimi funzionari governativi, anziché troioni a rendita vitalizia.
Può essere che in te, come nel sottoscritto, la tendenza maschilista, pur sommersa da una lucida consapevolezza dell’uguaglianza fra i due sessi, sonnecchia e a volte russicchia?
A porre termine (per un attimo) alla questione è sempre la saggezza arşâna di mia madre che diceva: l óm la va drê ala dóna e la dóna agh côr incùntra, due selvaggine che sono alla sempiterna ricerca del proprio amato cacciatore.
Causata da una sincera ammirazione che prescinde da alcuna sorta di sessismo, è la tua disamina dell’opera di Gaspara Stampa, “una delle vette della lirica cinquecentesca”, maggiore forse anche di quella del contemporaneo Buonarroti, le cui Rime c’è chi, come Montale, ritiene insuperabili in quel secolo. “Arroventata è la tensione del desiderio, che si scioglie in canto, come perfettamente rivela la lirica maggiore, che avrebbe meritato di essere rivestita di note da Monteverdi”, di cui riporto la prima quartina:
“Arsi, piansi, cantai: piango, ardo e canto;
piangerò, arderò, canterò sempre
(fin che Morte o Fortuna o tempo stempre
a l’ingegno, occhi o cor, stil, foco e pianto)…”
Il narcisismo (per fortuna) non compete solo agli uomini, ma anche alle donne, come la protagonista di L’amor nello specchio di Giovan Battista Andreini, “il ritratto di una narcisista integrale, ossessionata dagli specchi e dalla visione di se stessa.”, il cui organo genitale lei rimira camminando, che predica “la debolezza ontologica del maschio, in toni biblici: ‘Il mancamento fu dell’uomo e però si aggiunge la donna per farlo più perfetto.’”
Poco appresso a un archeologico ferula, amo raccogliere la definizione che fai di Maria e Virginia “micidiali sorelle suore”, che non spiacerebbe affatto a quell’Iroso.
“Il corpus filosofico è aperto quindi alla penetrazione”. Ragione per cui gli antichi filosofi “incominciavano da bel principio a cacciarli la loro scienza per lo buco di dietro”, verbo che viene definito socratizzare, per quanto esso non sia giustificato da fonti attestanti un’attiva sodomia da parte dell’Alopecio. Questo lo si legge nel capitolo La filosofia è un’estasi gaya, in cui è esaminata la personalità e l’opera di Antonio Rocco, per il quale l’omosessualità “è il giusto mezzo ideale, la più perfetta espressione umana, il fine del genere a partire dall’attrazione di Adamo del serpente maligno, che aveva da offrire una forma di conoscenza senza limiti.”
Egli ha “rispetto per la ‘merce’ sessuale”. Alcuni “asinacci che invece d’apportar giubilo e contento all’amato fanciullo, a guisa di tanti macellari. Sottopongono i poveri fanciulli a…” quel che si può immaginare. Mi fa piacere che al merciaiolo Antonio non avrebbe gradito lo scrittore che più ho in uggia, il Marchese di Parigi.
A te, Rocco non piace granché, anzi nella sua scrittura pare orroroso “il fatto che l’unica forma tangibile di paradiso è appunto il sesso penetrativo maschile con il proprio simile, che dà ‘eternità piena e felice nel transitorio’”.
È proprio vero il detto ôgni cajòun a gh à la só pasiòun, ognuno a rincorrer i suoi guai, ognuno col suo viaggio, ognuno diverso…” Tutti coglioni, tutti nella sua propria, assurda passione.
La cattolica Italia rinascimentale era il centro culturale del mondo, come oggi lo è la puritana Yankeeland. In comune, questi due mondi hanno un senso dell’immacolato che coesiste con un puttanaio immondo, che riguarda anche i giovanissimi, e che è ormai importato ovunque.
Si tratta di un’assurda mescaa Francesca, in una diade che è capace di tutto: passando da Disperato erotico stomp (Ho chiuso un poco gli occhi e con dolcezza è partita la mia mano) di Lucio Dalla, a Howl di Allen Ginsberg (The world is holy! The soul is holy! The skin is holy! The nose is holy! The tongue, and cock and hand and asshole holy!); e volando in cielo, e nella profondità dell’anima, con Quanto è profondo il mare e con Kaddish.
Ma una domanda in me sorge tardiva (a pagina 183): Luca, che diamine sono ‘sti malcantoni di cui cianci?
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Luca Scarlini, Rinascimento Babilonia, Marsilio, 2020