“La partita del secolo” di Riccardo Cucchi: storia, mito e protagonisti di Italia-Germania 4-3
“Il microfono si è spento ora. Non si spegnerà mai la passione. Perché il calcio non è solo un gioco: è la vita che si snoda intorno a un pallone che rotola.” – Riccardo Cucchi
Il libro “La partita del secolo” che recensirò ora presuppone narratore e lettori onniscienti perché reca l’esito di una partita nazional-popolare, a molti nota.
Siamo nel 1970, nell’ultima “versione antica” dei Campionati mondiali di calcio, in un’epoca in cui il racconto del calcio sta subendo dei cambiamenti perché, alla ormai collaudata radiocronaca affidata alla redazione Rai si sta affiancando, seppur timidamente, la telecronaca destinata, nel tempo, a modificare radicalmente il calcio come ben sappiamo al giorno d’oggi dominato dalle Tv a pagamento che narrano lo sport più amato al mondo dietro compenso venendo così a smantellare ogni forma di romanticismo residuo in questo ambito.
Chi scrive, Riccardo Cucchi, vive in prima persona questo dissidio in quanto egli è stato per tanto tempo radiocronista Rai all’interno della storica trasmissione “Tutto il calcio minuto per minuto” (esperienza di cui egli rende testimonianza nel precedente libro Trentacinque anni di calcio minuto per minuto, Il Saggiatore, Milano 2018), e ha successivamente condotto La Domenica Sportiva sui canali televisivi Rai (nella stagione 2017/18).
Riccardo Cucchi continua oggi a parlare di sport non solo nei suoi libri, ma anche sui social dove interagisce con garbo e eleganza con tutti.
Quando, a diciassette anni, seguì la “partita del secolo”, lo fece guardando il piccolo schermo, accanto a suo padre che “fumava nervosamente”.
Puntualmente riporta Cucchi: “È il 17 giugno del 1970. Lo stadio Azteca di Città del Messico è stracolmo: 102.000 spettatori. Nella capitale messicana sono le 16. In Italia è mezzanotte e in ogni casa, lungo tutta la penisola, tante finestre illuminate indicano famiglie, gruppi di amici e tifosi davanti ai loro televisori. La accoglie Nando Martellini, subentrato a Carosio, vittima di un “infortunio” che gli è costato il posto di telecronista nazionale”.
Il lettore troverà nel libro di cosa si tratti, ma intanto faccio notare un’ulteriore, immancabile testimonianza del reporter, a conferma del suo dualismo professionale: “Alla radio, la voce della partita è sempre quella di Enrico Ameri, il principe dell’etere subentrato proprio a Carosio quando quest’ultimo era stato chiamato, anni prima, a tenere a battesimo la neonata televisione”.
All’epoca il giovane Cucchi sognava di fare il “venditore di sogni” ovvero proprio il cronista sportivo. Quella in cui il Cucchi narratore si richiama era un’epoca in cui non solo la tv e la radio, ma anche la carta stampata poteva vantare firme d’eccezione: “All’epoca del mondiale messicano, il calcio e la sua narrazione erano affidati alle penne maestose di giornalisti-scrittori che hanno segnato una stagione indimenticabile della carta stampata […] i giornalisti erano capaci di farci immaginare, vedere addirittura, ciò che la televisione cominciava appena a svelare […] I quotidiani sportivi erano una fonte di informazioni, ma soprattutto di racconti. Li leggevamo spesso sotto il banco di scuola, durante lezioni che ci apparivano noiose e sterili in confronto agli uomini in calzoncini che si involavano sul campo. Così, di Pelé sapevamo soprattutto ciò che leggevamo. Se poi a parlarne erano sapienti affabulatori come Gianni Brera, la conoscenza si trasformava in poesia”.
Amico e allievo di Gianni (Giovanni) Brera sarebbe stato un altro Gianni, per l’esattezza Gianni (all’anagrafe Giovanni Mura), importante per aver cercato di mediare il rapporto tra il suo collega giornalista e un altro Giovanni illustre, esattamente Giovanni Rivera, detto anche lui Gianni.
Quest’ultimo, tra i protagonisti di Italia-Germania, calciatore milanista, non amato dal cronista pavese, è ricordato da Riccardo Cucchi in relazione alla storica rivalità con un altro grande, Sandro Mazzola, portatore di palla interista.
Si tratta di una rivalità più imposta dalla mentalità del calcio italiano di quegli anni, ma forse ancora attuale, secondo cui due campioni, nella fattispecie Rivera e Mazzola non potessero giocare insieme: ne nasce il famoso episodio della “staffetta” su cui i media italiani e stranieri si arrovellarono, spesso schierandosi.
Non mi addentro nello specifico dell’episodio: gli esperti di calcio lo conosceranno, agli altri lascio il piacere della scoperta.
Analogamente, per non appesantire chi già sa e per non togliere la sorpresa a chi non sa, non ripercorrerò nei dettagli la predetta sfida del secolo.
Mi limito a far notare però la tecnica narrativa di Riccardo Cucchi che costruisce il suo resoconto “spalmandolo” in nove capitoli preceduti e seguiti rispettivamente da un’introduzione e da una conclusione.
Il tempo del racconto risulta piuttosto dilatato perché la bravura dello scrittore sta nell’amplificare la durata del match, facendo crescere nel lettore la suspense non tanto per come andrà a finire (si evince già dal titolo), ma per come si raggiungerà l’agognata vittoria.
Il ritmo della cronaca della partita in sé ne risulta dunque rallentato perché Cucchi costruisce sapientemente una sorta di storia nella storia: è la storia o meglio sono le storie dei vari protagonisti di quella semifinale mondiale che il giornalista introduce, a mo’ di excursus quasi erodoteo, ogni volta in cui, la Storia maggiore (quella dell’evento), si intreccia con le vicende dei suoi attori.
Questi ultimi non sono solo i mitici calciatori che nel 1970 realizzarono quell’impresa, ma anche cronisti e allenatori. Fra i calciatori non può certamente sfuggire Gigi Riva e altri protagonisti che quell’anno avevano portato il Cagliari a vincere lo scudetto.
Avendo già letto il romanzo di Telese “Cuori Rossoblù” in merito a questo, ho potuto apprezzare ancora di più i richiami di Cucchi al club sardo.
Le menzioni dei colleghi, invece, costituiscono un sorta di testamento di quelli che sono stati i paradigmi a cui egli si è ispirato per diventare ciò che sognava fin da quando, diciassettenne, guardò quella gara.
In quel Mondiale poi l’Italia avrebbe perso la finale, che sarebbe stata vinta dal Brasile; ma nel corso degli anni ci sarebbero state alti scontri con la Germania come quello, ancora una volta in semifinale, del memorabile 2006, il cui seguito sarebbe stato ben diverso rispetto a quello di trentasei anni prima: “Ma le sfide importanti furono altre: la nostra Partita del secolo, la finale mondiale del 1982 a Madrid, con il trionfo italiano per 3-1, per arrivare a Dortmund, semifinale mondiale 2006. Di quella gara sono stato testimone: l’ho raccontata in diretta radiofonica”.
Erede dei suoi colleghi del Servizio pubblico, Cucchi ha dimostrato di saper narrare il calcio non solo alla radio (il grande amore della sua vita) e in tv (anche se per un’esperienza più breve), ma anche su carta.
Questo libro, infatti, nella sapiente tessitura di vicende sopra richiamata, sancisce la versatilità della storica voce Rai, che non solo è diventato quel “venditore di sogni” desiderato da adolescente ma, in fondo, non ha mai smesso di esserlo. In tutti i sensi, compreso quello tecnico come si nota, sempre nel corso del resoconto, nelle varie e solo apparenti digressioni dedicate alla spiegazione dei vari metodi di gioco, uno su tutti “il catenaccio”, amato dagli italiani e adoperato anche in quella storica partita. E mi fermo qui con gli esempi.
A conferma ulteriore della sua professionalità, cifra distintiva, devo dirlo, dei testimoni sportivi del servizio pubblico (e in particolare di quello radiofonico), sta un richiamo con l’epica che ho apprezzato molto: “Il racconto dello sport può trasformarsi in una sorta di moderna epica. E l’epica ha bisogno di eroi,di esseri umani in grado di fare cose fuori dal comune, impossibili per altri. Ma anche di occhi che osservino le loro gesta e di voci che siano in grado di raccontare le loro imprese. E di tramandarle. L’epica non è che il racconto dell’uomo che scrive il suo mito, anche calciando un pallone. Servono eroi e narratori per creare epica: gli uni capaci di compiere imprese, gli altri di vedere la poesia che si nasconde dietro alle loro vittorie. O sconfitte. Nando Martellini è stato il cantore della partita del secolo [..] Gli eroi di Città del Messico hanno avuto non uno, ma due Omero. Nando Martellini ed Enrico Ameri. Grazie anche a loro Italia-Germania 4-3 diventerò la Partita del secolo”.
Sallustio stesso, d’altro canto, affermava che le imprese necessitano di qualcuno che ne parli, per diventare tali.
Ad maiora semper e buona ripresa del Campionato di calcio.
Written by Filomena Gagliardi
Bibliografia
Riccardo Cucchi, La partita del secolo, Piemme, 2020